
Della vita e della personalità di Isaia, rispetto ad altri profeti, sappiamo qualcosa; ma quel che più importa è il messaggio che ci vuol trasmettere. La sua predicazione parte da un invito alla conversione: l’oppressione dei poveri è il grande peccato di Gerusalemme.
Ribellione e conversione
Nel cap. 1 si delinea già tutto il pensiero di Isaia riguardo alla conversione:
- la denuncia del tradimento
- la citazione in giudizio
- la condanna dei ribelli
- il perdono dei pentiti
- la nuova comunità, la città fedele.
Il grande peccato di Gerusalemme è l’oppressione dei poveri.
Il peccato di Gerusalemme
1,2 Udite, cieli, ascolta, terra, poiché parla il Signore:
«Ho cresciuto dei figli, li ho esaltati,
ed essi si sono ribellati contro di me.
3 Il bue riconosce il suo proprietario,
e l’asino la mangiatoia del suo padrone,
ma Israele non conosce
e il mio popolo non comprende».
4 Guai alla nazione peccatrice, al popolo carico di iniquità,
alla razza di malfattori, ai figli corrotti!
Hanno abbandonato il Signore,
hanno disprezzato il Santo d’Israele,
si sono voltati indietro (Is 1,2-4).
L’accusa fondamentale mossa al popolo è quella di infedeltà al patto.
L’infedeltà è avvenuta in duplice forma:
- di idolatria
- di consumismo e di oppressione dei poveri.
Il peccato di idolatria
Sì, sarete confusi a causa delle querce che amate,
e arrossirete a causa dei giardini che prediligete (1,29).
Il suo paese è pieno di idoli.
Si curvano davanti all’opera delle loro mani,
davanti a ciò che fabbricarono le loro dita (2,8).
Se nei profeti troviamo tutta una polemica contro i boschetti, i giardini e le alture, non si tratta di ostilità al giardinaggio: sono luoghi in cui i pagani celebravano i culti idolatrici, ed anche il popolo di Israele era continuamente tentato di adottare i loro costumi in una sorta di eclettismo in cui credevano di poter adorare Dio con cerimonie pagane. Ma questo è solo uno dei rimproveri. Il secondo è più grave, perché si pensa di poter conciliare l’adorazione di Dio con l’oppressione dei poveri.
Il peccato di Gerusalemme: l’oppressione dei poveri
1,11 Che m’importa dell’abbondanza dei vostri sacrifici?, dice il Signore.
Sono sazio degli olocausti degli arieti e del grasso dei vitelli.
Il sangue dei tori, degli agnelli e dei capri non lo gradisco.
12 Quando venite a presentarvi davanti a me,
chi richiede da voi che calpestiate i miei atri?
13 Cessate di portare oblazioni inutili, l’incenso è per me un’abominazione,
noviluni, sabati, pubbliche assemblee, non sopporto iniquità e feste solenni.
14 L’anima mia odia i vostri noviluni e le vostre solennità;
esse sono per me un peso, sono stanco di sopportarle.
15 Quando tendete le vostre mani, io chiudo i miei occhi davanti a voi.
Anche quando moltiplicate la preghiera, io non ascolto,
le vostre mani sono piene di sangue.
16 Lavatevi, purificatevi, rimuovete dal mio cospetto
il male delle vostre azioni, cessate di operare il male.
17 Imparate a fare il bene, ricercate il diritto,
soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano,
difendete la vedova.
1,21 Come mai è divenuta una meretrice la città fedele?
Era piena di rettitudine, la giustizia abitava in essa,
ora invece vi abitano gli assassini.
22 Il tuo argento è diventato scorie,
il tuo vino mescolato con acqua.
23 I tuoi prìncipi sono ribelli e compagni di ladri;
tutti essi amano regali e corrono dietro alle ricompense.
Non fanno giustizia all’orfano
e la causa della vedova non giunge fino ad essi.
3,9 Il loro sguardo testimonia contro di essi;
proclamano i loro peccati come Sodoma,
non lo nascondono;
guai a loro, poiché preparano la loro rovina…
12 O mio popolo! un fanciullo l’opprime
e donne dominano sopra di lui!
Popolo mio, i tuoi condottieri ti traviano,
rovinano la strada che tu percorri.
13 Il Signore si erge ad accusare,
si presenta a giudicare il suo popolo.
14 Il Signore entra in giudizio con gli anziani e con i prìncipi:
«Siete voi che avete guastato la vigna,
le spoglie del povero si trovano nelle vostre case.
15 Perché calpestate il mio popolo
e pestate la faccia dei poveri?».
Oracolo del Signore, Dio degli eserciti.
Il castigo
L’oppressione dei poveri non può rimanere impunita. Il tema del castigo è molto importante nei profeti, anche in Isaia.
3,1 Sì, ecco il Signore, Dio degli eserciti,
rimuove da Gerusalemme e da Giuda sostegno e appoggio,
ogni sostegno di pane e ogni appoggio d’acqua:
2 l’eroe e il guerriero, il giudice ed il profeta,
l’indovino e l’anziano,
3 il comandante di cinquanta, e i notabili e il consigliere,
l’abile mago e l’incantatore.
4 «Darò loro dei giovani come prìncipi
e dei capricciosi li domineranno».
5 Nel popolo l’uno opprimerà l’altro, ognuno il suo prossimo,
il giovane s’inorgoglirà contro l’anziano e l’abietto contro il nobile.
6 Uno afferrerà il fratello suo nella casa paterna:
«Tu hai un mantello, sii nostro capo e prendi in mano questa rovina».
4,1 Sette donne afferreranno in quel giorno un solo uomo dicendo:
«Mangeremo il nostro pane e ci vestiremo col nostro mantello,
solo che veniamo chiamate col tuo nome, togli la nostra vergogna».
La conversione
Ma la giustizia divina non opera una punizione fine a se stessa. Lo scopo è la conversione:
1,18 Orsù, venite e discutiamo, dice il Signore:
se i vostri peccati sono come scarlatto, diventeranno bianchi come neve;
se sono rossi come la porpora, diventeranno come lana.
19 Se sarete volonterosi ed obbedirete,
mangerete i beni del paese.
Alcune note su Is 1,2-3
La prima categoria adottata da Isaia per esprimere il rapporto di Dio con Israele è la paternità (cfr. Os. 11,1). Tale categoria è invocata in un solenne processo cui assistono il cielo e la terra, e Dio è accusatore, giudice e testimone contro Israele. Il profeta imputa a Gerusalemme un duplice peccato: l’idolatria e, sopratutto, l’oppressione dei poveri.
È inaudita la ribellione di Israele, messo a confronto – un confronto quanto mai efficace, e perdente per l’uomo – con il mondo animale:
Il bue conosce il proprietario
e l’asino la greppia del padrone,
ma Israele non conosce
e il mio popolo non comprende.
Il primo verbo, conoscere (jadha‛), attribuito agli animali, ha una forte connotazione affettiva. Il secondo verbo, comprendere (bîn), qui alla forma hitpael (riflessiva intensiva) = considerare, osservare attentamente, ha un valore più critico, e dovrebbe essere proprio della specie umana; ma gli umani, spesso, non rispondono a ciò che sono chiamati ad essere.
Gli animali non sono più intelligenti dell’uomo, ma «danno una lezione sapienziale agli uomini ingrati» [Benito Marconcini, Il libro di Isaia (1-39), Città Nuova 1993, p. 34]: il loro istinto infallibile li guida dove il libero comportamento dell’uomo spesso non vuole andare. Cfr. Ger 8,7:
Anche la cicogna nel cielo conosce i suoi tempi;
la tortora, la rondinella e la gru
osservano la data del loro ritorno:
il mio popolo invece non conosce
il comando del Signore.
Il bue e l’asino del Presepe
«Il mondo infraumano raggiunge sempre il suo obiettivo, forzatamente; solo l’uomo che lo potrebbe fare liberamente vi si oppone. Isaia è meravigliato che l’animale faccia vergognare il re della creazione: che cosa non direbbe all’uomo d’oggi che interviene pesantemente sui processi naturali, ad esempio nelle sperimentazioni genetiche, aprendosi a un futuro imprevedibilmente catastrofico? Il peccato del popolo eletto, chiamato ad essere testimone dell’invisibile è particolarmente rilevante: da lui in particolare dipende la distruzione della creazione o l’avvento di cieli nuovi e terra nuova» (B. Marconcini, Il libro di Isaia (1-39), p. 35).
La menzione del bue e dell’asino da parte di Isaia viene dal binomio animale che faceva da normale compagnia ad una famiglia palestinese dell’epoca. È anche normale che accanto ad una mangiatoia (menzionata anch’essa da Isaia) si trovasse almeno un bue, e che un viaggio da Nazareth a Betlemme fosse compiuto con un asinello. Continuiamo a seguere la riflessione di B. Marconcini:
«Il riferimento al bue e all’asino e l’errata traduzione greca di Ab 3,2 (“sarà glorificato tra due animali”) ha fatto nascere la leggenda di Gesù nato tra due animali. Pur infondata esegeticamente, l’immaginazione popolare ha attualizzato una sfumatura del pensiero di Isaia. Se “non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,7), se “il mondo non l’ha riconosciuto e quelli della sua casa non l’hanno accolto” (Gv 1,10-11), è realistico pensare che vicino alla “mangiatoia” qualche animale sia stato presente!» (B. Marconcini, Ibidem).
Mi permetto un’applicazione ai nostri tempi, sempre più attuale: nella sempre maggiore solitudine di un sempre maggiore numero di anziani della nostra società, quanta compagnia, quanto conforto viene dalla presenza, accanto a loro, degli animali di casa!