L’Inferno ha un senso?

William Blake, La porta dell’Inferno (circa 1824-7). Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=18138365

L’Inferno ha un senso? Si può considerare la sua esistenza contraddittoria con l’amore infinito di Dio, e secondo una certa ottica è così. Ma se leggiamo l’iscrizione che Dante pone sulla sua Porta – iscrizione teologicamente ineccepibile –  vediamo che la questione è un po’ diversa. Attraverso questa iscrizione, Dante fa dire alla Porta dell’Inferno:

«Per me si va ne la città dolente,

per me si va ne l’etterno dolore,

per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio alto fattore:

fecemi la divina Podestate,

la somma Sapienza e ’l primo Amore.

Dinanzi a me non fuor cose create

se non etterne, e io etterno duro.

Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate» (Inferno III,1-9).

Riconoscere la Giustizia divina come causa dell’esistenza dell’inferno, passi. Ma Dante riconosce l’Amore, terza Persona della SS. Trinità, come suo costruttore. È mai possibile che l’Inferno sia un atto dell’Amore divino, oltre che della sua Giustizia, Onnipotenza, Sapienza? Che senso ha?

L’inferno: cosa non è

Chiariamo i termini. L’inferno non sono gli inferi, l’Ade, luogo ultraterreno che nella mitologia greco-romana, e non solo, accoglie tutte le ombre dei defunti senza distinzioni. Nel mondo biblico corrisponde allo Sheol, la fossa comune che inghiotte tutti i viventi. Per molti secoli il popolo di Israele non ha conosciuto sviluppi della rivelazione su questo punto, considerando la morte – e la discesa nello Sheol – il punto di arrivo della vita umana.

Gli inferi, le regioni sotterranee, lo Sheol, in greco Ades, l’abisso di morte che inghiotte tutti gli uomini, non è visto in questa concezione arcaica come un luogo di punizione, ma semplicemente come la dimora dei morti: senza luce, senza gioia, senza speranza. È questo il senso della «discesa agli inferi» di Gesù dopo la morte per liberare gli antichi padri, gli uomini giusti morti senza il battesimo, dalla loro prigione. L’Inferno è un’altra cosa.

La Geenna

Foto di Samuel Faber da Pixabay

L’Inferno, in greco Tartaros, è descritto nella Bibbia come il luogo del castigo eterno per i malvagi.

L’idea è attestata nell’Antico Testamento fin da Dn 12,2:

«Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno; gli uni per la vita eterna, gli altri per la vergogna e per una eterna infamia».

Già presente nei testi più recenti delle Scritture ebraiche, l’idea dell’Inferno è ampiamente affermata e sviluppata nella rivelazione cristiana:

«Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna» (Mt 10, 28b).

È lo stesso luogo di tormento in cui è collocato il ricco epulone (Lc 16,23).

Il nome Geenna deriva dalla valle di Ge-Hinnom, luogo infame dove gli empi re di Gerusalemme bruciavano i propri figli immolandoli agli idoli e dove in tempi più recenti si bruciavano, in un fuoco che non si spegneva mai, i rifiuti. Evoca, perciò, l’idea di qualcosa che non si consuma mai, di una pena eterna. Leggiamo in Mt 25, 45-46:

«Poi dirà a quelli alla sua sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli… In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».

Questa terribile possibilità è indiscutibilmente attestata dall’intero Nuovo Testamento, oltre che dai testi più recenti dell’Antico. Ma l’amore di Dio, allora, dove va a finire?

La Geenna è compatibile con l’Amore di Dio?

È compatibile, anzi ne è una conseguenza, se è rettamente intesa. Se ne fraintenderebbe completamente il significato se si interpretasse l’Inferno come una forma di sadismo da parte di Dio. Lo stato dell’uomo che chiamiamo Inferno non è una punizione comminata dal di fuori contro di lui da una Autorità superiore ma esterna. È una scelta personale: il dannato è colui che sceglie di crogiolarsi eternamente nel suo Io invece che affidarsi all’amore di Dio.

L’Inferno è, quindi, lo stato dell’anima che sceglie di rimanere separata da Dio per l’eternità. Lo spiega anche Benedetto XVI in Spe salvi 45:

«Con la morte, la scelta di vita fatta dall’uomo diventa definitiva – questa sua vita sta davanti al Giudice. La sua scelta, che nel corso dell’intera vita ha preso forma, può avere caratteri diversi. Possono esserci persone che hanno distrutto totalmente in se stesse il desiderio della verità e la disponibilità all’amore. Persone in cui tutto è diventato menzogna; persone che hanno vissuto per l’odio e hanno calpestato in se stesse l’amore. È questa una prospettiva terribile, ma alcune figure della stessa nostra storia lasciano discernere in modo spaventoso profili di tal genere. In simili individui non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile: è questo che si indica con la parola Inferno (cfr. CCC nn. 1033- 1037)».

L’Inferno secondo C.S. Lewis: «Io sono mio»

Un autore cristiano che fu molto stimato da Benedetto XVI, e che ha approfondito il senso dell’Inferno, è C.S. Lewis. La perdizione di un uomo malvagio, afferma Lewis, non è una condanna inflittagli dall’esterno, ma il «puro e semplice fatto che lui rimane quello che è». «Lui ha quello che vuole – vivere totalmente chiuso in se stesso e sfruttare al massimo quello che vi trova. E quello che vi trova è l’Inferno». Lewis cita a questo proposito quello che secondo il predicatore e scrittore scozzese George MacDonald è il principio dell’Inferno: «Il principio primo dell’inferno è: Io sono mio».

Io penso che alla fine vi sia la possibilità di tre esiti diversi dipendenti da tre scelte diverse:

  • Vedersi con gli occhi di Dio e poter gioire in lui: è il Paradiso.
  • Vedersi nella propria realtà con gli occhi di Dio e pentirsi: questo è il Purgatorio.
  • Guardarsi finalmente come realmente si è e compiacersi di se stessi: è l’Inferno.

Per una simile persona, che si compiace del proprio Io, l’Inferno sono gli altri. Rubo questa famosa espressione dall’opera teatrale A porte chiuse (1944) di Sartre, anche se la intendo un po’ diversamente dallo scrittore francese. In questo dramma, alcune persone scellerate e veramente spregevoli capiscono di essere dannate ed attendono in una stanza che entrino i demoni a torturarle. Ma nessuno entrerà, saranno esse stesse a torturarsi reciprocamente nell’attesa; alla fine si accorgeranno anche che la porta della stanza non è mai stata chiusa e avrebbero potuto uscire a loro piacimento, tuttavia resteranno nel loro inferno privato. L’Inferno è l’opzione di chi idolatra il proprio Io e se lo sceglie per l’eternità a preferenza di tutto il resto.