L’Inferno secondo C.S. Lewis

L'Inferno al modo di C.S. Lewis. Foto di Daniel Brachlow da Pixabay 
Foto di Daniel Brachlow da Pixabay 

Può esistere l’inferno? Qui parleremo dell’Inferno secondo C.S. Lewis. L’immagine non vi tragga in inganno, perché l’Inferno secondo C.S. Lewis non è questo.

Ma perché un capitolo sull’Inferno in questo saggio che vaglia le ragioni della sofferenza? Beh, è semplice: si può immaginare sofferenza peggiore di quella infernale? Anche la sola possibilità dell’esistenza di un Inferno eterno sembra contraddire l’onnipotenza e soprattutto la bontà di Dio. Non contrasta radicalmente con la fede nella sua infinita misericordia?

Veramente, lo specialista in materia di inferni è l’ironico diavolaccio Screwtape / Berlicche, estensore, con il sostanziale apporto di Lewis, delle omonime Lettere. In questo incredibile libro, che vedrà la luce solo dopo la pubblicazione de Il problema della sofferenza, noi abbiamo già esaminato quanto attiene all’argomento «guerra», perché è un libro scritto durante i bombardamenti di Londra. Ma anche in questo primo saggio lewisiano siamo in tema. L’Inferno, infatti, è sempre in agguato, e l’argomento è scottante (passatemi il gioco di parole, mi è venuto così).

L’Inferno secondo C.S. Lewis: «Io sono mio»

Lewis ribadisce che da parte di Dio consentire il libero arbitrio significa che alcune persone sceglieranno la ribellione e non tutti saranno salvati. Il suo commento è:

«Non c’è altra dottrina che eliminerei più volentieri dal cristianesimo di questa, se fosse in mio potere di farlo. Ma essa è confermata pienamente dalle Scritture e particolarmente dalle parole stesse del Signore; è sempre stata sostenuta dal cristianesimo e ha anche l’appoggio della ragione… pagherei qualsiasi prezzo per poter dire con sincerità: “Tutti saranno salvati”, ma la mia ragione ribatte: “Senza o con il loro consenso?”. Se dico “Senza il loro consenso” incorro subito in una contraddizione: come è possibile che il supremo atto volontario dell’abbandono di sé possa essere involontario? Se dico “Con il loro consenso” la mia ragione risponde: “E se non vogliono cedere?”».

La dottrina dell’esistenza dell’inferno, afferma Lewis, è uno dei motivi «per cui il cristianesimo è attaccato come una religione barbarica, e la bontà di Dio contestata. Ci dicono che è una dottrina odiosa – e in effetti anch’io la odio fin dal profondo del cuore – e ci ricordano tutte le tragedie della vita umana che sono nate dal credervi. Ma delle altre tragedie che derivano dal non credervi non si parla tanto. Per queste ragioni, e solo per queste, diventa necessario discutere la questione».

Tanta misericordia, eppure l’Inferno esiste

Il cristianesimo ci presenta «un Dio tanto misericordioso da diventare uomo e da morire torturato per evitare alle Sue creature quella rovina finale, ma che, quando questo eroico espediente fallisce nel suo scopo, non sembra disposto o sembra perfino incapace di arrestare quella rovina con un atto di pura forza… E il vero problema è questo: tanta misericordia, eppure l’Inferno continua ad esistere».

Non condono, ma perdono

Un equivoco, chiarisce Lewis, viene dalla confusione che facciamo tra il concetto di condono e quello di perdono. «Condonare un male è semplicemente ignorarlo, considerarlo come se fosse un bene. Ma il perdono, se deve essere completo, deve essere accettato oltre che offerto, e chi non ammette colpa non può accettare il perdono».

Il condono, cioè, non comporta alcun coinvolgimento personale: si accetta, e basta, anche persistendo nell’errore. Il perdono richiede invece il riconoscimento della colpa. Se questo non c’è, non c’è perdono. Leggo nel dizionario: il condono è la remissione della pena; il perdono è un atto di generosità che ripristina il rapporto personale. Il condono si può ricevere meccanicamente, il perdono richiede un cambiamento sia in chi lo dona sia in chi accetta di accoglierlo.

Questa distinzione è fondamentale, perché spesso i due termini si confondono e per spirito di buonismo si pensa che perdonando si debba anche automaticamente condonare. Perdonare una persona non significa convalidare i suoi comportamenti sbagliati, soprattutto se feriscono gli altri, in particolare i più fragili.

E poi, chi dice che l’Inferno sia un castigo inflitto dall’esterno?

L’Inferno secondo C.S. Lewis: è una libera scelta

La perdizione di un uomo malvagio, afferma Lewis, non è una condanna inflittagli dall’esterno, ma il «puro e semplice fatto che lui rimane quello che è». La caratteristica delle anime perdute è «il loro rifiuto di qualsiasi cosa che non sia loro stesse» (Von Hügel, Saggi e discorsi). «La sensibilità verso quello che è altro da sé, cioè la possibilità stessa di godere il bene, è spenta in lui [nel malvagio], tranne nel fatto che il suo corpo lo spinge ancora a un rudimentale contatto con il mondo esterno. La morte elimina anche quest’ultimo contatto. Lui ha quello che vuole – vivere totalmente chiuso in se stesso e sfruttare al massimo quello che vi trova. E quello che vi trova è l’Inferno». In altra opera, Lewis citerà quello che secondo il predicatore e scrittore scozzese George MacDonald è il principio dell’Inferno: «Il principio primo dell’inferno è: Io sono mio».

Può esistere l’inferno? Un’eternità per punire un peccato?

Una seconda obiezione a cui Lewis risponde è quella riguardante la sproporzione tra l’eternità della dannazione e la transitorietà del peccato. Se l’inferno è per l’eternità, allora come punizione supera di gran lunga qualsiasi cosa potremmo fare sulla terra. «Una forma semplificata della stessa obiezione consiste nel dire che la morte non dovrebbe essere definitiva, che ci dovrebbe essere offerta un’altra “chance”. Sono convinto che se un milione di possibilità potessero risolvere qualcosa, ci verrebbero fornite. Ma spesso un maestro sa, anche quando gli allievi e i genitori non lo sanno, che è perfettamente inutile far ripetere a un certo allievo un certo esame. Prima o poi deve esserci un giudizio conclusivo, e non ci vuole una fede molto robusta per credere che l’Onnisciente sappia quando».

Possiamo insomma stare tranquilli, secondo C.S. Lewis, che Dio ci dà tutte le chances possibili ed immaginabili, anche un milione di chances se servissero. Ma il problema non si esaurisce qui.

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