Parole e frasi bibliche. Ma che… (XXX) d’Egitto!

Ma che XXX d'Egitto!
Rilievo all’interno del tempio Hathor di Deir el-Medina, Tebe occidentale vicino a Luxor, Egitto.
Di Olaf Tausch – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=15152236

Ma che (XXX) d’Egitto! È un modo di dire, che sicuramente sta andando in disuso come i modi di dire tradizionali, per esprimere un disappunto, un deprezzamento, una smentita; per dire, insomma, all’interlocutore che ha detto una sciocchezza.

Ad esempio: «È un vero affare!»… «Ma che affare d’Egitto!». «È il mio sogno!»… «Ma che sogno d’Egitto!», «Ti faccio le mie scuse»… «Ma che scuse d’Egitto!»… Si può applicare questa formula praticamente a tutto; ma cosa c’entra l’Egitto?

Ma che (XXX) d’Egitto!

Con «Ma che (XXX) d’Egitto!» siamo in presenza dell’espressione d’Egitto posposta ad un termine (di solito un nome, ma potrebbe essere anche una breve frase), a sua volta preceduto da un che o un quale esclamativo, per denotare incredulità rispetto a un’affermazione o una richiesta dell’interlocutore riguardante lo stesso termine.

Cosa c’entra l’Egitto?

La locuzione nasce probabilmente dall’immagine dell’Egitto come luogo lontano, dai costumi diversi dai nostri e perciò strani, irreali, complice però la concezione dell’Egitto diffusa nel mondo biblico. L’Egitto, infatti, nella Bibbia, è il luogo di ogni schiavitù, non solo quella storica dei discendenti di Giacobbe fino al secolo XIII a.C., ma anche quella metaforica, in senso sociale (l’oppressione dei deboli), morale (il peccato) e religioso (l’idolatria). E forse la spiegazione più sensata è quella che collega il detto al rifiuto della magia, ambito nel quale l’Egitto, secondo la voce popolare, eccelleva, e quindi veniva presentato come sentina di idolatria e di ogni falsità da ripudiare. L’idea è quella di una situazione esotica, favolosa ma fasulla, da respingere con forza o con ironia.

Le piaghe d’Egitto

Un riferimento più preciso, sempre biblico, potrebbe essere quello alle Piaghe d’Egitto, una sventura intollerabile, assurda, per gli egiziani. Ma in questo caso l’applicazione più pertinente è dire a qualcuno Sei una piaga, intendendo con ciò proprio i flagelli narrati nel libro dell’Esodo per vincere la resistenza del faraone a lasciar andare libero Israele (Esodo 5-11). Tuttora si parla di piaghe in riferimento alle calamità che affliggono il mondo (la fame, la corruzione, la droga ecc.), e in tono scherzoso anche di cose semplicmente fastidiose: il Pascoli chiamava piaghe d’Egitto i giornali!

L’epiteto piaga si può riferire anche ad una singola persona (Sei una piaga!).

Dalle piaghe d’Egitto… alla pittima

A proposito di persone fastidiose, a Livorno (ma non solo) si chiama pittima (Sei una pittima!) la persona lagnosa in modo irritante che si appiccica agli altri per chiedere attenzione. Equivale al dire Sei un impiastro, perché l’etimologia della parola pittima è colta, dal greco epithema = posto sopra, come si chiamava il decotto caldo messo sul corpo a fini terapeutici, fastidioso e poco efficace.

La pittima è stata anche una figura realmente esistita delle Repubbliche di Genova e di Venezia, o almeno questa è l’immagine che è stata tramandata: chi aveva un debitore insolvente, si rivolgeva alla pittima, un uomo che iniziava a seguire ovunque il debitore reclamando in continuazione e platealmente che pagasse il debito. Un modo non violento ma efficacissimo di ottenere il pagamento dovuto! A questa figura, nella sua debolezza e nella sua umanità, è dedicata la canzone di De André ‘Â pittima, nell’album Crêuza de mä. La canzone, dalla voce del cantautore, QUI.

Testo: A Pittima

Cosa ghe possu ghe possu fâ
se nu gh’ò ë brasse pe fâ u mainä
se infundo a e brasse nu gh’ò ë män du massacán
e mi gh’ò ‘n pûgnu dûu ch’u pâ ‘n niu
gh’ò ‘na cascetta larga ‘n diu
giûstu pe ascúndime c’u vestiu deré a ‘n fiu
e vaddu in giù a çerca i dinë
a chi se i tegne e ghe l’àn prestë
e ghe i dumandu timidamente ma in mezu ä gente
e a chi nu veu däse raxún
che pâ de stránûä cuntru u trun
ghe mandu a dî che vive l’è cäu ma a bu-n mercöu
Mi sun ‘na pittima rispettä
e nu anâ ‘ngíu a cuntâ
che quandu a vittima l’è ‘n strassé ghe dö du mæ.

La Pittima (Traduzione)

Cosa ci posso fare
se non ho le braccia per fare il marinaio
se in fondo alle braccia non ho le mani del muratore
e ho un pugno duro che sembra un nido
ho un torace largo un dito
giusto per nascondermi con il vestito dietro a un filo
e vado in giro a chiedere i denari
a chi se li tiene e glieli hanno prestati
e glieli domando timidamente ma in mezzo alla gente
e a chi non vuole darsi ragione
che sembra di starnutire contro il tuono
gli mando a dire che vivere è caro ma a buon mercato
Io sono una pittima rispettata
e non andare in giro a raccontare
che quando la vittima è uno straccione gli do del mio.