
Lewis non era un fondamentalista cristiano che volesse semplicemente intraprendere crociate; i suoi progetti letterari si muovevano in un ambito culturalmente più ampio, e dietro di essi stava piuttosto l’ispirazione. L’origine della sua fantateologia è da cercare in immagini che gli danzavano nella fantasia, magari dopo averle sognate. Nel caso della Trilogia interplanetaria, l’input gli era venuto da Tolkien con cui si era accordato di scrivere semplicemente un racconto ambientato lontano nello spazio, così come l’amico avrebbe dovuto scrivere un racconto ambientato lontano nel tempo. Le idee teologiche venivano in seguito, spontaneamente, e sostanziavano le immagini.
L’origine della fantateologia: non partire da un messaggio ma da una storia
Lo confessa Lewis più volte, l’ultima forse in una conversazione da lui tenuta a Cambridge il 4 dicembre 1962 con gli scrittori e appassionati di fantascienza britannici Kinglsey Amis e Brian Aldiss e registrata su nastro:
«Io non sono mai partito da un messaggio o da una morale […]. La storia stessa vi impone una sua morale, che si scopre mentre si scrive il racconto» (Altri Mondi. Saggi e racconti a cura di W. Hooper, Edizioni Paoline, Alba 1969, 142 s.)
Scrive un conoscitore di Lewis, Martindale:
«La trilogia che ha come protagonista Ransom – Lontano dal Pianeta Silenzioso, Perelandra e Questa orribile Forza – è forse la prima opera a combinare insieme fantascienza e teologia. Lewis non parte dal messaggio cristiano per poi decidere che la fantascienza era un buon modo per contrabbandarlo […] come racconta lo stesso Lewis nella sua autobiografia e in molte lettere, è vero piuttosto il contrario […]. Lewis non si limitò a ricamare su un tema cristiano; è vero, piuttosto, che il suo pensiero era così coerente, e il suo impegno cristiano così profondo, che sarebbe risultato artificioso e superficiale, se avesse cercato di tenere la sua fede fuori delle sue storie» (W. Martindale, Narnia e l’addio alla Terra delle Ombre, 73 s.).
La fantascienza teologica
La penna, insomma, è guidata dalla fantasia, che nel caso di Lewis è una fantasia teologica; l’idea religiosa fluisce con spontaneità, tanto che Lewis poteva scrivere nella lettera del 9 agosto 1939 a Sister Penelope: «Una qualsiasi quantità di teologia può ora essere contrabbandata nella mente della gente sotto la copertura di un romanzo senza che neanche se ne accorgano» (C.S. Lewis, Collected Letters II, 262).
In un modo più complicato, Fredric Jameson esprimerà un simile concetto:
«L’apparato narrativo della science-fiction teologica libera il testo dai vincoli della rappresentazione del soggetto individuale, e rende possibile la figurazione di grandi forze transpersonali, e perciò stesso essenzialmente collettive, politiche, ideologiche» (Fredric Jameson, La fantascienza teologica, in Luigi Russo (cur.), La fantascienza e la critica, Feltrinelli, Milano 1980, 217).
Questo critico letterario statunitense di orientamento marxista dovrà riconoscere riguardo a Lewis: «la poderosa rappresentazione che è stato capace di mettere in scena – sia nella sua critica pratica che nelle sue opere narrative – di una dottrina impopolare, complicata e ormai antiquata [cioè il cristianesimo: sic!], può essere considerata un modello di arte politica e di persuasione ideologica, da cui anche scrittori politici di diverse tendenze – tanto critici quanto romanzieri – avrebbero molto da imparare» (Ivi, 218).