Metto insieme, qui, alcuni miracoli strani di Gesù. Purché ammettiamo il soprannaturale, il miracolo non ci sembra strano: si tratta in genere di gesti di amore, di beneficenza nei confronti di persone che hanno bisogno. Ma alcuni episodi mostrano miracoli strani, o perché apparentemente privi di scopo (perché Gesù dovrebbe mettersi a camminare sul mare?) o perché fatti secondo una modalità diversa dal solito (Gesù risana anche a distanza, perché avrebbe bisogno di usare la saliva sull’infermo?). Cerchiamo una risposta.
Miracoli strani. Gesù cammina sul mare: perché?
Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare. Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra. Vedendoli però affaticati nel remare, perché avevano il vento contrario, sul finire della notte egli andò verso di loro, camminando sul mare, e voleva oltrepassarli. Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: «È un fantasma!», e si misero a gridare, perché tutti lo avevano visto e ne erano rimasti sconvolti.
Ma egli subito parlò loro e disse: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». E salì sulla barca con loro e il vento cessò (Mc 6,46-51).
Si comprende bene il miracolo della tempesta sedata: c’è un pericolo, la barca sta per naufragare. Si tratta di un miracolo sulla natura finalizzato alla salvezza umana. Questo secondo miracolo, invece, sembra funambolico: perché Gesù si mette a fare questa azione sconcertante e gratuita? Eppure è un fatto di rilievo, riportato da Giovanni oltre che da Marco e Matteo, mentre Luca lo ignora, probabilmente per una precisa ragione corrispondente alle sue scelte contenutistiche: i destinatari ex pagani del suo vangelo lo avrebbero compreso a stento, mentre il significato era chiaro per i provenienti dall’ebraismo cui si rivolgono gli altri evangelisti.
Il mare nella S. Scrittura
Ebbene, nelle antiche Scritture di Israele chi ha la perfetta padronanza delle grandi acque è Dio. Dio siede sulle acque (Sal 29,10), crea il mare con la sua terribile forza e gli impone limiti precisi, i grandi mostri marini sono creature giocose nelle sue mani. Il salmo 77 (v. 20) recita: «Sul mare la tua via, i tuoi sentieri sulle grandi acque, e le tue orme non furono riconosciute». Il Signore cammina sulle acque, quelle acque che egli stesso ha creato insieme ai loro mostri. Bellissima e tenera la descrizione della creazione del mare, che Dio fascia di nebbie come un neonato di bende, nel libro di Giobbe (38,8-11):
Chi ha chiuso tra due porte il mare,
quando usciva impetuoso dal seno materno,
quando io lo vestivo di nubi
e lo fasciavo di una nuvola oscura,
quando gli ho fissato un limite,
e gli ho messo chiavistello e due porte
dicendo: «Fin qui giungerai e non oltre
e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde»?
Potestà divina
Dunque, ad ascoltatori ebrei, cresciuti sin dall’infanzia nello studio della Parola, la narrazione del cammino di Gesù sulle acque non poteva che evocare immediatamente la Potestà divina. Dire che Gesù cammina sulle acque equivale a professare che egli è Dio, nesso che ad un pagano però doveva sfuggire, come sfugge a noi. Tanto più che la risposta di Gesù al turbamento dei discepoli è l’affermazione Ego Eimi / Io Sono (e non il banale «Sono io»…), la tipica autoproclamazione divina dell’Antico Testamento.
Come si vede, non solo l’elevatezza teologica del vangelo di Giovanni, ma anche l’apparente semplicità del vangelo di Marco esprime la medesima fede nella divinità del Cristo, e lo fa con immagini (il cammino sul mare) e con parole (la proclamazione Ego Eimi).
Niente di gratuito o di funambolico dunque, ma la genuina professione di fede in Gesù vero uomo e vero Dio.
Miracoli strani. Strane guarigioni
Marco 7,31-37 Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Marco 8,22-26 Giunsero a Betsàida, dove gli condussero un cieco pregandolo di toccarlo.
Allora preso il cieco per mano, lo condusse fuori del villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». Quegli, alzando gli occhi, disse: «Vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che camminano». Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa. E lo rimandò a casa dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio».
L’uso della saliva
Prosegue anche in questi brani il paradossale «segreto messianico» per cui Gesù impone il silenzio su ciò che è invece palese. Ma qui troviamo anche un altro aspetto che colpisce: la tecnica dell’atto taumaturgico che richiede il contatto fisico.
Sappiamo infatti – l’abbiamo visto nell’episodio della cananea – che Gesù guarisce anche a grande distanza; invece in questi due episodi non solo impone le mani e tocca, ma anche bagna con la saliva le membra malate (orecchi, occhi).
Stessa cosa in Gv 9,1-7: con saliva e terra Gesù opera la guarigione del cieco nato.
Gli antichi sapevano quello che anche agli animali è naturalmente evidente, cioè che la saliva ha proprietà antibatteriche, quindi funge da disinfettante, oltre ad essere umettante e digestiva. Veniva quindi usata nelle terapie; del resto, anche a noi viene istintivo, se ci si procura un taglietto ad un dito, umettare la pelle lesionata per disinfettarla e cicatrizzarla.
Per queste proprietà, la saliva veniva usata dagli antichi terapeuti o taumaturghi nei riti di guarigione; non sufficiente, certamente, per restituire la vista o l’udito agli infermi. Inoltre, che bisogno ha Gesù, che Marco ha presentato come il Figlio di Dio, di ricorrere a questi mezzi? E perché, nel caso del cieco, la guarigione non è immediata?
Significato spirituale
C’è in effetti una gestualità, nel compimento di questi miracoli, che dovrebbe essere eloquente quanto le parole. L’imposizione delle mani indica ovviamente un potere che passa e opera dall’uno all’altro; toccare le orecchie e la lingua, nel caso del sordomuto, significa dargli il potere di udire e di parlare. Ma c’è di più. Gli occhi di Gesù, il Figlio, al Cielo, rimandano al Padre; il sospiro richiama lo Spirito: il miracolo immette il protagonista e il lettore nel dinamismo trinitario rendendolo discepolo, cioè colui che ascolta e pronuncia la Parola di Dio e respira a pieni polmoni lo Spirito Santo. Non a caso l’«Effatà» è entrato nel rito del battesimo.
Stessa cosa per gli occhi del cieco di Betsaida, evidentemente non tale dalla nascita, dato che, in questo episodio molto colorito esclusivo del solo Marco, egli ha memoria di aver visto, nella sua prima infanzia, gli alberi, e ricorda, con fantasia da bambino, che gli uomini sono come alberi che camminano.
Ma questo miracolo, di una guarigione che avviene in due tempi, richiama l’episodio della guarigione del cieco nato nel vangelo di Giovanni, dove in più Gesù usa il fango per ridare la vista al miracolato – quel fango primordiale da cui fu formato il vecchio Adamo. Si tratta quindi di una seconda nascita, quella alla luce e non alle tenebre del mondo. Con la bocca di Dio, la sua Parola (la saliva), con la mano di Dio, la sua Potenza (il tocco delle dita), con lo Spirito di Dio, il suo Amore (il sospiro) Gesù opera la rinascita alla vera vita. Una seconda nascita che richiede, umanamente, i suoi tempi: dapprima un’intuizione, offuscata dal dubbio, poi la percezione della piena luce.