Talvolta si notano sorprendenti corrispondenze tra scrittori che hanno poco o niente a che vedere l’uno con l’altro, e scarse possibilità che abbiano conosciuto gli scritti l’uno dell’altro seppure in parte. Una di queste coincidenze si può riscontrare fra lo scrittore cristiano, apologeta per eccellenza, C.S. Lewis, e il nostro Giovanni Pascoli: la Terra come pianeta silenzioso, come “pecorella smarrita” dei pianeti.
Conosciamo ormai il romanzo fantascientifico e fantateologico di C.S. Lewis, Lontano dal Pianeta Silenzioso (1938), in cui la Terra è il pianeta tagliato fuori dalla danza cosmica a causa del peccato dei suoi abitanti, peccato originale che sugli altri pianeti rimane sconosciuto; ma già il Pascoli aveva espresso un simile concetto in un suo poemetto del 1909 (Nuovi Poemetti), La Pecorella Smarrita!
1. L’immensità del cosmo
Protagonista del poemetto, perché suo è il punto di vista che getta uno sguardo sull’universo, è un anonimo frate che prima dell’alba, nell’imminenza del Natale, esce in quella che è ancora una tersa notte lucida di stelle.
«Era il dì del Signore, era l’avvento.
Spariva sotto i baratri profondi
colmi di stelle il tacito convento.
– Mucchi di stelle, grappoli di mondi,
nebbie di cosmi…
In quella immensa polvere di luce
splendeano, occhi di draghi e di leoni,
Vega, Deneb, Aldebaran, Polluce…
E il frate udì, fissando i milïoni
d’astri, il vagito d’un agnello sperso
là tra le grandi costellazïoni
nella profondità dell’Universo…».
2. La piccolezza della Terra
Il frate è come annichilito dal pensiero della piccolezza della Terra rispetto all’immensità del cosmo:
«E il dubbio entrò nel cuore tristo e pio.
“Che sei tu, Terra, perché in te si sveli
tutto il mistero, e vi s’incarni Dio?
O Terra, l’uno tu non sei, che i Cieli
sian l’altro! Non, del tuo Signor, sei l’orto
con astri a fiori, e lunghi sguardi a steli!
Noi ti sappiamo. Non sei, Terra, il porto
del mare in cui gli eterni astri si cullano…
un astro sei, senza più luce, morto:
foglia secca d’un gruppo cui trastulla
il vento eterno in mezzo all’infinito:
scheggia, grano, favilla, atomo, nulla!”».
La pecorella smarrita
Incontra poi i pastori coi loro greggi,sente il suono della zampogna, e subito gli si affaccia alla mente la parabola evangelica della pecorella smarrita:
«Così pensava: al sommo del suo dito
giungeva allora da una stella il raggio
che da più di mille anni era partito.
E vide una fiammella in un villaggio
lontano, a quelle di lassù confusa:
udì lontano un dolce suon selvaggio.
Laggiù da una capanna semichiusa
veniva il suono per la notte pura,
il dolce suono d’una cornamusa.
E risonava tutta la pianura
d’uno scalpiccio verso la capanna:
forse pastori dalla lor pastura.
E il frate al suono dell’agreste canna
ripensò quelle tante pecorelle
che il pastor buono non di lor s’affanna:
tra i fuochi accesi stanno in pace, quelle,
sicure là su la montagna bruna;
e il pastor buono al lume delle stelle
quaggiù ne cerca intanto una, sol una… ».
3. Il Pianeta smarrito
È la Terra la pecorella smarrita dei pianeti; ma proprio per questo Dio si è fatto uomo sulla Terra, e non altrove!
«“Sei tu quell’una, tu quell’una, o Terra!
Sola, del santo monte, ove s’uccida,
dove sia l’odio, dove sia la guerra;
dove di tristi lagrime s’intrida
il pan di vita! Tu non sei che pianto
versato in vano! Sangue sei, che grida!
E tu volesti Dio per te soltanto:
volesti che scendesse sconosciuto
nell’alta notte dal suo monte santo.
Tu lo volesti in forma d’un tuo bruto
dal mal pensiero: e in una croce infame
l’alzasti in vista del suo cielo muto”.
In cielo e in terra tremulo uno sciame
era di luci. Andavano al lamento
della zampogna, e fasci avean di strame.
Ma il frate, andando, con un pio sgomento
toccava appena la rea terra, appena
guardava il folgorìo del firmamento:
quella nebbia di mondi, quella rena
di Soli sparsi intorno alla Polare
dentro la solitudine serena.
Ognun dei Soli nel tranquillo andare
traeva seco i placidi pianeti
come famiglie intorno al focolare:
oh! tutti savi, tutti buoni, queti,
persino ignari, colassù, del male,
che no, non s’ama, anche se niun lo vieti.
Sonava la zampogna pastorale.
E Dio scendea la cerula pendice
cercando in fondo dell’abisso astrale
la Terra, sola rea, sola infelice».
Questa Terra di pianto e di sangue ha preteso l’Incarnazione di Dio nell’uomo, e lo ha crocifisso: proprio per questo Dio, nella serena plaga celeste illuminata da mondi quieti, scende nell’abisso astrale a cercare proprio il Pianeta oscuro, quest’«atomo opaco del Male», come lo aveva definito nel più celebre «X Agosto».
Lewis e Pascoli
Bene, forse qualche altra analogia fra i due scrittori si potrebbe anche trovare, oltre a questo pensiero straordinariamente affine sulla Terra come Pianeta oscuro, pecorella smarrita del Creato.
Vicende familiari
Entrambi, Lewis e Pascoli, avevano conosciuto presto la sofferenza perdendo un genitore in età infantile, e subito dopo l’altro (Lewis non per la morte ma per l’isolamento in cui il padre si era rinchiuso); dapprima si erano stretti forte ai loro fratelli, poi erano cresciuti in collegi che avevano dato loro una buona cultura ma niente più.
Forse per questa infanzia sofferta avevano maturato entrambi una poesia delle piccole cose grazie ad un loro fanciullino interiore che li aveva mantenuti a contatto stretto con le piccole gioie della vita, senza aspirare ad una vistosa grandezza.
Entrambi sembravano destinati a rimanere scapoli a vita, per motivi diversi, anche se Lewis si sposò in tarda età sorprendendo tutti; moriranno entrambi prematuramente, Lewis a 65 anni, Pascoli a soli 57.
Gli studi e la ricerca di senso
Entrambi ottimi umanisti, avevano dedicato la vita alla cultura, ed erano divenuti presto docenti di prestigio, Lewis ad Oxford, Pascoli nei licei classici italiani e successivamente all’università di Bologna, ma si erano dimostrati dotati di una fervida fantasia o vena poetica, che è lo stesso. Incarnarono entrambi la tipica figura del letterato che non si chiude in un mondo astruso di logica, ma ne esce parlando il linguaggio della poesia e dell’immaginazione…
La fede, invece, li divide: quella di carattere intellettuale come adesione ad una confessione religiosa, ma non quella di ricerca di senso. Lewis, dopo aver perso la fede ingenua e tradizionale dell’infanzia, ed essere approdato all’ateismo e poi a un vago spiritualismo idealista, si converte in età adulta al cristianesimo, abbracciando la fede in Cristo come la propria principale ragione di vita; e di fede cristiana permeerà tutte le sue opere letterarie. Pascoli, dopo aver perso la fede ingenua e tradizionale dell’infanzia, era approdato ad un ateismo o agnosticismo cui non aveva mai rinunciato dal punto di vista intellettuale; tuttavia, conservava un senso di ricerca spirituale, un desiderio di Assoluto, e subiva il fascino poetico del Cristo.
Se gli esiti della ricerca intellettuale dei due scrittori li dividono, il senso poetico della fede li accomuna: realtà per l’uno, sogno per l’altro. Ma per Lewis il sogno, il mito, è preludio alla Realtà…