L’11 febbraio, a distanza di 10 anni dalla scomparsa di don Enzo Greco, indimenticabile figura di sacerdote, l’Associazione follonichese a lui intitolata l’ha voluto ricordare con un convegno cittadino dedicato alla sua memoria. Attenzione, però: come ha ben fatto notare don Luca Bonari, suo compagno di studi di seminario e amico di lunghissima data (ordinati in diocesi diverse ma a distanza di pochi giorni, don Luca il 12 giugno 1974 e don Enzo il 28 giugno dello stesso mese), nel caso di don Enzo dopo dieci anni non si può più parlare di ricordo. Sarebbe un tradimento di don Enzo se non si parlasse di lui in prospettiva di una profezia. Memoria come profezia. Ovvero, ciò che va detto è quello che ha reso importante per noi questo ricordo, non ciò che lo relega nostalgicamente nel passato.
Il passato come profezia del futuro
Questa è stata la premessa che don Luca ha voluto fare rispetto al proprio intervento (di cui mi riservo di parlare in seguito), ma che è importante per tutto quello che è stato detto di don Enzo in quella stessa sede. Mi viene da riprendere un’espressione che ho coniato anni fa per un’altra situazione, «Perché la memoria diventi futuro»… espressione forse non originale, sicuramente già presente a mia insaputa in qualche pubblicazione, ma che si è formata spontaneamente nelle mie considerazioni a proposito di realtà passate veramente significative che portano in sé i germi di un futuro che sta a noi, poi, far crescere.
Il passato, dunque, non come un vecchiume da riesumare ogni tanto per le dovute celebrazioni o come una reliquia dal valore affettivo, ma come una memoria forte che reca in sé la profezia. (Un precedente articolo su don Enzo Qui)
La testimonianza del sindaco Benini
È quello che ha fatto il sindaco di Follonica Andrea Benini, introducendo il convegno. Sindaco, sì, ma anche uno dei «ragazzi» di don Enzo, cresciuto nella fede ma anche nell’impegno civico all’ombra del campanile di San Leopoldo insieme a tanti altri giovani che nella vita hanno saputo trovare i campi di applicazione del proprio impegno.
Andrea Benini ha ricordato come il convegno in questo decimo anniversario sia un appuntamento importante proprio nella ricorrenza del Centenario della città come comune autonomo, in una significativa coincidenza. Infatti, la presenza di don Enzo come parroco di San Leopoldo è stata assolutamente importante nella storia cittadina come nelle storie personali di tanti, soprattutto per le aperture che don Enzo seppe trovare (specialmente a partire dal 150° anniversario della fondazione di Follonica), aperture di canali con l’amministrazione e la vita civica in pieno spirito conciliare.
Inevitabile a questo punto il ricordo del rapporto di don Enzo con i gruppi giovanili, un rapporto che ha segnato le scelte di fondo personali ma all’interno di una vita pastorale comunitaria (Andrea ricorda le calendarizzazioni delle attività parrocchiali, spiegate accuratamente una per una: tomi di una settantina di pagine…); soprattutto, il ricordo dei campi scuola a Gerfalco, intensi, faticosi, oggi ormai improponibili, sulle questioni di fede ma anche sulle questioni sociali e sul mondo culturale.
Libertà e cura
L’intervento del sindaco Benini si è concluso in modo assai pregnante, secondo il suo caratteristico stile, su due termini che ha voluto offrire, a mo’ di icona, ai partecipanti: due termini che esprimono, per riprendere il pensiero di don Luca, la profezia che don Enzo lascia a chi l’ha conosciuto.
Il primo: Libertà. Andrea Benini si è rifatto al mito della caverna di Platone nella rilettura di Heidegger. In questo tipo di lettura, la libertà (e allo stesso modo la cultura) non è un possedimento individuale ma un servizio: diviene veramente libertà quando si fa liberatrice. Libertà è liberare gli altri dall’oscurità.
Il secondo: Cura. Questa volta Benini si è rifatto ad un film del grande Clint Eastwood, «Il Corriere» (2018), il cui protagonista è un appassionato floricoltore specializzato nella coltivazione di un fiore effimero che vive solo un giorno. A quel fiore sacrifica la vita e la famiglia, riservandogli ogni attenzione, ogni delicatezza, proprio per la sua fragilità. Qui, la parola cura si deve usare non solo nel corrente significato di prendersi cura di qualcosa, ma in quello più profondo di preoccupazione totalizzante, quindi di un farsi carico fino in fondo.
Tutto questo è stato don Enzo, oltre a tutto quello che ha fatto. Dove l’«essere» conta prima e più del «fare».
(Continua)