Lettura continua della Bibbia. L’ideale etico di Michea (6,1-8)

L'ideale etico di Michea
Il profeta Michea.  Ambito bresciano post 1490 – ante 1510, Rovato (BS), Chiesa di S. Stefano
Lombardia Beni Culturali. Fonte immagine: https://www.lombardiabeniculturali.it/opere-arte/schede/4h040-00060/

L’ideale etico di Michea. È molto semplice ed essenziale ed è tracciato in maniera straordinariamente concisa e penetrante desumendolo dalla intera Legge di Mosè.

Dio intenta un processo (rîb) contro Israele, proponendosi anch’Egli come possibile colpevole:

«Popolo mio, che ti ho fatto?

In che ti ho nuociuto? Rispondimi!

4 Io ti ho fatto salire dalla terra d’Egitto

e ti ho riscattato dalla casa di schiavitù!

Ho inviato davanti a te Mosè,

Aronne e Maria con lui!

5 Popolo mio, ricorda le trame di Balàk, re di Moab,

e che cosa gli ha risposto Bàlaam, figlio di Beor,

nella tua marcia da Sittìm a Gàlgala,

per riconoscere le meraviglie del Signore!».

Il processo viene tenuto davanti ai monti, con i LXX, oppure con i monti, secondo il TM, in cui i monti sarebbero forse gli accusati, simboleggiando il popolo (meno probabile).

Il lamento di Dio esprime il suo intimo dolore (popolo mio…) e persino l’assurda possibilità di una sua colpevolezza.

L’ideale etico di Michea

A questo punto (v. 6) il popolo dà la sua risposta, in forma interrogativa. Israele comprende infatti di essere lui il colpevole e cerca di riparare. Ma come? nel culto, con vittime perfette nel sacrificio più eccelso? con l’offerta del primogenito?

«Con che mi presenterò davanti a JHWH,

mi incurverò davanti al Dio Altissimo?

Mi presenterò a lui con olocausti [i sacrifici più preziosi],

con giovenchi di un anno[le vittime più pregiate]?

Può gradire JHWH migliaia di montoni [una quantità enorme],

miriadi di rivoli d’olio?

Dovrò offrire il mio primogenito per il mio delitto,

il frutto del mio seno per il mio peccato?» (6,6 s.).

Benché severamente proibito in Israele (Gn 22; Dt 12,31; Lev 18,21) e sostituito con il riscatto mediante l’offerta di animali (Es 34,19), il sacrificio umano, e specialmente dei primogeniti, è sempre stato praticato con l’idea che fosse il più gradito a Dio (la figlia di Jefte: Giud 11,29.40; un certo Hiel di Bethel al tempo del re Achab: 1 Re 16,34; i re Achaz e Manasse: 2 Re 16,3 e 21,6).

Israele pensa, cioè, in termini cultuali. Ma l’offerta gradita a Dio è la vita morale:

«Ti è stato annunziato, o uomo, ciò che è bene

e ciò che il Signore cerca da te:

compiere la giustizia, amare la tenerezza,

camminare umilmente con il tuo Dio!» (6,8).

La scelta etica di Michea nei particolari

Vediamo adesso quale sia l’ideale etico di Michea nei particolari. Nella prima parte di questo versetto vi è corrispondenza simmetrica fra mah-tôb = ciò che è buono e mah-JHWH dôrēsh = ciò che richiede JHWH: i due elementi si equivalgono come sinonimi, il bene è ciò che ricerca JHWH.

L’uomo (’ādām) è Israele in quanto “uomo religioso”, popolo dell’alleanza che deve dare risposta ai benefici divini.

Higgîd = è stato detto (insegnato), cioè tramandato, dai profeti, dai sapienti, dalla Legge di Mosè; questa è la sintesi micheana di tutta quanta la Legge:

  1. ’Im-’asôt mispat, fare la giustizia: consiste nel riconoscere il diritto del più debole, la sua dignità di uomo. V. anche Is 1,17: «Imparate a fare il bene, ricercate il diritto, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la vedova».
  2. ’Ahavat chesed, amare la bontà. Sono, queste, due parole ricorrenti nella profezia di Osea: ’āhab = amare e chesed = bontà, benevolenza, pietà. Questo secondo termine indica la comprensione e misericordia verso il proprio simile, verso i componenti della comunità, ma anche la devozione (pietas) verso Dio che ne è alla base. Pur impiegando largamente entrambi i termini, Osea non li ha mai accostati. Invece Michea li unisce: è lo chesed che qualifica l’amore, che ne fa un amore vissuto non con interesse egoistico, con sopraffazione, ma con dedizione, delicatezza, gratuitamente.
  3. Haznea‘ lechet ‘im-’elohekâ, camminare con umiltà con il tuo Dio. Lo zenûa è il contrario dell’arrogante, colui che conosce e accetta i suoi limiti, quindi il fedele che confida in Dio e attende da Lui ogni suo bene. È l’umile, il povero di JHWH. Leket = camminare è usato qui non con i più usuali ’aharê = dietro o lephānāj = al cospetto, ma con‘im (con), in modo da diventare tutt’uno con la persona nella quale si crede. Chi è con Dio non può non essere con gli altri nella giustizia e nella dedizione. L’adesione umile a Dio è il fondamento della condotta dell’uomo.