Le tentazioni di Gesù nel deserto. Il vangelo di Marco ci presenta Gesù, dopo il battesimo nel Giordano, nel deserto, in una scena molto scarna cui invece Matteo e Luca daranno grande sviluppo specificando le «tentazioni» e le relative risposte di Gesù al tentatore.
Le tentazioni di Gesù secondo Marco
Marco si limita a due brevissimi versetti: «lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano» (1,12-13). Eppure, è forse più incisivo dei più complessi brani paralleli di Matteo e Luca. In quel microcosmo che è il deserto, terra di solitudine e di essenzialità, è contenuto tutto l’universo materiale e spirituale: vi troviamo il mondo angelico e demoniaco, la terra, le bestie, il Nuovo Adamo che è Gesù e che con la sua presenza riconcilia tutto il mondo: gli animali della terra stanno familiarmente con lui, gli angeli sono al suo servizio e – lo intuiamo da Marco, lo sappiamo da Matteo e da Luca – il satana, l’Avversario, è scornato.
La terra è riconciliata: il deserto, lo conosciamo per promessa divina, fiorirà, e l’adam tornerà ad essere se stesso. Il ritorno alla terra, da dinamica mortale di dissolvimento, diviene cammino di pacificazione in tutte le sue dimensioni, con Dio, con l’altro, con la natura, con se stesso, finché la stessa polvere, divenuta gloriosa, risorgerà.
Il ritorno alla terra è insomma un cammino di conversione e un ritorno a se stessi, al nostro vero «io» corrotto dall’egoismo e rigenerato nello Spirito. Quello che a livello individuale è un cammino di conversione, a livello sociale e planetario è un cammino di riconciliazione con le creature, nostre amiche se non ne abusiamo. Restituirle alla dignità è restituire dignità a noi stessi.
Secondo Matteo e Luca
Il tema dello Spirito, con cui Gesù battezzerà, che scende su di lui al momento del battesimo di Giovanni, che poi lo trasporta nel deserto per essere tentato, lega insieme i tre elementi del trittico di preparazione al ministero pubblico.
Lo Spirito che scenderà sui fedeli e che già è sceso e dimora nel Cristo è anche colui che sostiene il credente nelle prove della vita: le tentazioni fanno parte dell’esistenza e dell’esistenza cristiana, non sono un alibi per esimersi dal resistervi (o vogliamo pensare, come scrisse Oscar Wilde, che «l’unico modo per liberarsi dalla tentazione è cedervi»?) ma nemmeno uno spauracchio per cercare di evitare la vita: anche il Figlio di Dio le ha provate.
Matteo e Luca
Le tentazioni di Gesù non sono vere tentazioni a peccare: il Figlio di Dio non poteva cadere in peccato. Sono più sottili, tentazioni messianiche a compiere gesti spettacolari che conquistassero la popolarità. Sono le tentazioni di Israele nel deserto: la fame e la possibilità di cancellarla facendo scendere la manna, il mettere alla prova Dio e la rassicurazione miracolistica, l’adorazione di un vitello d’oro, un potere che non è Dio. I quaranta giorni di Gesù ricalcano chiaramente i quarant’anni di Israele nel deserto, ma anche i quaranta giorni e quaranta notti di Mosè (Es 24,18) nell’attesa di ricevere la legge; e proprio all’antica legge ricorre Gesù per confutare le parole del tentatore (Dt 8,3; 6,16; 6,13).
Il Tentatore
Qui, nel racconto evangelico, scopre le carte un personaggio che avevamo intuito agire oscuramente fin dalle prime pagine della Bibbia.
Adesso il Tentatore in persona, il diabolos ossia «colui che divide», entra in scena per contrastare e vanificare il progetto salvifico divino. Aveva tentato l’antica Eva facendole vedere ciò che è proibito, il farsi Dio di se stessi, come piacevole da gustare (soddisfa i sensi), bello da vedere (soddisfa la fantasia, l’emotività) e desiderabile per acquistare dominio (soddisfa l’orgoglio). Sono le tentazioni di “rubare” ciò che Dio in realtà offre come dono.
Sono le stesse tentazioni che propone a Gesù: quelle di una gratificazione facile, di un miracolismo spettacolare, di un potere mondano. In realtà Gesù possiede già tutte queste cose, e noi le possediamo in lui; non vi è alcun posto perché il diavolo ne occupi una parte. Quella che Gesù mostra in sé non è la fuga dal mondo, anzi è il possesso del mondo in Dio (e non nel diavolo), come afferma S. Paolo: «Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 3,22-23).
Video della scena delle tentazioni nel Vangelo secondo Matteo di Pasolini: QUI.
Secondo Luca
Unica differenza importante della versione lucana rispetto a Matteo è l’ordine in cui si presentano le ultime due tentazioni. Probabilmente Luca ha adottato un criterio di unità di luogo, presentando prima le due tentazioni che riguardano l’ambiente del deserto, e per ultima quella ambientata nel tempio. Così facendo, pone in crescendo l’ultima risposta di Gesù, «Non metterai alla prova il Signore tuo Dio», che si riferisce in prima istanza al Dio dell’Esodo di Israele, ma che viene a identificarsi con Gesù stesso, il Figlio di Dio che in quel momento viene messo alla prova.
Inoltre, in Luca il diavolo millanta di essere il padrone del mondo. Poiché c’è una sètta che si avvale di questo versetto per argomentare che il mondo appartiene al diavolo, posso ricordare che questa affermazione è attribuita al diavolo, e che egli «è bugiardo, e padre di menzogna»? E posso ricordare che in un famoso film Totò vende la fontana di Trevi ad un americano? Guai a credere ai bugiardi…
Infine, sulla scena lucana delle tentazioni non si presentano gli angeli a servirlo, mentre il diavolo si allontana per tornare al momento opportuno. È fuorviante tradurre «al tempo fissato», come se ci fosse un tempo stabilito da un destino. Kairòs è il momento favorevole: per lui, s’intende. In questo modo, Luca stabilisce un parallelismo con l’episodio del Gethsemani, quando nella versione del terzo vangelo (e non degli altri) un angelo viene a confortare Gesù (24,43), e la tentazione si ripresenta: quella di rifiutare l’amaro calice del fallimento umano (22,42). Da un capo all’altro delle letture quaresimali, quello che l’episodio delle tentazioni aveva adombrato, alla fine si realizza. Ma Gesù resterà fedele al Padre e agli uomini fino in fondo.
Dal «Commento sui salmi» di sant’Agostino
(Sal 60, 2-3; CCL 39, 766)
«Ascolta, o Dio, il mio grido, sii attento alla mia preghiera» (Sal 60, 1). Chi è colui che parla? Sembrerebbe una persona sola. Ma osserva bene se si tratta davvero di una persona sola. Dice infatti: «Dai confini della terra io t’invoco; mentre il mio cuore è angosciato» (Sal 60, 2).
Dunque non si tratta già di un solo individuo: ma, in tanto sembra uno, in quanto uno solo è Cristo, di cui noi tutti siamo membra. Una persona sola, infatti, come potrebbe gridare dai confini della terra? Dai confini della terra non grida se non quella eredità, di cui fu detto al Figlio stesso: «Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra» (Sal 2, 8).
Dunque, è questo possesso di Cristo, quest’eredità di Cristo, questo corpo di Cristo, quest’unica Chiesa di Cristo, quest’unità, che noi tutti formiamo e siamo, che grida dai confini della terra.
E che cosa grida? Quanto ho detto sopra: «Ascolta, o Dio, il mio grido, sii attento alla mia preghiera; dai confini della terra io t’invoco». Cioè, quanto ho gridato a te, l’ho gridato dai confini della terra: ossia da ogni luogo.
Una Chiesa in angoscia
Ma, perché ho gridato questo? Perché il mio cuore è in angoscia. Mostra di trovarsi fra tutte le genti, su tutta la terra non in grande gloria, ma in mezzo a grandi prove.
Infatti la nostra vita in questo pellegrinaggio non può essere esente da prove e il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può conoscere se stesso, se non è tentato, né può essere coronato senza aver vinto, né può vincere senza combattere; ma il combattimento suppone un nemico, una prova.
Pertanto si trova in angoscia colui che grida dai confini della terra, ma tuttavia non viene abbandonato. Poiché il Signore volle prefigurare noi, che siamo il suo corpo mistico, nelle vicende del suo corpo reale, nel quale egli morì, risuscitò e salì al cielo. In tal modo anche le membra possono sperare di giungere là dove il Capo le ha precedute.
In Cristo eri tentato anche tu
Dunque egli ci ha come trasfigurati in sé, quando volle essere tentato da Satana. Leggevamo ora nel vangelo che il Signore Gesù era tentato dal diavolo nel deserto. Precisamente Cristo fu tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato anche tu. Perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita, da te l’umiliazione, da sé la tua gloria, dunque prese da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria.
Se siamo stati tentati in lui, sarà proprio in lui che vinceremo il diavolo. Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato; perché non consideri che egli ha anche vinto? Fosti tu ad essere tentato in lui, ma riconosci anche che in lui tu sei vincitore. Egli avrebbe potuto tener lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere, quando sei tentato.
Per altri scritti dei Padri della Chiesa: QUI.