Un rifugio per gli ebrei e i ricercati di ogni genere, soldati allo sbando, sfollati, partigiani, perseguitati politici, fu il monastero di clausura di S. Quirico ad Assisi, dove era badessa madre Giuseppina Biviglia. Il vescovo di Assisi mons. Giuseppe Placido Nicolini la persuase ad aprire le porte della clausura a chiunque avesse avuto bisogno. A portarvi i primi ebrei fu il guardiano del convento di San Damiano, padre Rufino Niccacci. Vi furono accolte ed ospitate le famiglie Kropf, Gelb, Baruch, Jozsa e altre.
Documenti falsi
Gli uomini stavano in un dormitorio, le donne e gli anziani in foresteria. A tutti vennero forniti falsi documenti d’identità. Fu padre Rufino a coinvolgere nell’impresa il tipografo assisiate Luigi Brizi, che contraffece i documenti anche per la rete clandestina toscana. Da lui veniva a ritirarli da Firenze Gino Bartali, con la scusa di allenarsi per le corse. Nel telaio della bicicletta nascondeva le fotografie dei clandestini, e riportava indietro i documenti falsificati alla perfezione. Il suo nome è registrato nelle memorie di San Quirico.
Tutto andò bene fino al 26 febbraio 1944. Poi un rifugiato, che era uscito dal monastero, fu arrestato e riferì di essere alloggiato a San Quirico. Fu allora compiuta una perquisizione, ma mentre madre Giuseppina teneva testa alla polizia, gli ebrei riuscirono a nascondersi nei sotterranei del monastero. Da lì nelle notti seguenti furono fatti uscire per raggiungere altre destinazioni.
Un’arca di Noè
Nel «Libro delle memorie» del monastero madre Maria Giuseppina Biviglia annotava:
«Le persone che si rifugiavano da noi furono per grazia di Dio nei nostri riguardi tutte oneste, rette, buone e anche religiose, tanto i cattolici quanto gli ebrei. Venne qualche fascista durante il governo Badoglio e dopo l’entrata degli Americani; qualche socialista… era proprio un’arca di Noè».
Madre Giuseppina Biviglia Giusta tra le nazioni
Madre Giuseppina Biviglia, badessa del monastero delle clarisse di S. Quirico di Assisi durante la seconda guerra mondiale, è stata proclamata «Giusto fra le nazioni» per aver salvato numerosi ebrei a rischio della sua vita. Queste vicende sono narrate anche dal film Assisi underground (Usa, 1985, regia di A. Ramati, interpreti James Mason, Maximilian Schell, Irene Papas; il video, purtroppo non completo, QUI).
Madre Giuseppina Biviglia (nata a Serrone di Foligno il 31 marzo 1897 e morta a 94 anni il 31 marzo 1991) entrò in monastero il 13 maggio 1922 in qualità d’insegnante alla lavorazione delle telerie elettriche, lavoro con cui si sosteneva la comunità. L’8 settembre 1922 iniziò probandato e il 18 marzo 1923 fece la vestizione con il nome di suor Maria Giuseppina di Gesù Nazareno. Il 19 marzo del 1924 e del 1927 fece rispettivamente la professione temporanea e la professione solenne. Madre Giuseppina guidò la comunità come badessa dal 1942 al 1948 e dal 1964 al 1970.
Le memorie del monastero
A conclusione del secondo triennio del suo servizio di badessa, nel 1945, madre Giuseppina Biviglia fissò nelle memorie del monastero i suoi ricordi del periodo bellico:
«Mentre fino dal settembre 1943 s’intensificava l’offesa aerea anglo-americana sull’Italia con somma sorpresa di tutti, mentre in patria rincrudivano persecuzioni politiche, vendette personali e ordini odiosi venivano spiccati contro Ebrei e soldati ligi allo spirito dell’armistizio, i nostri Istituti divenivano luogo di rifugio agli sbandati, ai perseguitati politici, ai fuggitivi, agli Ebrei, agli evasi dai campi di concentramento. Ne ebbe la sua parte il nostro Monastero.
Superfluo dire che incapaci noi stesse di capire quanto avveniva in tanta confusione, si obbediva solo a un sentimento che sorgeva spontaneo di volta in volta che si presentavano dei disgraziati: davanti al dolore di ciascuno avrebbe taciuto ogni velleità di giudizio, anche se avessimo saputo darne uno: la pietà avrebbe in ogni caso trionfato come trionfò.
E trionfò per amor di Dio e del prossimo: il Primo dava l’impulso ad aiutare il debole; il secondo quasi sempre innocente viveva in quei giorni sotto l’incubo degli arresti, dei campi di concentramento, della fucilazione e peggio!
Titubanza
Devo dire tuttavia che qualche volta opposi un po’ di resistenza all’accettazione di queste persone sentendo tutta la responsabilità della mia posizione di fronte alla Comunità e temendone per questa qualche conseguenza: ma in quei momenti fui sempre incoraggiata dal nostro Venerato Superiore, da altri Sacerdoti e dalle mie stesse Consorelle ad agire in favore di quei poveretti.
Le persone che si rifugiavano da noi furono, per grazia di Dio, nei nostri riguardi tutte oneste, rette, buone, e anche religiose, tanto i cattolici quanto gli Ebrei. Venne qualche fascista durante il Governo Badoglio e dopo l’entrata degli Americani; qualche socialista in certi momenti di pericolo durante la Repubblica Sociale. Subito dopo l’8 settembre avemmo ufficiali e soldati del R. Esercito ligi al giuramento costituzionale, e poco più tardi un folto numero di Ebrei (era proprio un’arca di Noè)».
Il momento più drammatico
Il 27 febbraio 1944, pochi mesi prima della liberazione d’Assisi da parte degli Alleati, viene ordinata una perquisizione.
«Il giorno prima due dei nostri giovani (un croato già evaso da un campo di concentramento della Jugoslavia, e un Ufficiale dell’aviazione Italiana) si erano tolti al loro rifugio per unirsi ad altri due o tre compagni per una corsa a Perugia in bicicletta, con proposito di ritornare al più presto, ma il viaggio di ritorno fu loro fatale, perché, causa l’accento straniero del giovane croato, tutta la comitiva fu sospetta a certi agenti della R.S. (che cercavano appunto in quei giorni un delinquente croato) e da questi tratta in arresto. Lo stesso giovane, al primo interrogatorio, non seppe schermirsi dal dichiarare il suo luogo di abitazione, il nostro Monastero, e perciò il 27 mattina, Domenica, gli agenti erano qui per un sopralluogo, dopo di aver fatto circondare da forze il Monastero stesso.
La perquisizione
I funzionari della R.S. entrarono per l’ispezione della foresteria e poi vollero che mi presentassi alla grata. Dopo un penosissimo colloquio, durante il quale quasi tutta la Comunità era raccolta in Coro a pregare, mi convenne mostrar loro il dormitorio grande, ossia l’appartato luogo di rifugio degli Ufficiali e dei giovani Ebrei.
In quel momento là entro c’erano i due fratelli Maionica e il Colonnello Gay che dormivano saporitamente: si ebbe appena il tempo di far entrare in clausura i due fratelli, mentre il col. Gay affidato alla speranza d’aver libero passaggio tra i funzionari e gli agenti, a causa de’ suoi capelli bianchi (infatti essi cercavano solo di stabilire la verità dei fatti denunciati dagli arrestati, che riguardavano soltanto la loro persona) credette di poter uscire ma fu invece fermato nell’ortino e coi funzionari condotto al Dormitorio, affinché egli stesso desse informazioni su se stesso, sui suoi compagni e sui motivi della sua presenza in questo luogo. Il Col. Dichiarò in seguito l’esser suo.
Nella grotta sotterranea
Va ricordato che fra il Settembre ’43 e il febbraio ’44, la nostra pattuglietta di rifugiati, conosciuta l’esistenza della grotta sotterranea con un unico ingresso in discesa dall’ortino di foresteria, l’avevano giudicato un buon luogo di rifugio in un caso estremo, purché si togliessero le tracce dell’ingresso suaccennato e si aprisse una botola entro clausura. Con un lungo lavoro avevano realizzato il progetto e ciò si mostrò veramente provvidenziale la mattina del 27 Febbraio ’44, quando si trattò di salvare almeno i fratelli Maionica [due giovani ebrei], con la loro roba: anzi, la stessa grotta servì da nascondiglio anche a tante cose preziose e care di tutti gli ospiti in quel momento di panico.
Minacce
Dunque, alla porta tra il Dormitorio e la Clausura, ebbe luogo altro increscioso colloquio tra i funzionari, il Colonnello e me. Le affrettate misure prese lì per lì per occultare la presenza dei due fratelli non avevano potuto prevedere tutto, ed infatti, oltre il letto del Col. Gay che figurava d’essere il solo rifugiato in quel giorno – dopo l’arresto degli altri – trovarono anche un altro letto caldo, quello che uno dei due fratelli aveva appena abbandonato in fretta e in furia, e c’era stato solo il tempo di assestarlo.
Così i funzionari, avendo dovuto aspettare per qualche momento, ebbero la sicurezza che qualcuno, in quel tempo, era fuggito per la clausura ove minacciarono di entrare, progetto non effettuato, perché, dietro la mia parola affermativa, “entrino pure e si accertino da loro”, immaginarono impossibile il fatto che il fuggitivo si fosse trattenuto in clausura, ma solo che attraverso a questa, da noi favorito, si fosse dato alla fuga: allora, esasperati, minacciarono di condurmi in prigione: io risposi con una franchezza insolita “Eccomi pronta; munitevi di permesso, perché sono monaca di clausura e non posso abbandonarla senza autorizzazione”.
Un arresto
Per grazia di Dio non ne fu nulla. Dio sa quanto mi premeva la sorte di quei due poveri giovani, quanto tremavo anche per il Monastero e con quale intimo spasimo cercassi di mostrarmi calma e sicura. Forse anche questo atteggiamento giovò, perché alla fine e per quel giorno, se ne andarono, portandosi seco, purtroppo, il povero Colonnello, uomo altamente retto e virtuoso, ch’era stato la nostra ammirazione per circa sei mesi. (…) Come detto, nello stesso giorno tutti i nostri ospiti straordinari sparirono, o meglio cambiarono alloggio: quanto ai nostri fratelli Maionica, rimasero tutto il giorno a patire freddo nella grotta che si era mostrata così provvida all’atto pratico, col buio della sera uscirono con le loro valige e, accompagnati dal Guardiano di S. Damiano (ch’era allora Padre Rufino Niccacci), se ne andarono in altro alloggio.
Quanto invece agli arrestati, ebbero a soffrire parecchi mesi di prigionia, addolcita peraltro dalla presenza delle Suore delle Carceri, essendo stati posti in quello ch’era il reparto femminile, alle dipendenze delle Suore appunto. In tempi diversi uscirono tutti, grazie a Dio, sani e salvi. E tutti serbarono amicizia e riconoscenza anche verso il nostro Monastero e verso tutte le persone che li avevano aiutati. La Domenica appresso del primo interrogatorio, cioè il giorno 5 marzo, io ne subii un altro da parte del ViceQuestore di Perugia, d’un Brigadiere e del Commissario di Polizia di Assisi, per la stesura del verbale relativo agli arrestati: colloquio come il primo, assai increscioso. E poi non ebbi più noie».
Fonte: https://www.lavoce.it/metti-biviglia/
https://www.terrasanta.net/2013/10/