
Dopo la svolta narrativa del ritorno di Israele nel deserto, abbiamo l’inserimento di una parte legislativa dovuta alla fonte Sacerdotale, con leggi che riguardano soprattutto l’ordinamento dei capi (laici e levitici) e il contesto dell’insediamento nella terra di Canaan. Un primo blocco riguarda infatti offerte di tipo agricolo e sedentario con farina, olio e vino (15,1-21). Prescrive inoltre le norme per la riparazione dei peccati di inavvertenza (15,22-31).
Ma il racconto si fa drammatico quando viene comminata la pena della lapidazione nei confronti di un uomo che aveva violato il riposo festivo raccogliendo la legna di sabato (15,32-36). Questo episodio è legato ad un particolare precetto: quello di apporre delle frange (zizith) all’orlo della veste, frange unite ad un filo di porpora.
Lo tzitzit
15 37Il Signore parlò a Mosè e disse: 38«Parla agli Israeliti dicendo loro che si facciano, di generazione in generazione, una frangia ai lembi delle loro vesti e che mettano sulla frangia del lembo un cordone di porpora viola. 39Avrete tali frange e, quando le guarderete, vi ricorderete di tutti i comandi del Signore e li eseguirete; non andrete vagando dietro il vostro cuore e i vostri occhi, seguendo i quali vi prostituireste. 40Così vi ricorderete di tutti i miei comandi, li metterete in pratica e sarete santi per il vostro Dio. 41Io sono il Signore, vostro Dio, che vi ho fatto uscire dalla terra d’Egitto per essere il vostro Dio. Io sono il Signore, vostro Dio».
Interpretazioni rabbiniche sullo tzitzit
Questo precetto ha lo scopo di far ricordare tutti i precetti del Signore al popolo che egli ha fatto uscire dall’Egitto. Il testo afferma che il solo guardare lo tzitzit , o il filo colorato tekhelet (Num 15,38), ha un effetto salutare su chi lo indossa lo tzitzit , perché gli fa ricordare e osservare tutti i precetti. Come afferma il Talmud (b. Menachot 43b), Vedere porta alla memoria e la memoria porta all’azione. Ma “vedere” che cosa?
Nel corso dei secoli i rabbini hanno attribuito significati diversi all’idea di guardare lo tzitzit .
Ricordo dello Shema‘
Un passaggio talmudico (b. Menachot 43b) suggerisce che indossare lo tzitzit ricorda lo Shema, perché i tzitzit sono menzionati nel terzo paragrafo dello Shema. (Il cerchio si chiuderebbe, poiché recitare lo Shema ricorderebbe a qualcuno di indossare lo tzitzit .)
Ricorda che gli ebrei sono servitori di Dio
Secondo R. Hezekiah ben Manoach ( Ḥazzequni, XIII secolo), vedere lo tzitzit ricorda agli ebrei che sono servitori di Dio, poiché stanno osservando il Suo comandamento, e quindi aumenta la probabilità che si conformino agli altri comandamenti di Dio.
Salutare il Volto di Dio
Secondo un’altra spiegazione (Sifrei Numeri 115), « guardare lo tzitzit è come salutare il volto della presenza divina ( Shekhinah ). Perché tekhelet è il colore del mare e il mare è come il cielo e il cielo è come il Trono Divino».
Guardare lo Tzitzit salva una persona dal peccato
La letteratura rabbinica contiene una serie di storie di persone che sono state misteriosamente o miracolosamente salvate dal peccato, in particolare dal peccato di natura sessuale, vedendo il loro tzitzit . Questa spiegazione si basa sull’affermazione della Torah «affinché tu non divaghi dietro al tuo cuore e ai tuoi occhi nel tuo impulso lussurioso».
Ma perché proprio lo Tzitzit?
Rashi (a Numeri 15,39) ha bisogno di ricorrere alla numerologia nel tentativo di trovare un significato in tzitzit:
«perché il valore numerico delle lettere della parola tzitzit è seicento, e ci sono otto fili e cinque nodi nelle frange, così che hai seicentotredici [che è il numero dei precetti della Torah]».
Gli studi biblici critici moderni spostano la discussione in una nuova direzione: uno studio di Jacob Milgrom del 1981 (“La nappa e il tallith”, «The JPS Torah Commentary», Philadelphia JPS, 1990, excursus 38, pp. 410-414 ) ha mostrato come la letteratura e l’arte antica del Vicino Oriente ci insegnino l’importanza dell’orlo dell’indumento di una persona, come un’estensione della persona e dell’autorità del suo proprietario. Una dichiarazione, insomma, della nobiltà della persona.
Se gli tzitzit trasformano coloro che li indossano in membri della nobiltà, gli israeliti che li indossano ricevono uno status elevato che viene da Dio.
Il significato del Tekhelet
Il tekhelet sullo tzitzit avrebbe la stessa funzione. Non è chiaro quale sia il colore esatto del tekhelet. Milgrom lo vede come “viola-blu scuro”, un colore associato alla regalità. Nel Libano e nel nord di Israele era fiorente la produzione della porpora dal murice: una tintura il cui colore variava dal rosso porpora al viola di Tiro. La tintura viola era costosa, quindi indossare abiti viola era spesso un segno di nobiltà.
La Torah presuppone che ogni israelita possa permettersi un filo tinto di viola-blu, ma in tempi di persecuzione e di povertà il comandamento è stato adempiuto senza il filo tekhelet .
Donne e Tzitzit
In quasi tutte le sinagoghe ortodosse e conservatrici, i tallitot (scialli della preghiera) sono indossati esclusivamente o prevalentemente da uomini. Ma un esame dei primi testi rabbinici mostra che questa non è sempre stata la posizione rabbinica ufficiale.
Secondo il Talmud (b. Menachot 40-43 e y. Berakhot 3:3 [6b]; Sifrei 115) la maggioranza dei rabbini riteneva che le donne fossero obbligate a indossare lo tzitzit nella stessa misura degli uomini. Il Talmud racconta che un saggio del II secolo, Rabbi Judah, era solito «attaccare (frange) tinte di blu ai grembiuli delle donne della sua famiglia» (n. Menachot 43a). Solo un rabbino del II secolo, Rabbi Shimon, era detto esentare le donne dal comandamento dello tzitzit .
I rabbini medievali generalmente adottarono la posizione di Rabbi Shimon. La maggior parte stabilì, tuttavia, che le donne potevano indossare un indumento con tzitzit se lo desideravano. Alcune autorità medievali stabilivano che le donne che indossavano lo tzitzit potessero recitare la benedizione (lodando Dio «che ci ha santificato con i Suoi comandamenti e ci ha comandato di avvolgerci nello tzitzit »). Altri non erano d’accordo. Nel tardo Medioevo e all’inizio dell’età moderna molti rabbini si opposero attivamente alle donne che indossavano lo tzitzit . Ad esempio, Rabbi Jacob b. Moses Moellin (Maharil; Germania, 1360-1427 circa) scrive:
«Anche se ho visto donne indossare abiti a quattro punte con frange, e ancora oggi c’è una donna nel nostro quartiere, mi sembra sorprendente e sono arroganti da parte loro».
Negli ultimi decenni gli scrittori ebrei liberali, anche alcuni provenienti da ambienti ortodossi, hanno sostenuto che le donne ebree osservassero nuovamente il comandamento dello tzitzit , basandosi sui primi testi rabbinici .
La testimonianza di un gentile
Un cattolico francese, Aimé Pallière (1868-1949), amante della lingua e della religione ebraica, quando aveva diciassette anni visitò una sinagoga a Lione nelle ultime ore dello Yom Kippur, mentre veniva recitata la preghiera. Ripensandovi da adulto (1928), così descrisse le sue prime impressioni:
«Lo spettacolo di quel gran numero di uomini riuniti, con le spalle coperte da Talith, svelò improvvisamente ai miei occhi un passato lontano. . . . Vedendo gli scialli da preghiera indossati uniformemente da tutti i partecipanti al servizio, ho sentito che in un certo senso stavano officiando tutti… Nel servizio sinagogale, infatti, tutti gli ebrei sono uguali, tutti sono sacerdoti, tutti possono partecipare alle sante funzioni, perfino officiare a nome dell’intera comunità, quando hanno la formazione richiesta».