La solennità del Corpus Domini, il cui fulcro è l’Eucaristia, è una delle più grandi feste del mondo cattolico.
Fu istituita ad Orvieto da papa Urbano IV, con la bolla Transiturus dell’11 agosto 1264, dopo aver riconosciuto il miracolo eucaristico di Bolsena. Lo stesso papa incaricò Tommaso d’Aquino di comporre l’officio della solennità. Il Doctor Angelicus risiedeva in quell’anno ad Orvieto, ove insegnava teologia nello Studium. Secondo la tradizione, proprio per la profondità e accuratezza teologica dell’officio composto per il Corpus Domini, Gesù per bocca di un crocifisso gli avrebbe detto: «Bene scripsisti de me, Thoma». L’inno principale del Corpus Domini, cantato nella processione e nei Vespri, è il Pange lingua, la cui parte finale, il Tantum Ergo, è la più nota.
Dalle «Opere» di san Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa
(Opusc. 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4)
L’Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi, da uomini, dèi.
Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra salvezza. Offrì infatti a Dio Padre il suo corpo come vittima sull’altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo purificati da tutti i peccati.
Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino.
O inapprezzabile e meraviglioso convito, che dà ai commensali salvezza e gioia senza fine! Che cosa mai vi può essere di più prezioso? Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella legge antica, ma ci viene dato in cibo Cristo, vero Dio. Che cosa di più sublime di questo sacramento?
Nessun sacramento in realtà è più salutare di questo: per sua virtù vengono cancellati i peccati, crescono le buone disposizioni, e la mente viene arricchita di tutti i carismi spirituali. Nella Chiesa l’Eucaristia viene offerta per i vivi e per i morti, perché giovi a tutti, essendo stata istituita per la salvezza di tutti.
Nessuno infine può esprimere la soavità di questo sacramento. Per mezzo di esso si gusta la dolcezza spirituale nella sua stessa fonte e si fa memoria di quella altissima carità, che Cristo ha dimostrato nella sua passione.
Egli istituì l’Eucaristia nell’ultima cena, quando, celebrata la Pasqua con i suoi discepoli, stava per passare dal mondo al Padre.
L’Eucaristia è il memoriale della passione, il compimento delle figure dell’Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini.
Il “memoriale”
Che l’Eucaristia sia chiamata, da San Tommaso d’Aquino, “memoriale”, non tragga in inganno: il significato della parola “memoriale” non è quello di riportare alla mente o di rievocare nel cuore, ma quello ebraico, assai più forte, di rivivere. La liturgia rende attuale, per chi la celebra, il mistero celebrato; non nel senso di ripeterlo – l’evento salvifico si è compiuto una volta per tutte – ma nel senso di portare il credente dentro l’evento stesso. Nella celebrazione pasquale ebraica si dice: «In ogni generazione ognuno deve considerarsi come se egli stesso fosse uscito dall’Egitto, perché il Signore stesso non ha liberato soltanto i nostri padri, ma anche noi insieme con loro» (Haggadah di Pesach) (un articolo QUI).
Ecco, il memoriale eucaristico porta i credenti nel Cenacolo, ai piedi della Croce, davanti al Risorto: questa è la fede della Chiesa cattolica, ortodossa e anglicana (della Chiesa Alta) – anche se per quest’ultima non è riconosciuta dalla Chiesa cattolica la validità del sacramento dell’ordine e quindi neppure del sacramento eucaristico.
Una scena del Gesù di Nazareth di Zeffirelli QUI.
Persone che vivono di Eucaristia
L’Eucaristia è, ovviamente, il sacramento di tutti i cristiani. Ma ci sono moltissimi istituti religiosi che sono particolarmente contrassegnati dalla spiritualità eucaristica. È il caso dell’istituto delle Clarisse missionarie del Ss. Sacramento, quello in cui mia figlia Sara ha scelto di dedicare la propria vita al Signore. Poiché mia figlia celebra questo anno le nozze d’argento, cioè il 25° anniversario di professione religiosa, vi propongo QUI un breve video in cui alcune suore parlano della propria esperienza e della loro fondatrice Madre Serafina Farolfi; l’ultima è mia figlia Sara.
La Presenza reale
Detto questo, mi limiterò a confutare gli attacchi che una nota setta compie nei confronti del significato più profondo dell’Eucaristia.
Essendo tale corrente religiosa di estrazione protestante, il non credere alla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia è ovvio. Come è risaputo, per la maggior parte dei protestanti l’Eucaristia, pur essendo riconosciuta come un sacramento istituito da Gesù, ha solo valore simbolico. Soltanto il Luteranesimo vi riconosce la Presenza reale di Cristo, non nella forma della transustanziazione (trasformazione della sostanza del pane e del vino nella sostanza del Corpo e del Sangue del Signore) ma nella forma della consustanziazione (compresenza della sostanza del pane e del vino con la sostanza del Corpo e Sangue di Gesù). Tuttavia, una cosa è interpretare un testo secondo una certa ermeneutica, altra cosa è cambiare il testo per adattarlo alla propria interpretazione.
Il più breve racconto dell’Istituzione Eucaristica
«Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: ”Prendete, questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti”» (Marco 14,22-24).
Prima di andare avanti, chiarisco che quel «molti» per i quali è versato il sangue del Signore non vuol dire «molti sì, alcuni no» come potrebbe sembrare, ma, conformemente al senso ebraico della parola rabbîm, indica una grande quantità, senza differenziare fra totalità e maggioranza. Il senso preciso è «moltitudine», senza che si ponga un problema teologico di salvezza per molti ma non per tutti.
Le affermazioni del TdG
I testimoni di Geova vi diranno:
«Gesù stesso istituì “il pasto serale del Signore”. Voleva forse istituire un rito misterioso nel quale i suoi seguaci avrebbero mangiato il suo corpo e bevuto il suo sangue?
È vero che alcune traduzioni bibliche rendono le parole di Gesù con “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”, e “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue”. Ed è vero che la forma verbale greca estìn – terza persona singolare dell’indicativo presente del verbo “essere” – fondamentalmente significa “è”. Ma lo stesso verbo può voler dire anche “significare”.
Comunque sia, Gesù non poteva voler dire che i suoi seguaci dovevano mangiare la sua carne e bere il suo sangue in senso letterale, perché dopo il diluvio Dio proibì esplicitamente di consumare sangue (Gn 9,3-4), lo ribadì nella Legge mosaica e ispirò agli apostoli di confermarlo.
Gesù usò il pane e il vino come simboli. Nell’istituire questo pasto, Gesù non compì nessun miracolo: non trasformò gli emblemi nella sua carne e nel suo sangue letterali.
Mangiare carne umana e bere sangue sarebbe stato cannibalismo, una violazione della legge di Dio.
Gesù aveva ancora tutto il suo corpo carnale e tutto il suo sangue. Il suo corpo fu offerto come sacrificio perfetto e il suo sangue fu versato il pomeriggio seguente, nel medesimo giorno ebraico, il 14 nisan.
Perciò il pane e il vino sono solo simboli che rappresentano il corpo e il sangue di Cristo».
Risposta
Anche qui, come in altri casi, abbiamo la mescolanza di una piccolissima parte di verità con una grande massa di menzogne.
Innanzi tutto, riguardo all’eucaristia, tutto il mondo protestante (con l’esclusione dei luterani che credono nella presenza reale come consustanziazione) ritiene che si tratti di un simbolo, e questo ci porterebbe lontano. Ciò che vogliamo qui contestare è la scorrettezza della Traduzione del Nuovo Mondo, che rende la frase dell’istituzione eucaristica con «Questo significa il mio corpo… questo significa il mio sangue» (Mc 14,22 ss. e paralleli) allo scopo di escludere la possibilità dell’interpretazione nel senso di una presenza reale e di ridurla per forza ad una presenza meramente simbolica.
Non è vero che «alcune traduzioni» rendono il verbo con «è»: correttamente, tutte le traduzioni, cattoliche o protestanti che siano, tranne la loro, rendono il verbo con «è», anche nel caso in cui l’interpretazione risulti solo simbolica.
Per escludere, poi, il simbolismo, basti dire che la formula dell’Ultima Cena deve essere interpretata con il realismo del discorso eucaristico di Gv 6,51- 58: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo… In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. La mia carne infatti è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda»; e quando anche i discepoli se ne scandalizzano, Gesù non ritratta, non li corregge con una frase del tipo «Ma no, io parlavo in modo simbolico», anzi è disposto a lasciarli andar via ribadendo che le sue parole vengono dallo spirito (Gv 6,61-69).
In secondo luogo, nessuno ha mai detto che nell’Eucaristia mangiamo fisicamente il corpo biologico di Gesù, quei settanta – ottanta chili che l’Uomo di Nazareth pesava, durante il «Pasto serale» (chiamarlo «Cena» richiamerebbe troppo il linguaggio cristiano) e che secondo loro è evaporato nel sepolcro, quindi non esiste più. Nell’Eucaristia ci alimentiamo misticamente di Lui, il che è ben diverso.
Quanto all’affermazione che il discorso di Gesù è solo simbolico perché dopo averlo pronunciato il Signore aveva ancora tutta la sua carne e tutto il suo sangue, è talmente ridicola che non necessita commento.
Sulla proibizione di consumare sangue, invece, desidero soffermarmi perché ha anche a che fare con le trasfusioni.
È da mettere in discussione la donazione di sangue?
Vi diranno:
«Sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento troviamo il comando di astenerci dal sangue (Gn 9,4; Lv 17,10; Dt 12,23; At 15,28-29). Inoltre agli occhi di Dio il sangue rappresenta la vita (Lv 17,14). Pertanto non accettiamo il sangue non solo per ubbidienza a Dio, ma anche in segno di rispetto per lui in quanto Datore di vita. La trasfusione poi equivale a mangiare il sangue di un’altra persona, quindi è proibita».
Risposta:
La questione si sviluppa su un duplice versante.
- È valida anche per i cristiani la legge ebraica che proibisce di cibarsi di sangue?
- Ammesso che ciò sia vero, il divieto si estenderebbe alla trasfusione di sangue?
Il divieto, valido ancora oggi per gli ebrei, di cibarsi del sangue, vige anche per i cristiani?
La Legge imponeva ed impone agli ebrei di astenersi dal consumare sangue. Infatti il sangue rappresenta la vita, di cui è padrone Dio solo; perciò l’uomo, che ha soltanto l’usufrutto e non la proprietà del creato, non deve appropriarsi del sangue cioè della vita, che appartiene a Dio e a Dio deve tornare. Inoltre, bere il sangue delle vittime era una prassi diffusa nei culti idolatrici, e veniva combattuta nella legge ebraica.
Ma questo vale anche per i cristiani? Apparentemente, si potrebbe sostenere di sì. At 15,28-29 riferisce: «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla porneia».
Questa prescrizione che ebbe valore solo temporaneo deve essere compresa nel contesto in cui nacque: i cristiani giudaizzanti avrebbero voluto imporre ai pagani la circoncisione, affermando che solo attraverso l’appartenenza alla fede di Israele ci si poteva convertire al cristianesimo; S. Paolo sosteneva che solo la fede in Cristo salva, e non le opere della legge di Mosè cui i giudaizzanti volevano obbligare i pagani.
La questione fu risolta verso l’anno 50 dal cosiddetto «Concilio di Gerusalemme», nel quale gli apostoli lì convenuti decisero solennemente («Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi…») che l’osservanza della Legge di Mosè, e soprattutto la circoncisione, non poteva essere imposta ai pagani, ma si chiedeva loro di osservare solo tre divieti: astenersi dagli animali immolati agli idoli, dal sangue e dalla carne contente sangue e dalla «porneia». Ma qual è il significato di tutto questo per noi? Lo chiarisce molto bene san Paolo nella prima lettera ai Corinzi.
La questione della carne immolata agli idoli e del sangue
In 1Cor 8 l’apostolo affronta una questione che angustiava la comunità: è lecito o no mangiare le carni di vittime immolate nei culti idolatrici? Queste carni venivano in parte vendute al mercato a basso prezzo, un’offerta conveniente per i tanti cristiani poveri. Ma chi credeva in Cristo poteva consumare la carne che proveniva dai templi dei falsi dèi?
Paolo tranquillizza: gli idoli sono nulla, quindi la carne a loro immolata è carne qualunque: «Non sarà certo un alimento a raccomandarci a Dio». Il cristianesimo non ha regole alimentari. Ma se, aggiunge Paolo, mangiando carne immolata agli idoli, io potessi scandalizzare un mio fratello più debole nella fede e indurlo a fare altrettanto con l’idea di compiere un’azione magica, io non mangerò carne in eterno!
Faccio un banalissimo esempio per rendere più chiara l’affermazione paolina. Che un pedone attraversi al semaforo col rosso, se in vista non c’è nessuno, può essere una trasgressione del codice della strada, ma non è un peccato dal punto di vista etico; l’azione è neutra, non ha carattere morale o immorale. Ma se è presente un bambino che lo vede, e che può essere indotto da questo esempio ad attraversare anche lui col rosso, mettendo a rischio la propria vita, allora non si può!
La stessa cosa vale per l’astensione dal sangue: di per sé non ha valore morale, ma è regola di carità non turbare i fratelli giudeo-cristiani, abituati da sempre a mangiare solo carne privata del sangue.
Gesù aveva già chiarito la questione: non sono i cibi a contaminare l’uomo, ma ciò che ha nel cuore: «Dichiarava così mondi tutti gli alimenti» (Mc 7,18-23). Questo, prima della questione dei giudaizzanti.
Ma anche dopo san Paolo rincalza: «Chi crede pienamente, pensa di poter mangiare di tutto; colui invece che è debole nella fede mangia solo legumi … Se tuo fratello è addolorato a causa del cibo, tu non ti comporti più secondo l’amore. Non mandare in rovina per il tuo cibo colui per il quale Cristo è morto. Il regno di Dio, infatti, non è cibo o bevanda, ma giustificazione e pace e gioia nello Spirito Santo… Non distruggere, a causa di un cibo, l’opera di Dio! Tutto è puro, ma è male per chi mangia dando scandalo. Perciò è bene non mangiare carne né bere vino né fare alcunché per cui il tuo fratello possa prendere occasione d’inciampo» (Rm 14,2-21).
Sostanzialmente, come si dirà poi nella lettera a Tito (1,15), «tutto è puro per i puri» (l’«Omnia munda mundis» del manzoniano padre Cristoforo), ma ci si deve comportare in modo da non mettere in difficoltà i più deboli. All’epoca, veder mangiare carne di un certo tipo avrebbe potuto mettere in crisi la fede dei giudaizzanti, perciò doveva essere evitato. Quando non ce ne sono più state le condizioni, il precetto è caduto.
Dello stesso tenore è l’astensione dalla «porneia», che non è adulterio o dissolutezza, ma, come in Mt 19,9, l’unione illegittima o il concubinato, oggi diremmo la «convivenza»: la legge di Mosè, a differenza delle istituzioni giuridiche dei pagani, prevedeva molti casi di illegittimità del matrimonio (ad esempio il matrimonio misto, o contratto all’interno di diversi gradi di parentela) che lo rendevano nullo a tutti gli effetti, quindi non vera unione coniugale ma concubinato.
Concludendo, i cristiani non erano affatto vincolati dalla legge ebraica dell’astensione dal sangue, ma dalla legge della carità per cui dovevano rispettare, nei loro comportamenti, la sensibilità dei fratelli provenienti dall’ebraismo.
È vero che è vietata la trasfusione di sangue?
Ovviamente, cadendo la proibizione di assumere sangue mediante il cibo, a maggior ragione cade anche la proibizione di donare e ricevere il sangue mediante trasfusione.
Vigesse pure, come per gli ebrei contemporanei, l’obbligo di astenersi dal consumare sangue animale, sarebbe ugualmente assurdo equipararlo al divieto di una trasfusione. i rabbini fanno notare che già in epoca biblica il sangue dei sacrifici nel Tempio di Gerusalemme colava in un canale che si scaricava nella valle di Kidron e poi veniva venduto ai giardinieri per servire da concime (Mishnah, Yomà 5,6). Chiarisce infatti Rabbi Riccardo Di Segni:
«Del sangue è proibito solo il consumo alimentare, ma non l’utilizzazione per altri scopi, o il commercio. Non esistono obiezioni ebraiche alle trasfusioni di sangue» (Riccardo Di Segni, Il sangue nelle leggi dietetiche, in AA.VV., Sangue e antropologia biblica, vol. II, Roma 1981, p. 595).
Gli ebrei, che seguono rigidamente il divieto di consumare sangue nel cibo, ammettono tranquillamente la liceità della trasfusione di sangue. Sostenere che chi riceve una trasfusione di sangue «mangia» il sangue del donatore è contro la scienza e contro la fede.
Ma ammettiamo pure questo: il sangue è la vita, appartiene a Dio e l’uomo non può appropriarsene; allora, sbaglio o Qualcuno ha detto che «nessuno ha più grande amore che donare la vita per i suoi amici» (Gv 15,13)? Se il sangue è la vita, e se dobbiamo donare la vita, allora dobbiamo anche donare il sangue… questa è la verità biblica, non il contrario.
Simboli eucaristici
IL PELLICANO
Il simbolo eucaristico del pellicano, non biblico, ma molto diffuso nel Medio Evo, deriva da una credenza popolare secondo la quale questo animale, nel suo grande amore per i piccoli, quando non ha cibo con cui sfamarli, si apre il petto con il becco e li nutre con il suo sangue.
Già S. Agostino commentava: «Può darsi che questo sia vero, può darsi sia falso; tuttavia se è vero, vedete come ciò si adatta a Colui che con il suo sangue ci ha dato la vita» (Enarr. in Ps. 101).
Seconda una variante anch’essa diffusa, un serpente, approfittando dell’assenza del padre, uccide i piccoli spargendo nel nido il suo veleno, ma quando il pellicano dopo tre giorni ritorna, si trafigge il petto dal quale sgorga il sangue che ridà la vita ai figli. È ovvio il significato eucaristico che ne deriva per il sangue con cui il pellicano ridà la vita ai piccoli e li nutre.
Dante chiama Cristo «il nostro Pellicano» (Par. XXV,113), sulla linea dell’inno liturgico «Adoro te devote» tradizionalmente attribuito a S. Tommaso d’Aquino (che l’avrebbe composto nel 1264, per l’introduzione della solennità liturgica del Corpus Domini, insieme – come abbiamo detto -al Pange lingua, al Sacris solemniis e al Verbum supernum prodiens) in cui è presente l’invocazione «Pie Pellicane, Jesu Domine».
La leggenda deriva probabilmente dal movimento che il pellicano fa appoggiando il grande becco al petto per rigurgitare il cibo e nutrirne i piccoli.
IL PANE E I PESCI
Il pane è simbolo eucaristico diretto perché è la materia in cui il Cristo si rende realmente presente nel sacramento dell’altare (transustanziazione). L’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci l’ha unito ovviamente all’immagine del pesce, il cui nome, in greco, forma con le proprie lettere I CH TH Y S le iniziali della frase «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore»: Iesous Christos Theou Yios Soter.