Nel Nord Italia la Chiesa, e in particolare la Chiesa Ambrosiana guidata dal Cardinale Ildefonso Schuster, dette un enorme contributo alla salvezza degli ebrei. Anche qui troviamo le suore, conosciute o sconosciute, e gli ebrei da loro salvati a Milano.
Le Suore Poverelle
Madre Donata Castrezzati, superiora delle Poverelle dell’Istituto Palazzolo di Milano, è un’altra figura di religiosa che ha rischiato la vita per la salvezza degli altri. Madre Superiora delle Suore delle Poverelle che si prendevano cura degli anziani nell’Istituto Luigi Palazzolo di Milano, vi nascose centinaia di ebrei e molti perseguitati politici. Li salvò così dalla deportazione, con l’aiuto di Suor Simplicia Vimercati e Suor Clara Filippini. Sotto la sua guida, il Palazzolo di Milano divenne soggiorno obbligato per gli ebrei che clandestinamente transitavano da Milano per essere poi avviati in Svizzera. Per questa sua attività Madre Donata venne scoperta e incarcerata a San Vittore, con le due consorelle, dal 14 luglio al 3 agosto 1944.
Madre Donata Castrezzati
I fatti si svolsero così. Nel Bergamasco, a Torre Boldone, le Suore Poverelle, che gestivano l’ospedale dell’Istituto Palazzolo e un orfanotrofio, prestavano soccorso a ex prigionieri alleati e ad ebrei fuggiaschi. Gli ebrei venivano fatti passare per degenti fino a quando erano sicuri i contatti per il loro passaggio in Svizzera ad opera della rete clandestina OSCAR, organizzata presso il Collegio Arcivescovile San Carlo di Milano.
L’indagine
Ma il 30 maggio 1944 una perquisizione dell’Ufficio politico investigativo accertò la presenza di alcuni ebrei sotto falso nome. La polizia arresta i fratelli Guido, Mario e Vittorio Nacamulli, di origine greca; Giuseppe Weinsrein, di origine boema; Oscar Tolentini e Gustavo Corrado Coen Pirani. La superiora madre Anastasia Barcella riuscì a darsi alla fuga, ma le indagini condussero la polizia a indagare su di una struttura collegata, l’Istituto Palazzolo di Milano, che aveva un ospizio femminile in via Gattamelata e uno maschile in via Aldini. Il 14 luglio nell’ospizio femminile furono individuate tre anziane ebree, mentre altre dodici ebree erano state nascoste in un ripostiglio.
Furono così arrestate e recluse a San Vittore madre Donata Castrezzati e la sua segretaria suor Simplicia Vimercati. Il 17 luglio fu perquisito l’ospizio maschile e arrestata madre Clara Filippini, che aveva però fatto a tempo a mettere in salvo gli ebrei ospitati. L’intervento quasi miracoloso del cardinal Schuster riuscì a ottenere il 3 agosto il rilascio delle tre religiose. Acconsentì al loro confino nell’istituto per Frenastenici di Grumello al Monte (Bergamo). Dalla documentazione raccolta risulta che le suore Poverelle, tra ebrei e altri ricercati (resistenti e renitenti), accolsero 200 persone in via Aldini e 165 in via Gattamelata.
In carcere incontrarono Suor Enrichetta Alfieri, «l’angelo di S. Vittore» che le aveva assistite durante la detenzione, prima di essere lei stessa arrestata.
A Madre Donata Castrezzati pervenne poi una lettera di riconoscenza da parte della Comunità Ebraica Italiana. Nel 50° della Liberazione le fu attribuito l’Attestato di Riconoscimento con Medaglia da parte del cardinale Carlo Maria Martini.
La Congregazione
La congregazione delle Suore Poverelle, nata per l’assistenza alle ragazze povere e la cura degli ammalati, ha saputo adattare la propria azione alle necessità del tempo. In occasione dell’epidemia di ebola verificatasi nel maggio 1995 a Kikwit (Congo), ospitarono alcuni ammalati nel loro ospedale e continuarono la loro assistenza anche quando si capì che il contagio era quasi inevitabile. Sei di loro, tutte provenienti dalla Lombardia, contrassero la malattia e morirono (Floralba Rondi, Clarangela Ghilardi, Danielangela Sorti, Dinarosa Belleri, Annelvira Ossoli, Vitarosa Zorza). Per questo servizio, il 13 luglio 1995 hanno ricevuto anche la Medaglia d’oro al valore civile, con la seguente motivazione:
«La Congregazione Suore delle Poverelle dal 1869 si prodiga con amore cristiano, in Italia e all’estero, nella missione evangelica dell’assistenza agli emarginati, ai poveri e ai sofferenti. Fedeli alla regola dell’Ordine e pur consapevole di esporsi al contagio letale di un nuovo virus, sei delle sue consorelle, impegnate nella cura degli ammalati, rifiutavano di abbandonare lo Zaire e, proseguendo la loro opera con dedizione, spirito di donazione ai fratelli e condivisione del dolore, immolavano la vita ai più alti ideali di carità. 1869 – 1995».
L’Angelo di San Vittore
Preziosa fu la presenza delle suore anche nelle carceri. Ad esempio, suor Giuseppina De Muro, religiosa delle Figlie della Carità a Torino nel quartiere popolare di San Salvario, aveva la responsabilità del settore delle detenute politiche nelle carceri. Con una decina di consorelle fece entrare di nascosto in carcere indumenti e generi alimentari da distribuire alle detenute bisognose, in particolare alle ebree anziane che erano state prelevate in fretta e furia dalle case di riposo dove erano ricoverate. Poi ottenne di fornire medicinali ai detenuti, e questo le permise di portare loro viveri, di diventare tramite di informazioni familiari e politiche, di provvedere ai bisogni di una ventina di sacerdoti arrestati per l’aiuto offerto agli ebrei e ad altri ricercati. Le Figlie della Carità riuscirono anche ad allestire una infermeria.
Suor Enrichetta Alfieri
Nel carcere di San Vittore, dove era arrivata nel 1923, fu suor Enrichetta Alfieri, al secolo Maria Angela Domenica, ad essere l’angelo dei detenuti. La direttrice della Pinacoteca di Brera, Fernanda Wittgens, detenuta a San Vittore dal luglio 1944, testimoniò che suor Enrichetta «si prodigava per tutti, sempre presente, sempre carica nel soggolo, nella cuffia, nelle vesti, fin nelle scarpe, di messaggi, cibi, denari, nonché di lime d’acciaio».
Le origini
Nata a Borgo Vercelli il 23 febbraio 1891, Suor Enrichetta entra tra le Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret nel 1911. Da subito dimostra una grande dedizione per i più bisognosi. In questo periodo soffre di una malattia rara, il morbo di Pott, che causa forti dolori e la costringe all’immobilità. Nel 1923, dopo un pellegrinaggio a Lourdes, guarisce miracolosamente. La notizia si diffonde: la gente è incuriosita, vuole vederla. Enrichetta viene quindi sottratta alle pressioni mediatiche e trasferita a Milano.
A San Vittore
Qui viene destinata al servizio presso il carcere di San Vittore, dove la superiora è una sua zia, Suor Elena Compagnone. La giovane suora si avvicina alle detenute, pensa a loro non come a colpevoli, ma come a esseri umani bisognosi di aiuto e redenzione. Si preoccupa di alleviare le condizioni di sofferenza nel carcere, e adibisce alcune aree a struttura di accoglienza per le detenute con figli: laboratori, nidi e scuole per i bambini.
Dopo l’8 settembre, San Vittore passa sotto il comando tedesco. Dal carcere partono convogli carichi di ebrei e partigiani diretti ai campi di sterminio. Suor Enrichetta continua ad assistere e proteggere coloro che le chiedono aiuto. Ha il coraggio di implorare il famigerato Caporale Franz per la salvezza di una detenuta ebrea:
«Se anche lei tiene una moglie e un bambino… ebbene pensi a queste creature che non hanno niente di diverso da loro. E faccia qualcosa per salvarle».
In un suo appunto troviamo un esplicito riferimento:
«Episodio: deportata G. [Germania] e trattenuta della ebrea partoriente con altro bambino di 5 anni. Infermeria Sezione Femminile. Scarcerazione (miracolo) per favore chiesto da me a Franz […] La radio continua da più giorni le relazioni sulla scoperta di campi di concentramento in Germania. Cose inaudite; i termini pure forti di esecrazione sono inesprimibili quelle inumane scelleraggini compiute con ferocia diabolica dai nazisti, collaborazionisti, fascisti, ecc. verso le povere vittime. Cose che fanno gelare il sangue».
L’arresto
Suor Enrichetta spesso nasconde nel suo abito lettere e messaggi per i detenuti. Per questa attività viene accusata di spionaggio e intesa col nemico e arrestata il 23 settembre 1944. È detenuta in una cella di rigore del carcere, con la condanna alla fucilazione o all’internamento in un campo di concentramento in Germania. Lei stessa scrive nelle sue memorie:
«Al momento non vidi altro che un buco più buio del sotterraneo. Buio tanto da non distinguere ove fossi […] Io che da ventun anni ero al carcere, non avevo mai saputo dell’esistenza di simili tane, il cui uso, probabilmente, era venuto in vigore solo in quest’ultimo periodo di crudeltà inconcepibili».
La liberazione
L’intervento del cardinal Schuster ottenne la sua liberazione il 7 ottobre, sotto la condizione del suo allontanamento; così suor Enrichetta raggiunse le tre suore dell’Istituto Palazzolo confinate a Grumello al Monte. Fece ritorno a San Vittore il 6 maggio 1945, accolta con entusiasmo dai detenuti. Del gruppo di suore di San Vittore, Maria Massariello Arata, detenuta a San Vittore nei mesi di luglio e agosto 1944 e poi deportata a Ravensbruck, così ha scritto:
«Ricordo con animo pieno di commossa gratitudine le reverende suore di San Vittore: la madre superiora suor Enrichetta Alfieri, suor Gasparina, suor Vincenza, suor Onorina e le altre ancora. Sono anch’esse nobili figure della resistenza milanese. Con i maniconi della loro veste, le loro S. Messe in San Vittore, quanti biglietti portarono fuori dal carcere! Erano biglietti di collegamento dei carcerati con l’attività clandestina esterna che continuava, erano avvisi salutari, esortazioni alla prudenza. E tutto questo con grave pericolo. Vegliavano anche sugli interrogatori che avvenivano in una camera con finestra ad inferriate che dava sul giardino. Una sera quando il mio interrogatorio si prolungava più del consueto tra minacce di torture varie, approfittando di un’assenza del tenente e dei suoi collaboratori che erano andati a rifocillarsi, suor Vincenzina comparve tra le sbarre e mi porse un rosso d’uovo con marsala».
A San Vittore continuerà la sua opera di carità sino alla morte. Nel novembre 1951 si ammala di epatite, che la porta a spegnersi in pochi giorni.
I riconoscimenti
In questi termini il cardinale Carlo Maria Martini parlava di Suor Enrichetta Alfieri:
«Ha saputo mettersi in ascolto di una umanità sofferente, ferita, ribelle, con dolcezza, con pazienza e con una carità inventiva. Il suo sorriso e la sua capacità di vedere con il cuore, hanno portato i detenuti e quanti l’hanno conosciuta a chiamarla “Mamma di San Vittore” e “Angelo della Bontà”».
Già nel 1955 l’Unione delle Comunità Israelitiche italiane le conferisce un attestato alla memoria: «Non rappresenta che il ricordo perenne della riconoscenza degli ebrei d’Italia per chi ha fatto loro del bene».
Nel 1985 il Cardinale Carlo Maria Martini le assegna alla memoria la medaglia d’oro con attestato di riconoscenza della Chiesa di Milano, in occasione del 40° della Resistenza, «per l’opera svolta negli anni della Guerra di Liberazione attuando quella “ribellione per amore” che riscattò l’uomo da menzogna, viltà e paura». Nel 1991 il Comune di Milano le conferisce alla memoria la medaglia d’oro di benemerenza civica, onorificenza nota come «Ambrogino» in onore di Sant’Ambrogio, patrono della città.
Le testimonianze
Il cammino della causa di beatificazione viene aperto nel 1995 e l’anno successivo vengono pubblicate le testimonianze dei tanti che l’avevano conosciuta. Una testimonianza viene anche da Mike Bongiorno, incarcerato a San Vittore nel 1943 perché oriundo americano:
«Suor Enrichetta era effettivamente un personaggio incredibile. In carcere parlavano tutti di quest’angelo, che nel reparto femminile aiutava le prigioniere e si faceva in quattro per alleviare ogni pena. […] Ella rappresenta un poco la storia di tutti quelli che hanno sofferto in San Vittore durante quegli anni terribili. Chi lavorava dentro era un eroe».
Anche Indro Montanelli, arrestato con la moglie per l’attività giornalistica, scrisse:
«Tutti noi ricevevamo, grazie alla sua regia, bigliettini e informazioni. Ancora oggi il ricordo di Suor Enrichetta e della sua veste frusciante suscita in me la devota ammirazione che si deve ai santi, o agli eroi. In questo caso, a entrambi».
Il 2 aprile 2011, l’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi dichiara ufficialmente la beatificazione di Suor Enrichetta Alfieri:
«La possiamo giustamente annoverare tra i santi della Chiesa ambrosiana perché per quasi trenta anni svolse il suo ministero di carità nel Carcere di San Vittore a Milano. […] Dopo la Liberazione, furono gli stessi carcerati a chiedere il suo ritorno, poiché la consideravano il loro “angelo”».