Nella sua rivisitazione del racconto del deserto, Deuteronomio 5 cita integralmente il Decalogo, le Dieci Parole, anche se con diverse nette differenze.
Il significato di Davar e le traduzioni
Il sostantivo דָּבָר (davar, singolare di devarim) è uno dei sostantivi più comuni nella Bibbia ebraica, in cui appare più di mille volte. Ha una vasta gamma di significati, da “parola” a “materia” o “cosa”.
Qui si parla di Dieci Devarim (עֲשֶׂרֶת הַדְּבָרִים, “le dieci parole”).
La traduzione dei Settanta dell’Esodo (III sec. a.C.) rende עֲשֶׂרֶת הַדְּבָרִים come “le dieci parole” (tous deka logous; τοὺς δέκα λόγους). In Deuteronomio 10,4 rende l’espressione allo stesso modo. In Deuteronomio 4,13, tuttavia, il traduttore usa il sinonimo ta deka rhêmata, τὰ δέκα ῥήματα, “le dieci parole”. Anche Giuseppe Flavio (37 d.C. – 100 d.C. circa) usa il termine logos, “parola”, e la Peshitta (la Bibbia siriaca) traduce la frase come עשרא פתגמין “dieci parole”. Clemente di Alessandria (ca. 150 – 215 d.C.), e lo scrittore gnostico Tolomeo (II secolo d.C.) nella sua Lettera a Flora, si basarono sui Settanta coniando il termine hê dekalogos, un aggettivo femminile singolare sostantivato, “la cosa dalle dieci parola / affermazioni”. Da quel momento, “Il Decalogo” (hê dekalogos ) divenne il termine preferito in molte fonti greche.
I Dieci Comandamenti (Entolai)
Filone di Alessandria, filosofo ebreo e commentatore della Bibbia (ca. 20 a.C. – 50 d.C. ), chiama il Decalogo “le dieci dichiarazioni o oracoli” (tous deka logous ê khrêsmous; Sul Decalogo 32), intendendole quali “in realtà leggi (nomous) o statuti (thesmous)”. Si può ritenere che Filone intenda la frase come “I Dieci Comandamenti” anche se questa non è la sua resa letterale.
Nella Lettera ai Romani (13,9), Paolo usa un altro termine greco per indicare le leggi, entolê – che la Settanta impiega costantemente per tradurre l’ebraico mitzvah , “comandamento”. Allo stesso modo, nei Vangeli sinottici, quando Gesù espone gran parte del Decalogo si usa il termine entolê. Ma il Nuovo Testamento non utilizza mai un’espressione distintiva per riferirsi al Decalogo. Fu Origene (ca. 185–253) il primo a coniare l’unità “I Dieci Comandamenti” (αἱ δέκα ἐντολαί; hai deka entolai).
I Dieci Comandamenti in latino
Un’espressione equivalente sopravvive in latino fino alla traduzione di Rufino dell’Omelia sull’Esodo di Origene (tradotta tra il 403 e il 405 d.C.): decem mandatorum legis, “I Dieci Comandamenti (mandata) della legge”. Agostino (354 – 430 d.C.) usa un sinonimo, decem praecepta. Il decem verba della Vulgata (“le Dieci Parole”), il decem praecepta di Agostino (“i Dieci Precetti”) e il Decalogus (preso in prestito dal greco: “il Decalogo / Dieci Affermazioni”) furono da allora in poi usati regolarmente in latino.
Mentre per i cristiani il Decalogo acquisiva la maggiore importanza, tanto da minimizzare il resto della Legge, nel mondo ebraico la sua importanza diminuiva, sino a venire espunto dalla liturgia (dove veniva recitato quotidianamente). Questo, a sottolineare il valore dell’intera Legge, e non di soli dieci precetti a scapito degli altri. Oggi, l’unico modo per sottolineare liturgicamente il valore del Decalogo è lo stare in piedi quando tre volte l’anno ne spetta la lettura in sinagoga.