Quello di Maria Addolorata è un appellativo molto diffuso della Madonna.
La devozione alla Vergine Addolorata si sviluppa a partire dalla fine dell’XI secolo, con la celebrazione dei suoi 5 gaudi e dei suoi cinque dolori, simboleggiati da 5 spade, poi si diffonde con il Liber de passione Christi et dolore et planctu Matris eius e le composizioni sul tema del Pianto della Vergine e lo Stabat Mater attribuito a Jacopone da Todi.
A partire dal 1230 se ne attribuisce alla comunità dei Servi di Maria la maggiore diffusione. È in questo periodo che ha origine la celebrazione dei Sette Dolori, corrispondenti a sette passi del Vangelo:
- la profezia di Simeone,
- la fuga in Egitto,
- lo smarrimento di Gesù dodicenne nel tempio,
- l’incontro col Figlio sulla via del Calvario,
- la Madonna ai piedi della Croce,
- la Deposizione,
- la sepoltura in attesa della Resurrezione.
Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. nella domenica fra l’ottava dell’Assunzione 14-15)
Il martirio della Vergine viene celebrato tanto nella profezia di Simeone, quanto nella storia stessa della passione del Signore. Egli è posto, dice del bambino Gesù il santo vegliardo, quale segno di contraddizione, e una spada, dice poi rivolgendosi a Maria, trapasserà la tua stessa anima (cfr. Lc 2, 34-35).
Una spada ha trapassato veramente la tua anima, o santa Madre nostra! Del resto non avrebbe raggiunto la carne del Figlio se non passando per l’anima della Madre. Certamente dopo che il tuo Gesù, che era di tutti, ma specialmente tuo, era spirato, la lancia crudele non poté arrivare alla sua anima. Quando, infatti, non rispettando neppure la sua morte, gli aprì il costato, ormai non poteva più recare alcun danno al Figlio tuo. Ma a te sì. A te trapassò l’anima. L’anima di lui non era più là, ma la tua non se ne poteva assolutamente staccare. Perciò la forza del dolore trapassò la tua anima, e così non senza ragione ti possiamo chiamare più che martire, perché in te la partecipazione alla passione del Figlio, superò di molto, nell’intensità, le sofferenze fisiche del martirio.
Non fu forse per te più che una spada quella parola che davvero trapassò l’anima ed arrivò fino a dividere anima e spirito? Ti fu detto infatti: «Donna, ecco il tuo figlio» (Gv 19, 26). Quale scambio! Ti viene dato Giovanni al posto di Gesù, il servo al posto del Signore, il discepolo al posto del maestro, il figlio di Zebedeo al posto del Figlio di Dio, un semplice uomo al posto del Dio vero. Come l’ascolto di queste parole non avrebbe trapassato la tua anima tanto sensibile, quando il solo ricordo riesce a spezzare anche i nostri cuori, che pure sono di pietra e di ferro?
Non meravigliatevi, o fratelli, quando si dice che Maria è stata martire nello spirito. Si meravigli piuttosto colui che non ricorda d’aver sentito Paolo includere tra le più grandi colpe dei pagani che essi furono privi di affetto. Questa colpa è stata ben lontana dal cuore di Maria, e sia ben lontana anche da quello dei suoi umili devoti.
Qualcuno potrebbe forse obiettare: Ma non sapeva essa in antecedenza che Gesù sarebbe morto? Certo. Non era forse certa che sarebbe ben presto risorto? Senza dubbio e con la più ferma fiducia. E nonostante ciò soffrì quando fu crocifisso? Sicuramente e in modo veramente terribile. Del resto chi sei mai tu, fratello, e quale strano genere di sapienza è il tuo, se ti meravigli della solidarietà nel dolore della Madre col Figlio, più che del dolore del Figlio stesso di Maria? Egli ha potuto morire anche nel corpo, e questa non ha potuto morire con lui nel suo cuore? Nel Figlio operò l’amore superiore a ogni altro amore. Nella Madre operò l’amore, al quale dopo quello di Cristo nessun altro amore si può paragonare.
La ricorrenza liturgica
Il 9 giugno 1668 la S. Congregazione dei Riti permise all’ordine dei Servi di Maria di celebrare la messa votiva dei Sette Dolori della Beata Vergine, con un decreto nel quale si faceva menzione del fatto che i Servi di Maria portavano l’abito nero in memoria della vedovanza di Maria e dei dolori che essa sostenne nella passione del Figlio.
Inizialmente il culto dell’Addolorata era collegato alla Settimana Santa, poi è nata la sua festa, originariamente celebrata il venerdì prima della Settimana Santa o dopo la Pasqua ed infine trasferita al 15 settembre. Ancor oggi in alcune località è festeggiata nelle antiche date.
Conformemente allo sviluppo dell’importanza di questo culto, se ne sviluppa anche l’iconografia.
Il senso di una statua
L’uso di immagini sacre nel cristianesimo non è idolatria. L’idolo è una immagine scambiata per la realtà, come avesse poteri magici. L’immagine sacra è solo un segno che rimanda all’invisibile, perché siamo fatti di carne e sangue ed abbiamo bisogno anche di questo. Si può vivere senza le immagini, si può credere senza le immagini, come ben ha dimostrato il popolo di Israele, ma da quando i primi discepoli hanno potuto con i loro stessi occhi corporali contemplare il Volto del Cristo – perché il Verbo si è fatto carne, e si è attendato, nella fragilità della carne, in mezzo a noi, – da quando l’Invisibile si è fatto visibile e tangibile, è caduto l’aniconismo (assenza di immagini) della prima fede biblica, cioè la proibizione di rappresentare Dio visibilmente: perché Egli stesso nella persona del Figlio ha assunto un Volto su cui fissare lo sguardo.
L’uso delle immagini sacre è attestato fin dalle catacombe, finché su di esso non si scatenò l’iconoclastia. Nel 730, Leone III Isaurico proibì l’utilizzo delle icone; ne seguì una terribile devastazione, che portò alla distruzione di quasi tutte le immagini più antiche. Alle lotte feroci contro la venerazione delle immagini sacre pose fine dottrinalmente il secondo concilio di Nicea (787):
«Noi definiamo con ogni rigore e cura che, a somiglianza della raffigurazione della croce preziosa e vivificante, così le venerande e sante immagini sia dipinte che in mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l’immagine del Signore Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della immacolata Signora nostra, la Santa Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e giusti» (DS, 600).
Il concilio precisava anche:
«l’onore reso all’immagine, in realtà, appartiene a colui che vi è rappresentato; e chi venera l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto» (DS, 601).
Così, adorando nell’immagine di Cristo la Persona del Verbo, i fedeli compiono un atto di culto legittimo e non di idolatria.
Stessa cosa per la venerazione di Maria. Il Vaticano II è ben attento ad esortare i teologi e i predicatori a tenersi lontani tanto da esagerazioni quanto da riduzionismi:
«Con lo studio della Sacra Scrittura, dei santi Padri e Dottori e delle liturgie della Chiesa, condotto sotto la guida del Magistero, illustrino rettamente i compiti e i privilegi della Beata Vergine, che sempre hanno per fine Cristo, origine di ogni verità, santità e devozione».
«I fedeli a loro volta si ricordino che la vera devozione non consiste né in uno sterile e passeggero sentimento, né in una vana credulità, ma bensì procede dalla fede vera, dalla quale siamo portati a riconoscere la preminenza della Madre di Dio, e siamo spinti a un amore filiale verso la Madre nostra e all’imitazione delle sue virtù» (LG, 67).
Le prime forme iconografiche mariane
Le icone
La prima forma iconografica utilizzata per raffigurare Maria, attestata fin dal III secolo, la vede indissolubilmente legata al Figlio in quanto Theotokos, Madre di Dio. Questa della Madonna col Bambino rimane forse la forma più diffusa. Le prime immagini sono icone dipinte, secondo il modello dell’Odigitria (Colei che indica la strada), della Eleusa (Madonna della Tenerezza) e della Madonna del Segno.
Altre se ne sono aggiunte nel tempo, come la Madonna orante, e successivamente la Madonna del Manto (della Misericordia), e l’Addolorata; seguono poi iconografie legate ai dogmi mariani o ai misteri della vita di Maria o a sue apparizioni riconosciute autentiche dal Magistero, come l’Assunta, L’Immacolata, la Madonna del Soccorso, la Madonna di Fatima e del Rosario.
Le sculture
A questo punto, le statue hanno preso sempre più campo rispetto alla pittura. La scultura cristiana infatti si sviluppò lentamente, a partire dalla decorazione di sarcofagi paleocristiani (IV secolo) dove venivano presi a prestito i temi del simbolismo pagano contemporaneo. Una delle simbologie ricorrenti riguardava l’immagine del pavone, simbolo di immortalità. Il più antico esempio di scultura lignea cristiana è invece la porta della basilica di Santa Sabina a Roma, risalente al V secolo. Si scolpiscono i capitelli e gli archivolti delle chiese. Per le statue a tutto tondo occorrerà più tempo: la stessa celebre statua del Buon Pastore, di fine III secolo – inizio IV, è in realtà un frammento di bassorilievo.
L’arte cristiana antica e medievale non amava molto il tutto tondo. Solo i crocifissi e le statue della Vergine ottengono diritto d’asilo come opere autonome. Il vero e proprio oggetto d’arte è l’edificio sacro, la chiesa, cui si dedica ogni cura. Così si moltiplicarono facciate scolpite, grandiosi portali e architravi. Viene l’età di Arnolfo di Cambio, Nicola e Giovanni Pisano. La scultura gotica fa della cattedrale una Bibbia di Pietra dove i fedeli possono leggere la vita di Cristo, le testimonianze dei santi e gli insegnamenti morali che ne derivano.