Lettura continua della Bibbia. «L’Onnipotente mi risponda!» (Gb 29-31)

«L’Onnipotente mi risponda!»
La sfida di Giobbe. Di William Blake – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=8033836

«L’Onnipotente mi risponda!». Si conclude così il terzo atto del dramma di Giobbe, il suo monologo davanti ad un Dio che sembra non prestargli ascolto. Interrotto il dialogo con gli amici, a Giobbe non rimane altro che appellarsi a quel Dio della giustizia tanto da loro invocato (Gb 29-31).

Adesso Giobbe occupa da solo la scena rievocando ricordi e angosce, e chiamando in causa definitivamente colui che tace, Dio. Dio accetterà di presentarsi al processo che Giobbe gli intenta (capp. 38-41), e finalmente si aprirà per Giobbe uno spiraglio di luce (cap. 42). Dovremo però attendere per riprendere l’azione principale, che sarà interrotta dall’inserimento di un lungo intervento di Elihu (capp. 33-37).

Nel suo monologo Giobbe torna con la mente ai giorni del suo passato felice (Gb 29), cui si contrappone il suo tragico presente (Gb 30), fino a proiettare il suo appello in un futuro che veda l’intervento di Dio (Gb 31). Questa struttura basata sulle categorie temporali passato – presente – futuro) si riscontra anche nei Salmi di lamentazione e supplica.

Un passato felice (Gb 29)

Nel suo felice passato, Giobbe era benedetto da Dio, in amicizia con lui, e tutta la gente del villaggio lo ascoltava, rispettava e onorava (29,2-11; 21-25). Questo perché riconosceva la sua giustizia adamantina (29,12-17). Giobbe ricorda anche la sua ingenua fiducia nella retribuzione di un futuro tranquillo (29,18-20). Ma tutto questo non c’è più.

Un presente desolato (Gb 30)

Il cap. 30 è costituito da una lamentazione per il quadro di totale umiliazione (30,1-10) e di ostilità (30,11-14). Ma il responsabile delle sue sventure non è altro che un Nemico innominato, che lo perseguita accanitamente e spietatamente, abbandonandolo alla morte (30,15-31).

La sfida: «L’Onnipotente mi risponda!» (Gb 31)

Questa terza parte del monologo di Giobbe assume un tono giudiziario. Giobbe proclama la sua innocenza con una lista monotona di dodici delitti non commessi: non è mai stato impudico né mendace o invidioso, nemmeno adultero, né ingiusto con gli schiavi, né avaro dei suoi beni e del suo sostegno con i poveri (31, 1-23). Non ha confidato nella ricchezza e non ha ceduto alla tentazione dell’idolatria (31, 24-28). Non ha umiliato il nemico caduto in disgrazia, non ha violato la legge dell’ospitalità (31, 29-32). Non ha sfruttato gli operai, non si è comportato da ipocrita (31, 33-40).

La conclusione (31, 35-37) dell’apologia di Giobbe è una sfida a Dio perché si presenti al processo.