La seconda bestia della visione di Daniele nel cap. 7 è l’orso famelico che tiene la sua preda fra i denti. La sua voracità è proverbiale, una caratteristica che Pr 28,15 applica ai cattivi governanti: particolare che fa, appunto, al caso nostro, in cui abbiamo la rappresentazione di un potere divoratore.
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V. 5: «Ed ecco un’altra bestia, la seconda, simile ad un orso; si alzava su di un lato e aveva tre costole in bocca, fra i denti e le fu detto: “Levati, mangia molta carne” ».
Questo secondo animale dovrebbe corrispondere al regno dei medi, forte e feroce ma non quanto il leone. Le Scritture ricordano insieme i due animali (Os 13,8; Am 5,19; Pr 28,15; Lam 3,10: «Egli era per me un orso in agguato, un leone in luoghi nascosti»), anche se l’orso non è paragonabile al leone né quanto a forza, né quanto a maestà (è piuttosto goffo nei movimenti).
L’autore del libro e quindi anche della visione non aveva una conoscenza storica precisa dei secoli in cui ambienta i suoi racconti, e crede che i Medi di Ciassare avessero sconfitto i Babilonesi e si fossero loro sostituiti, invece di convivere con essi in una sorta di tregua armata, finché la Persia non sottomise entrambi. L’ordine di andare avanti con il pasto mentre è alzato a metà equivale all’invito a proseguire nella sua azione di conquista. Nelle tre costole che ha in bocca possiamo intravedere le tre maggiori conquiste effettuate insieme all’impero babilonese: Babilonia, la Lidia e l’Egitto.
Franco Cardini scrisse dell’orso («Abstracta» n. 7, luglio 1986):
L’orso, animale ambiguo
«L’orso è forse l’animale rispetto al quale l’uomo avverte maggiormente la sua posizione contraddittoria nei confronti del mondo animale: familiarità e affinità da un lato, estraneità e opposizione dall’altro. Esso è tuttora – o lo era, prima che gli occidentali riuscissero praticamente a distruggere quasi tutte le culture tradizionali – dio e al tempo stesso padre, fratello, figlio, amico per tutti i popoli della galassia uralo-altaica, dai lapponi ai siberiani ai pellerossa d’America; ma il suo culto era vivo anche tra i popoli indoeuropei, come dimostrano i miti indiani e quelli greci, quelli celtici e quelli germanici e come racconta la leggenda osseta [popolo a nord del Caucaso].
Quest’antica familiarità – che, se non corrisponde a contenuti archetipici, ha comunque l’aria di venirci molto lontano dalla preistoria – non è stata del tutto tradita neppure ai giorni nostri: l’orso ha una parte di rilievo nelle fiabe antiche come nei disegni animati per bambini, che del resto in una qualche misura da quelle fiabe dipendono almeno per i simboli-base; e l’orsetto di pezza che regaliamo ai nostri piccoli per giocare (forse augurio di forza se offerto ai maschietti, di fecondità se affidato alle femminucce) conserva ancora questa duplice in apparenza per noi occidentali moderni (ma solo per noi) contraddittoria carica di energia guerriera e di affetto materno-filiale.
L’orso è feroce, eppure è simpatico: e nelle sue movenze, talora nei suoi atti e in quel che a noi può sembrare il suo modo di “pensare”, ricorda spesso l’uomo: in ciò può rammentare la scimmia, e non a caso nelle leggende indiane orso e scimmia sono avvicinati: Kipling non ha potuto fare a meno di notarlo».
L’orso nel mito
Questo animale è un elemento della natura presente in molti miti. Artio era una dea celtica raffigurata come un’orsa. Per l’antica Grecia si ricorda Callisto, la ninfa trasformata in orsa da Artemide. L’Orsa Maggiore e l’Orsa Minore prendono il nome dalla somiglianza con un’orsa già dai tempi di Tolomeo: si tratta di Callisto e del figlio Arcade.
Plinio il Vecchio, nelle sue Storie naturali (I secolo d.C.), afferma degli orsi che «alla nascita sono informi masserelle di carne di colore bianco, un po’ più grosse di un topo, senz’occhi e senza peli; soltanto le unghie sono sporgenti. L’orsa, lambendo queste masserelle, dà loro a poco a poco una forma». Questa credenza verrà ripresa dagli autori dei bestiari medievali e farà interpretare l’orsa come simbolo della Chiesa, che accoglie col battesimo i figli e ne modella la vita attraverso i sacramenti.
Leggende di santi che addomesticano gli orsi sono comuni nelle zone montuose: San Corbiniano, San Romedio, San Lugano, San Gallo, San Colombano, che ammansiscono gli orsi, divengono così simbolo della vittoria della cristianità sul paganesimo.
A differenza del leone, l’orso rappresenta la forza bruta e nella nostra visione ben si presta a raffigurare il regno dei medi, un insieme di popolazioni iraniche unite sotto re Ciassare che calando dalle montagne (l’orso è animale di montagna, a differenza del leone, animale di pianura) riuscì insieme ai babilonesi a sconfiggere gli assiri. L’autore, sulla base delle cognizioni disponibili all’epoca, credeva che i medi avessero poi sconfitto i babilonesi, mentre autore di questa vittoria fu il persiano Ciro il grande (simboleggiato dal leopardo alato) che li sottomise entrambi.