Lettura continua della Bibbia: L’ira di Dio

Giudizio universale (particolare). Di Michelangelo Buonarroti – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=9098859

Leggiamo, nella parabola del servo malvagio, che il Re, informato della spietatezza del servo cui aveva condonato un debito enorme, lo punisce inflessibilmente; e Gesù promette altrettanto a coloro che non perdoneranno ai propri fratelli: una pena severa, carcere e torturatori. Si profila qui un tema difficile, l’ira di Dio.

Oggi si preferisce cancellare dalla Scrittura quanto non ci soddisfa, ottenendo invece un volto di Dio zuccheroso, mielato. Dio è Amore, si dice, ed è vero. Ma cos’è l’Amore? È accondiscendenza, acquiescenza? No: è volere il bene dell’amato, a qualunque costo.

L’ira di Dio non è relegata nell’Antico Testamento

Il tema dell’ira di Dio è forse il più scabroso di tutta la Bibbia, perché ci sconcerta e ci spaventa la possibilità che Dio rivolga verso l’uomo un volto terribile, corrucciato, apparentemente vendicativo. Nei secoli passati, quando si era più abituati ad una educazione rigorosissima basata sulla paura, si accettava più facilmente l’idea di un Dio Padre giusto che punisce i peccatori. Il buonismo e lassismo attuale, all’estremità opposta del pendolo della storia, ce la farebbe respingere.

Erroneamente, poi, si vede questo Volto adirato in tutto l’Antico Testamento, ma si ritiene che per fortuna sia venuto Gesù a rivelare che Dio è Padre misericordioso e ci prende come siamo.

Niente di più sbagliato. L’Antico Testamento è pieno della tenerezza paterna / materna di Dio, come il Nuovo Testamento fa risuonare le sue invettive e condanne, dalle apostrofi di Gesù contro gli ipocriti alla durezza di Paolo nelle sue lettere fino al bagno di sangue dell’Apocalisse. Quindi, come interpretare tutto questo?

L’ira di Dio nella lettura di Abramo Heschel

Nessuno meglio di uno studioso ebreo dei nostri tempi, Abramo Heschel, ha saputo spiegare l’idea di «ira di Dio» che ricorre nella Bibbia. L’idea è presente e non si può negare, siamo noi che la comprendiamo male.

L’ira di Dio, scrive Abramo Heschel, non è il contrario dell’amore, è il contrario dell’indifferenza. In contrapposizione all’idea filosofica di Dio come l’Essere che essendo perfettissimo non conosce mutamento e perciò non conosce i sentimenti e vive indifferente e beato in una sorta di iperuranio pago di sé solo senza occuparsi degli affanni umani, il Dio  della rivelazione biblica è il Dio del pathos. Ama ardentemente l’uomo, lo cerca, gli va incontro, vuole il suo bene a tutti i costi. Naturalmente siamo a livello di discorso analogico: parliamo di Dio per analogia con l’esperienza umana, rifacendoci ai termini che essa ci mette a disposizione, altrimenti di Dio, l’Ineffabile, non potremmo dir nulla.

Il Dio dei profeti non è il Dio dei filosofi: ama, e – se così si può dire, sempre per analogia – soffre, se il suo amore viene respinto: soffre per la sua creatura, che respingendo lui respinge il proprio bene. Questo amore ferito lo ha portato fin sulla croce, nella persona del Figlio… Una volta tanto, potremmo sottoscrivere una frase di Nietzsche: «Anche Dio ha il suo inferno: è l’amore per gli uomini».

L’amore non consente a Dio di rimanere impassibile di fronte alla rovina che gli uomini si scavano davanti con le proprie mani. Interviene nella storia con parole e gesti di salvezza: talvolta, con parole e gesti assai duri che sembrerebbero contraddire il suo amore.

L’ira come espressione dell’amore

Noi, nella nostra umana imperfezione, siamo abituati a vedere l’ira come un sentimento che annulla tutti gli altri e che quindi è contrario all’amore e lo uccide sostituendolo con l’astio. In realtà non è così. L’ira di Dio non è altro che la manifestazione dell’amore ferito che con tutti i mezzi cerca di richiamare a sé l’amato, ricorrendo anche alle parole grosse, anche alle punizioni; ma «Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva». Il castigo è sempre funzionale alla conversione: è l’estrema arma di amore cui Dio ricorre di fronte alla pervicacia con cui l’uomo resiste ai suoi richiami più dolci.

L’ira di Dio non è altro che uno strumento del suo amore. L’ira è finalizzata alla propria cessazione, solo l’amore dura per sempre. Quello che la Bibbia ci pone davanti grazie all’esperienza storica del popolo di Dio, dunque, non è una specie di Giano bifronte che abbia due volti, uno amorevole e l’altro sdegnato, ma un Dio padre, madre, amico, sposo, divenuto in Cristo, persino, nostro fratello, che ricorre di volta in volta a quegli atteggiamenti più teneri o più severi che meglio fungono da richiamo a sé. L’ira di Dio non ha altro senso.

L’inferno

Tuttavia, rimane la terribile possibilità che la scelta etica dell’uomo respinga la comunione con Dio per accartocciarsi dentro se stesso: e questo è l’inferno, l’autocondanna a trascorrere in compagnia di se stessi l’eternità. Non si tratta di una vendetta divina, di una collera che voglia accanirsi su chi ha respinto tutte le profferte di amore del Signore. La scelta nell’eternità si fa definitiva e cristallizza l’uomo in ciò che desidera essere: «Dio» o «Io». Come ha ribadito C.S. Lewis, «le porte dell’inferno sono chiuse dall’interno». È appropriata una sua citazione:

«Sono propenso a credere che i dannati siano, in un certo senso, quei ribelli che restano tali fino alla fine, che le porte dell’Inferno se le siano chiuse dall’interno.

Tutti quelli che sono all’Inferno, sono lì per loro scelta. Senza quella auto-decisione non ci sarebbe nessun Inferno per loro. Nessuna anima che seriamente e costantemente desidera la gioia, mai la perderà».