
L’esilio babilonese è stato un’epoca di eccezionale fertilità di pensiero e di spiritualità, non solo in Israele: sono del VI secolo a.C. i grandi fondatori di religioni, Confucio, Lao Tze, Zoroastro e Bubba, e la nascita della filosofia greca. Ma per quanto riguarda Israele, è proprio l’esperienza della tragedia nazionale della caduta di Gerusalemme e della deportazione che suscita, per grazia di Dio, il ministero profetico dei tre grandi Geremia, Ezechiele e l’anonimo prosecutore dell’opera di Isaia.
Secondo 2 Re 24,13-17, Nabucodonosor deportò in Babilonia 10.000 persone fra i maggiorenti del paese nel 597, ed altri nel 586 (2 Re 25); un’altra deportazione ebbe luogo nel 582 secondo Geremia 52. Sempre secondo Geremia, i maschi esiliati furono in tutto 4.600, e tale cifra concorda con quella fornita dal libro dei Re, comprensiva di donne e bambini. In Giuda molte città furono rase al suolo, e la popolazione ridotta a circa 20.000 persone, manovali e contadini. Non è escluso però che alcuni sacerdoti, scribi e funzionari siano rimasti fra questi.
L’esilio babilonese
In Babilonia, la comunità degli israeliti soffriva la lontananza dalla propria terra, ma non era trattata in modo disumano, anzi godeva di una certa stima e poteva svolgere attività lavorative decorose. Fu questo folto gruppo a rimeditare la storia d’Israele e la grandezza dell’intervento salvifico di Dio, rivalutando gli unici gesti di culto che potevano essere praticati in terra d’esilio, l’osservanza del sabato, delle norme alimentari e la circoncisione, tanto da farli assurgere a segni distintivi del giudaismo.
Nell’esilio matura la scuola di pensiero sacerdotale, cui dobbiamo la tradizione P (PriesterKodex) del Pentateuco, e la redazione finale della grande opera storica deuteronomistica (Deuteronomio – Giosuè – Giudici – Samuele – Re), che abbraccia la storia di Israele da Mosè alla riabilitazione di Joiachin. Nell’esilio svolgono la loro opera profetica Ezechiele e il DeuteroIsaia.
L’impero babilonese ebbe poi fine nel 539 a.C. con la vittoria del re persinao Ciro, che nel 538, attuando una politica di rispetto delle autonomie locali, permise con un editto agli ebrei il ritorno in patria e la ricostruzione del tempio.