La lettera di Giacomo, insieme ad altri sei scritti neotestamentari (Ebrei, Apocalisse, 2 Pietro, Giuda, 1 e 2 Giovanni), è stata messa in discussione dalle comunità dei primi secoli quanto alla sua ispirazione divina e canonicità. Solo i quattro Vangeli ed Atti, 13 lettere del Corpus Paulinum, la Prima Lettera di Giovanni e la Prima di Pietro furono subito e unanimemente riconosciuti come S. Scrittura.
Lettera di Giacomo: Canonicità
Origene (185-254) è il primo ad affermare inequivocabilmente la canonicità della Lettera di Giacomo, ma attesta che al riguardo vi era stato un acceso dibattito. La sua autorità si imporrà gradualmente, in Oriente sotto l’impulso di S. Giovanni Crisostomo, in Occidente sotto quello di Gerolamo e Agostino. I valdesi, nel Medio Evo, la amavano, per la vicinanza ai poveri, per i consigli di vita, per il rifiuto del giuramento (5,12).
Sappiamo che Lutero la considerava non ispirata, la chiamava la Lettera di paglia in quanto la giudicava futile e diceva che un giorno o l’altro l’avrebbe bruciata. Per la Riforma era difficile da recepire, in quanto sembrava smentire la dottrina paolina della giustificazione per mezzo della sola fede. Più recentemente, ci sono stati in campo protestante tentativi molto ben riusciti di conciliarla con S. Paolo.
In realtà, l’ottica in cui si pone Giacomo in relazione al rapporto fede e opere non è quella di Paolo. Paolo sta parlando delle opere della Legge di Mosè, cioè della sottomissione del pagano ai precetti mosaici in vista del battesimo: se questa viene ritenuta necessaria, come sostenevano i giudaizzanti, allora non è più solo Gesù che salva, ma anche Mosè, e non c’è più un unico redentore dell’uomo e mediatore fra Dio e l’uomo, ma anche Mosè vi prende parte. Invece, in questa prospettiva, solo Cristo salva, e la fede in lui.
Giacomo ha un’altra prospettiva: le opere di cui parla non sono quelle della legge di Mosè, ma le opera di carità che nascono dalla fede. Se la fede non è operosa, significa che è morta. Non vi è quindi contraddizione…
Lettera di Giacomo: la struttura
Già si pone un primo problema riguardo a questa cosiddetta Lettera: è uno scritto unitario o una sorta di antologia? Inoltre: c’è un legame tra il succedersi delle sue varie parti?
I critici hanno risposto in vario modo, andando dalla caoticità suggerita da Lutero al tentativo di scoprirne lo schema letterario. Secondo M. Gärtner si tratterebbe di un’omelia midrashica basata sul Salmo 12,1-5.
2 Salvami, Signore! Non c’è più un uomo giusto;
sono scomparsi i fedeli tra i figli dell’uomo.
3 Si dicono menzogne l’uno all’altro,
labbra adulatrici parlano con cuore doppio.
4 Recida il Signore le labbra adulatrici,
la lingua che vanta imprese grandiose,
5 quanti dicono: «Con la nostra lingua siamo forti,
le nostre labbra sono con noi:
chi sarà il nostro padrone?».
6 «Per l’oppressione dei miseri e il gemito dei poveri,
ecco, mi alzerò – dice il Signore –;
metterò in salvo chi è disprezzato».
Effettivamente, se si confronta il tema di questi versetti con le tematiche della Lettera di Giacomo, si nota una notevole corrispondenza.
In ogni caso, il giudizio che fa di questa lettera un insieme di tessere sconnesse è troppo radicale. In realtà esistono in essa indizi letterari che possono guidare a individuarvi una struttura:
- Il discorso spesso inizia con un imperativo plurale (plurale generico), poi si sviluppa con l’indicativo alla III persona singolare (caso specifico)
- Legami costituiti da particelle grammaticali.
Lettera di Giacomo: una proposta di struttura
Così avremmo la seguente struttura:
- 1,1 Indirizzo e saluto
- 1,2-15 Tentazione, sapienza, perseveranza
- 1,16-26 Parola di Dio e vita cristiana
- 2,1-13 La fede e le sue esigenze concrete
- 2,14-26 La fede e le opere
- 3,1-11 Limiti della parola umana
- 3,12-4,12 I frutti della vita spirituale
- 4,13-5,6 Vanità della ricchezza
- 5,7-20 Vita pratica cristiana