
Alle leggi religiose contro l’idolatria, che offende Dio, fa immediatamente seguito la legislazione contro l’oppressione sociale che offende quell’immagine di Dio che è l’uomo, ogni uomo, ma in particolar modo il povero, e fra i poveri l’orfano, la vedova e lo straniero, cioè le persone che non possono contare su un capofamiglia per essere tutelate: è Dio il loro Tutore.
Lo spirito di queste leggi consiste in una appartenenza a Dio che non è compatibile con l’oppressione dei deboli. Come nei Dieci Comandamenti, la dimensione verticale, riguardante Dio, si incontra e si incrocia inevitabilmente con la dimensione orizzontale, riguardante il prossimo.
Misericordia verso i bisognosi
Lo sguardo di misericordia verso i bisognosi è una caratteristica forte della Legislazione mosaica. La religione ellenistica non richiedeva ai suoi seguaci la carità. Al contrario, il comandamento biblico della carità, non basato sul desiderio di ricevere una ricompensa, è fondato sull’assunzione della tutela dei poveri da parte del Signore.
Momenti difficili
In un’economia agraria di sussistenza come quella dell’antico Israele, le famiglie potevano cadere occasionalmente in momenti difficili. Solo la reciprocità garantiva loro la sopravvivenza: l’idea che se si aiutava un compaesano nel momento del bisogno, questa stessa persona avrebbe aiutato l’altro al momento opportuno.
Il Garante dei poveri
Questo principio è alla base dei comandamenti biblici di prestare senza interessi. Ma ciò vale anche quando la persona beneficata potrebbe non essere mai in grado di ricambiare il favore: secondo il Midrash Tannaim (III secolo d.C.) Rabbi Gamliel, citando i Proverbi, notava che Dio è il garante ultimo. Infatti la Scrittura dice: «Chi è generoso verso il povero fa un prestito al Signore» (Pr 19,17).
Allo stesso modo, San Basilio nel IV secolo ricorda:
«Se uno degli uomini ricchi della città ti promettesse di pagare per conto di un altro, non accetteresti la sua promessa?». A maggior ragione si deve accettare la promessa di Dio.
Persino l’imperatore romano Giuliano l’Apostata, che verso la metà del IV secolo cercava di restaurare il paganesimo, in una lettera ai suoi sacerdoti in Anatolia afferma di essere rimasto colpito dalla cura che ebrei e cristiani dimostravano per i poveri:
«È vergognoso che, quando nessun ebreo deve mai mendicare, e gli empi Galilei [i cristiani] sostengono non solo i loro poveri ma anche i nostri, tutti vedano che il nostro popolo manca di aiuto da parte nostra».
In funzione anticristiana, sapendo che la carità verso i poveri era una nota distintiva delle religioni ebraica e cristiana, volle introdurre queste pratiche nella religione pagana ordinando ai suoi sacerdoti di assistere i poveri e promettendo di finanziare il loro impegno. Ma nella religione ellenistico-romana, in cui gli affari umani erano lasciati interamente nelle mani degli uomini, mancava il terreno di attecchimento per una legislazione della carità. Caratteristico della religione biblica è invece la misericordia verso i bisognosi assurata ad obbligo morale di prendersi cura dei poveri ed anche l’impegno provvidenziale di Dio di assicurare che tale cura non resti senza ricompensa.