La moltiplicazione dei pani, miracolo sulla natura, non è semplicemente un dar da mangiare agli affamati, ma ha un valore profetico: è annuncio e prefigurazione del banchetto pasquale eucaristico. Il gesto di distribuire il pane è davidico (lo compie Davide in 2Sam 6,19), quindi regale e messianico.
Il luogo è deserto, nel senso che è fuori dei centri abitati (tradizionalmente situato vicino a Tabga). L’erba su cui siedono i presenti esclude che si tratti di un deserto vero e proprio, ma la parola, éremos, richiama la fame di Israele e il dono della manna. Il pane, però, questa volta non scenderà dal cielo: saranno le mani dei discepoli a distribuirlo.
Il fremito delle viscere
Gesù agisce perché la folla lo muove a compassione. Il verbo, splanchnizomai, meglio si tradurrebbe «sentì fremere le viscere» (tà splanchna). Questo stesso verbo, alla fine del capitolo 9, già aveva introdotto la missione dei Dodici (cap. 10):
9 35 Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità. 36 Vedendo le folle ne sentì compassione [= sentì fremere le viscere], perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. 37 Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi! 38 Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!».
Di nuovo, adesso, questo verbo introduce l’invito ai discepoli: «Date loro voi da mangiare». Dopo l’invio e la responsabilità per la Parola (discorso missionario), vengono l’invio e la responsabilità per il Pane.
Commosso fin nel profondo delle sue viscere, Gesù prima guarisce i malati. Ma c’è un altro bisogno, una fame di cui persino i discepoli si rendono conto. Sono i discepoli a fornire quanto hanno: 5 pani e 2 pesci che sfameranno 5.000 uomini, più le donne e i bambini, e ne avanzerà.
Simbolismo numerico
5 è il numero del Pentateuco, la Torah di Mosè, numero giuridico ebraico per eccellenza. 12 saranno le ceste piene di avanzi, e 12 è il numero dei figli di Giacobbe, delle tribù di Israele. È l’Eucaristia di Israele.
Il contesto è pasquale. Il passo parallelo di Mc 6,39 ci ricorda l’erba verde e quindi la primavera, mentre Gv 6,4 menziona esplicitamente la Pasqua. La citazione degli avanzi richiama chiaramente l’afiqoman, la parte di azzima che si preleva per serbarla al dopo cena, quando tutti ormai sono sazi ed hanno ancora a disposizione da mangiare; ma richiama anche i pezzi di pane eucaristico che la comunità celebrante faceva avanzare perché i diaconi li portassero agli infermi o a coloro che erano stati impediti dal partecipare alla frazione del pane. Anche la benedizione, la berakhah, richiama chiaramente la cena pasquale, con una formula del tipo «Benedetto sei tu, Signore nostro Dio, re dell’universo, che fai uscire il pane dalla terra».
È un’assemblea ordinata: Gesù dà ai discepoli, i discepoli alle folle. Sono quindi i discepoli che sfamano la gente con le povere cose che avevano a disposizione, ma attingendo a Gesù. Non c’è altro modo.