
Maggio è il mese mariano. È l’occasione buona per tratteggiare biblicamente la figura di Maria, Madre del Signore, dall’Annunciazione alla Pentecoste.
UNA RELAZIONE
Il video della relazione tenuta on line: QUI.

La relazione inizia al minuto 2.45.
Tutte le immagini di questo articolo, tranne l’icona della Natività, rappresentano le robbiane della Verna.
L’anno liturgico è la celebrazione di Cristo nel tempo dell’uomo, ma una linea continua lega Maria sua Madre agli eventi della vita di Gesù di Nazareth così come si sviluppano dall’Incarnazione al tempo della Chiesa. Tutto parte da un evento minimo, all’epoca passato inosservato da tutti, quello dell’Annunciazione che celebriamo ogni 25 marzo: è la data che ha dato origine ad una nuova storia.
Nell’episodio dell’Annunciazione si presenta nella storia, nel tempo dell’uomo, una piccola donna, un piccolo evento che cambierà la storia inscrivendola in un tempo dilatato, il cammino verso l’eternità.
La vicenda di Maria in un certo senso “contiene” la vicenda storica del Cristo – se così si può dire di una vicenda che sfocia nell’eternità.
Maria “contiene” il Cristo Gesù
- Fisicamente, nella concezione e nella gestazione
- Moralmente, nella crescita del bambino e nella formazione alla missione dell’adolescente
- Spiritualmente, nella Croce e nella Pasqua
- Misticamente, nella Chiesa di cui Maria è figura, primizia e Madre.
Restiamo, per questo cammino fra tempo ed eternità, sui dati biblici, come sulle uniche fonti sicure.
Tralasciamo il minimo accenno paolino a Gesù «nato da donna, nato sotto la legge» (Gal 4,4), l’unico. Tralasciamo anche il segno apocalittico (Ap 12) della Donna vestita di sole e coronata di dodici stelle. Questoperché la Donna è in primis figura collettiva del popolo di Dio, l’antico popolo che partorisce il Messia e la Chiesa che vive la persecuzione nel deserto.
Abbiamo invece a disposizione i quattro vangeli:
- Gli scarni dati di Marco
- La prospettiva giuseppina di Matteo
- L’ottica mariana di Luca
- La prospettiva ecclesiologica di Giovanni.
Gli scarni dati di Marco
Se andiamo in ordine cronologico, quello di Marco è il primo vangelo con cui confrontarci, perché è il più antico e di tipo più primitivo.
Non ha un racconto dell’infanzia, ma parte direttamente dalla predicazione del Battista. Di Gesù però i concittadini scandalizzati dicono, ad un certo punto (6,3): «Non è egli il falegname, il figlio di Maria?».
Può sembrar niente, ed invece il particolare è notevole, se lo confrontiamo con i passi paralleli di Matteo e Luca:
Matteo 15, 55 – «Non è forse il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria?». E menziona anche i “fratelli” di Gesù, Giuseppe, Simone, Giuda, e le “sorelle”.
Luca 4,22 – «Ma costui non è il figlio di Giuseppe?» (non menziona i “fratelli”).
Questa appare essere, in Marco e nella sua tradizione, una Cristologia e Mariologia più sviluppata di quanto non si pensi. Matteo e Luca riportano le fonti più arcaiche, che definiscono Gesù come figlio del falegname, figlio di Giuseppe: questa era infatti la sua “carta d’identità”. Marco invece lo definisce «figlio di Maria», contro tutta la cultura che identifica il figlio con il nome del padre, non della madre (come avviene tuttora, nella cultura semitica).
Nel vangelo secondo Marco è presente anche un rapido accenno (3,31-35) alla madre ed ai fratelli di Gesù che lo cercano, ottenendo questa risposta: «Chi fa la volontà di Dio, questo è mio fratello e sorella e madre». Non si tratta di un rinnegamento dei rapporti familiari o, peggio ancora, delle persone di famiglia. Si tratta invece di una ridefinizione: quello che conta nella comunità dei discepoli non è il vincolo di sangue, ma la comunione nella fede. “Fratello”, in tutta la cultura biblica, non designa solo il figlio dello stesso padre, ma qualunque parente. La parola “cugino” in ebraico non esiste neppure; si traduce con “figlio dello zio”, ma anticamente si diceva sbrigativamente “fratello”. L’espressione non obbliga dunque a ritenere che Maria avesse altri figli oltre Gesù.
La prospettiva giuseppina di Matteo

Pochi anni dopo il vangelo di Marco, viene quello di Matteo. Il vangelo di Matteo è impregnato di cultura giudaica, patriarcale. Il suo Vangelo dell’Infanzia (cap. 1-2) è un Vangelo secondo Giuseppe. Gli avvenimenti sono visti e narrati dalla parte di un padre mancato, che accetta un figlio non suo, e che ha la massima cura della Madre e del Bambino.
Giuseppe non dice una parola, è l’uomo del sì silenzioso, prende e parte, non spreca tempo. Questo Vangelo dell’infanzia è un Vangelo di azione, di movimento. Matteo lo organizza in cinque quadri (un Pentateuco dell’Infanzia, quindi) che ruotano su altrettante citazioni bibliche:
- La concezione verginale di Maria, adempimento di Is 7,14, col dubbio umanissimo di Giuseppe che sa di non essere il padre e relativo sogno esplicativo (che è una vera e propria annunciazione a Giuseppe). Veniamo dunque a sapere che Maria è Madre Vergine del Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo. La frase «E non la conobbe, finché non partorì un figlio» (1,25) non implica che in seguito la situazione sia cambiata e Giuseppe abbia avuto con lei rapporti maritali. In ebraico, la congiunzione ‘ad delimita un evento, ma non comporta che, dopo, ci sia un cambiamento. Ad esempio, «Mikal, figlia di Saul, non ebbe figli fino al giorno della sua morte» (2Sm 6,23); certamente non li ebbe in seguito.
- La nascita a Betlemme, adempimento di Michea 5,1 ss: Gesù è figlio di David.
- La strage degli innocenti, adempimento di Ger 31,15.
- Il ritorno dall’Egitto, adempimento di Os 11,1.
- La crescita di Gesù a Nazareth, adempimento di una miscellanea di temi veterotestamentari come quello del Germoglio di Jesse (nezer) e del Consacrato al Signore (nazir).
Il vangelo dell’Infanzia matteano è piuttosto cupo, presentando:
- Il dubbio di Giuseppe, che può facilmente credere all’innocenza di Maria (una violenza?) ma non all’opera dello Spirito Santo, finché l’angelo non lo chiarisce
- Il turbamento di Gerusalemme e la furia di Erode, la strage e la fuga
- La condizione di migranti in terra straniera della S. Famiglia
- Il pericolo incombente anche al ritorno.
Di tutti questi eventi il protagonista attivo è Giuseppe, e Maria è una figura sullo sfondo. Ma quando i Magi si presentano ad adorare il Bambino (2,11), Giuseppe scompare ed al centro rimangono solo il Bambino e sua Madre.
Poi Maria, nel Vangelo di Matteo, esce dalla scena, e ricompare solo fuggevolmente come “madre” in 13,55, in atteggiamento di ricerca del Figlio.
La prospettiva mariana di Luca

È nel Vangelo secondo Luca che il racconto è più diffuso e più centrato su Maria. Non c’è da stupirsi, perché Luca mostra una particolare sensibilità per il femminile, è l’evangelista delle donne e l’evangelista della Madonna.
Struttura del Vangelo dell’Infanzia (Lc 1-2)
Luca ama le simmetrie, ama le coppie (una coppia anziana e sterile, Zaccaria ed Elisabetta; una coppia giovane e vergine, Maria e Giuseppe; una coppia solo mistica, Simeone ed Anna). Procede per quadri:
- due annunciazioni (a Zaccaria nel tempio ed a Maria a Nazareth)
- due natività (del Battista e di Gesù)
- due circoncisioni e imposizioni del nome (del Battista e di Gesù)
- due crescite (del Battista e di Gesù).
Ci sono, all’interno, due episodi che riguardano il solo Gesù (la presentazione di Gesù al tempio e il ritrovamento di Gesù dodicenne nel tempio) e un solo episodio in cui le due storie parallele si incrociano: la Visitazione di Maria ad Elisabetta, dove le due madri e i due bambini non ancora nati si incontrano.
Come si vede, il Vangelo dell’Infanzia di Luca ruota sul tempio di Gerusalemme. È lì che inizia il racconto con l’annunciazione al sacerdote Zaccaria, è lì che abbiamo la prima manifestazione della missione di Gesù dodicenne. È lì che ritroveremo i discepoli a pregare in attesa della discesa dello Spirito Santo dopo l’Ascensione al cielo di Gesù Risorto. Da Gerusalemme partirà la Chiesa nascente, fino a portare il vangelo a Roma, constatazione con cui terminano gli Atti degli Apostoli. Ed è grazie a Luca se possiamo intitolare questo contributo «La figura di Maria dall’Annunciazione alla Pentecoste».
L’Annunciazione e il computo degli anni
Una piccola donna di Nazareth in Galilea, l’immagine della piccolezza. Un posto insignificante nella storia, evidenziato anche dal dettaglio dell’origine nazaretana di Gesù: un paese mai menzionato nell’Antico Testamento né poi nel Talmud. Di piccolezza in piccolezza, la storia di Maria (e di Gesù) procede da Nazareth alla piccola Betlemme e poi di nuovo alla marginale Nazareth per trenta lunghi anni.
Maria fa il suo ingresso nella storia all’improvviso, un giorno qualunque di un qualunque anno che potrebbe essere il 7 o 6 a.C. Può sembrare strano che l’Incarnazione, e quindi la Natività, sia databile ad un anno avanti Cristo, ma è certo che il monaco Dionigi, quando nel VI secolo datò la nascita di Gesù al 753 a.U.C. (ab Urbe Condita, dalla fondazione di Roma), sbagliò di qualche anno per eccesso, per cui la cristianità ha ereditato un calendario sfasato di sei – sette anni rispetto al vero dato storico.
Si sono succeduti stati vari calendari nel mondo occidentale, a partire dal calendario romano repubblicano (Numa Pompilio) a quello giuliano (Giulio Cesare) che nel 46 a.C. spostò il giorno di inizio dell’anno dal 1° marzo al 1° gennaio; poi i vari calendari cristiani, che facevano iniziare l’anno ab Incarnatione (25 marzo: in Toscana fino al 1749; però quello pisano anticipava di un anno, per cui Pisa e Firenze non avevano neppure il medesimo anno nelle loro date), oppure a Nativitate (25 dicembre) o a Circumcisione (1° gennaio), oppure a partire dal 1° settembre come quello bizantino; peggio ancora, in Francia l’anno iniziava per Pasqua che è una festa mobile, quindi ogni anno si trovava ad avere un inizio diverso…
Finché non venne nel 1582 la riforma gregoriana (papa Gregorio XIII Boncompagni) che annullò i giorni dal 5 al 14 ottobre di quell’anno riportando a coincidere l’anno civile con quello astronomico, e fissò l’inizio dell’anno al 1° gennaio. Progressivamente tutti gli stati si adeguarono, compresa la Russia, ma la Chiesa orientale rimase fedele al calendario giuliano, ed è per questo che il Natale e la Pasqua ortodossi cadono in giorni diversi rispetto a quelli del cristianesimo occidentale.
Il Vangelo di Maria
In questo Vangelo di Maria, lo storico Luca ci presenta i dati salienti della sua figura.
Maria è una piccola insignificante fanciulla (non se ne dice neppure il nome dei genitori, la stirpe, segno di insignificanza) del villaggio più privo d’interesse di un piccolo stato, ma è la Donna della fede.
Donna della fede
Non è incredula all’annuncio dell’angelo come il solenne sacerdote Zaccaria, solo è perplessa perché salutata con un titolo inconsueto – kecharitoméne, riempita di grazia: è un passivo – e posta di fronte ad un mistero imprevisto. Teniamo presente che il Messia atteso da alcuni in Israele era solo un uomo, un condottiero od un profeta, non Dio incarnato. La fede di Maria è tanto più eccezionale, quanto più eccezionale e inatteso è l’evento che le viene proposto.
Il racconto di Luca evidenzia inoltre una sua strana intenzione di verginità, totalmente estranea alla mentalità ebraica di allora e di sempre. La sua obiezione («Come avverrà questo? Non conosco uomo» esprime con un presente di abitudine la volontà di rimanere in tale condizione) manifesta proprio questa intenzione di verginità perpetua, ed infatti la rassicurazione è costituita dalla garanzia che non vi sarà intervento umano.
Donna di azione
Maria è donna di fede, ma è anche pratica, concreta: si informa, si muove. Va a visitare la parente la cui maternità impossibile le è stata rivelata come segno. Maria è la Donna del Magnificat: la gloria va a Dio, e tuttavia tutte le generazioni la chiameranno beata. Questa affermazione giustifica scritturalmente uno speciale culto mariano. Anche nella Natività si mette in luce l’azione di Maria: da sé prende il Bambino, lo avvolge in fasce e lo depone in una mangiatoia. La ragazza di Nazareth, posta di fronte ad un mistero che la sconcerta, lo accetta con fede. Il vangelo dell’Infanzia nella narrazione di Luca è luminoso, la gloria del Signore circonfonde ci luce i pastori, risuona il canto degli angeli, i personaggi esultano di gioia. A questo punto, però, c’è un’ombra sul Figlio.
Un’ombra sulla scena della Natività

C’è un’ombra su Maria: il racconto di Luca la mostra protagonista della Natività del Signore non ostante la difficoltà della situazione (non c’era posto per loro fra gli uomini), ma il gesto di avvolgere in fasce il Bambino e di deporlo (Lc 2,7) evoca già i gesti che saranno compiuti sul corpo del Crocifisso per la sepoltura. Le icone antiche mostrano infatti il Bambino fasciato come una mummia e adagiato in una mangiatoia che è un sepolcro, stagliato sul nero della grotta che evoca le tenebre della morte. Gli sono compagni non gli uomini, che lo hanno già rifiutato e lo rifiuteranno ancora, ma l’asino e il bue (anche se il particolare non è presente nei vangeli canonici), fedeli compagni della famiglia palestinese dell’epoca, che non negano il loro amore a chi li nutre:
«Il bue conosce [= ama] il proprietario
e l’asino la greppia del padrone,
ma Israele non conosce
e il mio popolo non comprende» (Isaia 1,3).
Donna dell’angoscia
Che la maternità di Maria debba diventare dolorosa è poi evidente nel racconto della Presentazione di Gesù al Tempio per il rito del riscatto del Primogenito, quaranta giorni dopo la nascita. La parola non inganni: «Primogenito», protόtokos in greco, bekhor in ebraico, nella cultura ebraica è il bambino che non è preceduto da fratelli, quello che nascendo rende madre la donna, sia o non sia seguito da fratelli minori. Nel cimitero ebraico della colonia giudaica di Alessandria d’Egitto è stata trovata, risalente al I secolo, una iscrizione che piange la morte di una giovane donna, morta nel dare alla luce il suo primogenito…
In questo racconto si evidenzia anche la povertà della famiglia, perché il sacrificio che Giuseppe e la sposa offrono è quello dei poveri. Il momento è gioioso, e lo è anche l’incontro con il vecchio Simeone che può posare lo sguardo sul Cristo tanto atteso; ma profeticamente egli vede le difficoltà che porterà con sé e la spada che trapasserà l’anima della Madre (2,35).
Benché il Vangelo dell’Infanzia di Luca sia luminoso, vi sono già presenti le ombre della Passione. Della quale si può dire che sia premonitore l’episodio dello smarrimento di Gesù dodicenne nel Tempio: il distacco dal padre e dalla madre, l’assenza del bambino, la ricerca affannosa, il ritrovamento dopo tre giorni di angoscia (il terzo giorno è il giorno della resurrezione), assorto nelle cose del Padre suo… l’incomprensione dei genitori anche, perché non capiscono le sue parole…
La Donna della meraviglia
In tutto questo, una costante: Maria non solo si meraviglia, e conserva nel cuore tutte queste cose, ma le medita (2,19). Il verbo symballo significa mettere insieme, riflettere su tanti elementi che frammentati non avrebbero senso, ma che lo acquistano se vengono unificati sotto lo sguardo di Dio. È il contrario di diaballo (da cui la parola diavolo) ovvero dividere, l’azione diabolica per eccellenza. Di questa azione diabolica non solo le persone, ma anche la Chiesa fa talvolta esperienza amara.
Donna della sequela
Nel vangelo di Luca, l’evangelista della Madonna, la Madre non viene più menzionata, se non poi nell’episodio in cui ella lo cerca insieme ai suoi fratelli per vederlo (8,19-21), ricevendo questa risposta: «Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la praticano». Analogo episodio in Marco e Matteo. Il senso di queste parole non è il rinnegamento dei legami familiari, ma una ridefinizione di questi rapporti: non è più il sangue che stabilisce la fraternità tra i discepoli, ma il rapporto con la Parola di Dio. Potremmo però pensare ad una vita pubblica di Gesù seguita da lontano da Maria con la preghiera e con l’ascolto. Generosa socia del Redentore, la chiama la «Lumen Gentium» al n. 61: con l’obbedienza, la preghiera, l’adente carità, in una fede che continuamente deve crescere. Scrive «Lumen Gentium» 61:
«Operi Salvatoris singulari modo cooperata est, oboedentia, fide, spe et flagrante caritate ad vitam animarum supernaturalem restaurandam. Quam ob causam Mater nobis in ordine gratiae exstitit».
Maria, nel vangelo di Luca, è assente anche nella Passione, e questo è abbastanza sorprendente perché Luca, sempre attento al femminile, è unico nel rilevare l’incontro di Gesù con le pie donne di Gerusalemme. Ma Maria ha già fatto la sua parte nell’infanzia, ha già provato la spada che le lacera l’anima, e ha vissuto la Passione in cuor suo. Non importa che vada dietro al Figlio fisicamente per essere con Lui in ogni momento del suo cammino.
A questo punto però bisogna cedere la parola a Giovanni, il più recente e il più profondo degli evangelisti, che sobriamente evidenzia la presenza della Madre (di cui non fa mai il nome) all’inizio (nozze di Cana) e alla fine della vita pubblica di Gesù (sotto la croce).
La prospettiva ecclesiologica di Giovanni

La Madre all’inizio del ministero di Gesù: la Donna delle nozze
Se si legge in modo superficiale il racconto delle nozze di Cana (Gv 2,1-11), la situazione appare veramente strana.
Il vino manca, e nessuno se ne accorge se non la Madre. La sposa non è nemmeno menzionata, e lo sposo è solo una scusa letteraria per far dire all’architriclino, il capo del banchetto, quel che per l’evangelista deve dire. L’architriclino è un deficiente che non si accorge di quel che accade sotto il suo naso, lui che era il responsabile del buon andamento della festa. Non manca solo il vino, manca anche l’acqua, perché le idrie per le abluzioni se ne stanno lì inerti, vuote, inutili anche per lo scopo per cui erano fatte, un disastro!
In sostanza, dell’episodio va data una lettura teologica, che è questa: sotto il pretesto di una qualunque festa di nozze, cui la madre di Gesù è già presente, arriva Gesù con i discepoli. La situazione è penosa, perché non c’è niente da bere, ed anche le sei idrie di pietra sono vuote. Sei è il numero della manchevolezza, il vuoto indica una carenza, le istituzioni cultuali di purificazione del popolo sono insterilite.
Ma la Madre, che Gesù chiama «Donna», Gύnai, si appella all’Unico che può realizzare la festa di nozze, il Cristo. Proprio il titolo «Donna» è rivelatore: al di là del fatto che sempre in Giovanni Gesù chiama in tal modo le donne con cui ha un incontro, con un titolo di rispetto, in ebraico Ishah è l’antica Eva, quindi la Madre è la nuova Eva come Gesù è il nuovo Adamo; ma significa anche «moglie», indica la Sposa come Ish indica il marito.
Quindi la Madre che ha generato il Cristo, figura dell’antico Israele, diviene anche la Sposa che riconosce e presenta alla storia lo Sposo, Cristo, e lo introduce nella sua missione salvifica.
Un chiarimento: quel famoso «Cosa a me e te?» non è una rispostaccia per far tacere una donna importuna, »quasi un rinnegamento, tanto che Gesù fa proprio quello che la Madre chiede. È un modo di dire tipico, presente nell’Antico Testamento, che secondo il contesto può significare «Non abbiamo niente a che vedere noi due» ma anche «Non ci sono ostacoli fra me e te.
Notare al v. 12 che la Madre con i fratelli e i discepoli segue Gesù a Cafarnao, e questo farebbe presupporre una presenza discreta di lei nella vita pubblica del Figlio.
Donna della croce
Tutti gli evangelisti menzionano una presenza femminile all’atto della crocifissione e morte di Gesù.
Giovanni 19,25: «Ora, stavano presso la croce di Gesù sua madre e la sorella di sua madre, Maria di Clopa e Maria Maddalena». Sono tre o quattro le donne? Maria di Clopa è la sorella (chiaramente, una parente) di sua madre o è una donna diversa?
Matteo 27,56: «… tra cui Maria Maddalena e Maria madre di Giacomo e di Giuseppe e la madre dei figli di Zebedeo»
Marco 15,40: «Maria Maddalena e Maria madre di Giacomo il minore e di Giosé e Salome»
Luca 24,10 menziona al sepolcro con le al«tre: Maria Maddalena e Giovanna e Maria di Giacomo».
Maria Maddalena è l’unica nominata da tutti, poi dovrebbe essere certa la presenza di un’altra Maria, madre di Giacomo e Giuseppe, forse moglie di Clopa o Cleofa; della madre dei figli di Zebedeo, che forse è Salome, e di una Giovanna. Solo Giovanni ricorda la presenza della Madre di Gesù.
«Presso la croce di Gesù stavano sua madre e la sorella di sua madre, Maria di Clopa e Maria Maddalena. Gesù dunque, vedendo la madre e il discepolo che amava che stava là, dice alla madre: Donna, ecco tuo figlio. Poi dice al discepolo: ecco tua madre. E da quell’ora il discepolo la prese ein tà ídia [con sé, o nella sua casa, o tra le sue cose più care]» (19,25-26).
Sicuramente la Madre, al di là della persona storica di Maria, è, come a Cana, la Chiesa – Sposa che qui riceve vita dal cuore trafitto del Cristo, dal sangue ed acqua che ne sgorgano simboleggiando i sacramenti primordiali, battesimo ed eucaristia; e il Discepolo Amato resta nell’anonimato perché, al di là dell’identificazione con Giovanni apostolo ed evangelista, deve potersi identificare con ciascuno di noi se vogliamo essere discepoli che seguono il Maestro fino ai piedi della croce. Una tecnica stilistica di Giovanni è infatti l’ambiguità o ambivalenza, per cui una cosa o persona è se stessa ma al medesimo tempo è anche altro, va ben oltre, e i significati sono conciliabili l’uno con l’altro.
Nell’espressione ein tà ídia mi sembra di poter ravvisare un riferimento a Lc 2,49, nell’episodio del ritrovamento di Gesù dodicenne nel tempio: «en toîs toũ Patrόs mou», nelle cose (o nella casa) del Padre mio. Gesù è nell’intimità col Padre, il discepolo nell’intimità con la Madre e, attraverso lei, col Cristo.
Qui Maria, anche nel momento della croce, è la Chiesa – Madre – Sposa che genera il Cristo nel cuore degli uomini e si unisce a lui misticamente come suo Corpo.
Donna della Chiesa

Andrea e Luca della Robbia il giovane, Ascensione, 1480 circa, La Verna, basilica
I vangeli non parlano di un incontro di Maria con il Figlio Risorto. Se non ne parlano, che vi sia stato o non vi sia stato, non è rilevante per la fede. Quello che è rilevante è la presenza orante di Maria con i discepoli e le donne (Atti 1,14) nella Chiesa nascente, nell’attesa dello Spirito Santo. San Francesco la saluta come Vergine fatta Chiesa.
Torniamo a Luca: Donna di speranza
Allora prende senso l’appunto finale di Luca negli Atti, la presenza di Maria nel cenacolo, nel luogo che sarà quello della Pentecoste. Maria, Donna dello Spirito, Madre della Chiesa, fa nascere la Chiesa come fa nascere Gesù. Di più: diviene Chiesa, perché ne è la primizia. Come vedete, è già tutto qui. Ecco i dati biblici:
Vergine Madre del Figlio di Dio fatto uomo e quindi di Dio,
ricolmata di Grazia senza macchia e Tota Pulchra, perciò non ghermita dalla morte ma assunta in cielo secondo la tradizione unanime dei Padri della Chiesa,
primizia della Chiesa,, figura della Chiesa e Madre della Chiesa. Scrive «Lumen Gentium» 68:
«La Madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e nell’anima, costituisce l’immagine e l’inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così ora brilla sulla terra innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore».
Le robbiane della Verna: Maria dall’Annunciazione all’Assunzione

Se andate alla Verna, seguite la pista mariana indicata dalle grandi robbiane.
Conoscerete, nella chiesina di S. Maria degli Angeli, la chiave di lettura della spiritualità francescana: «L’umiltà dell’Incarnazione [robbiana a sinistra, Natività] e la carità della Passione [robbiana a destra, Pietà] aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro» (FF 467).
Vi troverete in basilica davanti alla robbiana più antica e più bella (1475), l’Annunciazione, a sinistra, che con la Natività a destra costituisce come un secondo portale d’introduzione al mistero delle Stigmate. Nella prima, Maria è sola col mondo celeste, poi ha accanto il Bambino.
Il percorso delle robbiane della Verna, partito dall’Annunciazione e dalla Natività, trova il suo giro di boa nella cappella delle Stigmate, dove Maria, ai piedi della croce, non guarda verso il Figlio ma guarda verso di noi; e mostra il suo compimento terreno nella grande robbiana dell’Ascensione, attualmente in una cappella laterale della basilica ma originariamente collocata sull’altar maggiore, dove Maria non è più sola col Figlio o col Discepolo Amato, ma con gli Apostoli è Vergine fatta Chiesa, secondo l’espressione di San Francesco.
Mostrerà poi il suo compimento celeste nella robbiana dell’Assunzione (S. Maria degli Angeli) dove, primizia della Chiesa, Maria va al Padre. È allora, quando tutti noi la seguiremo, che Dio cancellerà ogni dolore dalla terra, e farà nuove tutte le cose. Nella speranza di Maria ritroviamo la nostra speranza.

Se facciamo una lettura più approfondita della robbiana dell’Assunzione, vediamo che, come nelle icone antiche, è divina verticalmente in tre parti o livelli.
La parte superiore rappresenta il mondo celeste: qui il Padre, Alfa e Omega, che ha inviato il Figlio e lo Spirito per la nostra salvezza. A Lui noi siamo chiamati a tornare.
La parte centrale rappresenta l’evento della storia della salvezza: qui, l’Assunzione di Maria al cielo, che mostra quello che noi siamo chiamati ad essere. La prima figura a sinistra è papa Gregorio Magno, riconoscibile per la colomba che gli parla all’orecchio: è l’immagine dello Spirito Santo.
La parte inferiore rappresenta il mondo terreno, la nostra storia: è il tabernacolo contenente l’Eucaristia, il pane per la vita di ogni giorno.