Spesso la notorietà di un autore è legata non tanto alla pubblicazione di un romanzo quanto alla produzione del film che ne deriva. È accaduto in Italia per Tolkien, quando è uscita la trilogia cinematografica del Signore degli Anelli (2001-2003), benché il romanzo avesse iniziato ad essere pubblicato in italiano a partire dal 1967; ed è accaduto per C.S. Lewis con il film Il Leone, la strega e l’armadio del 2005, tratto dal primo romanzo de Le Cronache di Narnia, benché le sue opere circolassero in Italia fin dal lontano 1947 con le straordinarie Lettere di Berlicche edite da Mondadori nella pregevole traduzione di Mons. Alberto Castelli.
Solo recentemente, quindi, le opere di C.S. Lewis hanno iniziato ad attirare l’attenzione in Italia, mentre nel mondo anglofono erano già considerate capolavori, compreso un ciclo di sette romanzi per bambini, le Cronache di Narnia.
Lo dimostra un curioso aneddoto che ebbe per protagonista l’ingegner Fortunati di Narni (Terni). Questi, in un convegno internazionale, si sentì correggere da un collega orientale a proposito di quello che era scritto sulla sua targhetta identificativa: «È sbagliato, si scrive Narnia e non Narni». Fortunati cadde dalle nuvole, e poté solo spiegare che, sì, effettivamente Narnia era il nome latino di Narni, cioè il luogo dove lui abitava. Il collega si sentì preso in giro: «Lei si burla di me: Narnia non esiste, è un luogo delle favole»; come se gli avesse detto «Io abito nel Paese dei Balocchi». Fu a seguito di questo fatto che l’ingegner Fortunati si documentò e scoprì di vivere in un paese che aveva dato il nome… al fantastico mondo di Narnia.
Perché proprio Narnia?
In realtà, C.S. Lewis non era mai stato a Narni e neppure in Italia; gli era semplicemente piaciuto il suono di questo nome latino che aveva trovato da ragazzo in un atlante storico. Anche l’ambiente naturale di Narnia, tipicamente nordico, aveva poco a che vedere con la Narni geografica, italiana.
Questo particolare fu rivelato dal segretario di C.S. Lewis, Walter Hooper, che aveva avuto modo di chiedere allo scrittore dove avesse trovato la parola Narnia. Lewis gli mostrò il suo Murray’s Small Classical Atlas del 1904, che aveva comprato quando stava leggendo i classici con il suo istitutore Kirkpatrick. «A pagina 8 di questo atlante c’è una mappa dell’Italia con le iscrizioni in lingua latina. Lewis aveva sottolineato il nome di una piccola città chiamata Narnia, semplicemente perché amava il suono di questa parola. Narnia – o “Narni” in italiano – si trova in Umbria, a metà strada tra Roma ed Assisi» (C.S. Lewis: A Biography, 2002).
Questo per quanto riguarda la parola. Ma il mondo fantastico di Narnia da dove proviene? Da molto lontano. Il primo libro delle Cronache di Narnia fu pubblicato nel 1950; ma per capirne le origini bisogna andare più indietro nel tempo, all’epoca in cui lo stesso Lewis era bambino.
Narnia prima di Narnia: Boxen
Clive Staples Lewis era nato a Belfast nell’Irlanda del Nord nel 1898, da padre gallese e madre che aveva origini sia scozzesi che normanne. Aveva un fratello più grande di lui di tre anni, Warren; ma non lo percepì mai come un fratello maggiore, piuttosto come un compagno di giochi, un alleato e un complice.
Crebbe in una famiglia amorevole in cui il punto di forza era la madre, e la sua infanzia fu serena. Nei giochi, i due fratelli si erano specializzati: Warren era tecnologico, inventava storie di treni e di navi e le disegnava, mentre il più piccolo (che a 4 anni aveva deciso che i nomi che gli avevano affibbiato non gli piacevano, e non rispondeva se non al nome Jack, quello del suo cane Jacksie) aveva immaginato un mondo fantastico di animali vestiti e parlanti. Gli antenati di Narnia si trovano qui, nel mondo immaginario di Boxen.
Jack aveva creato una Animalandia medievale, Warnie un’India tecnologica che era però un’isola e che i due fratelli desiderarono mettere in collegamento con Animalandia. Questa unione avvenne nel XVIII secolo dei due paesi immaginari, secondo i due fratelli che ne ricostruirono anche l’economia, la politica, la storia, gli edifici, i personaggi celebri, con tanto di disegni. Narnia non era ancora nata, ma queste ne furono le premesse. Queste storie fantastiche furono pubblicate solo nel 1985 dal segretario di C.S. Lewis, Walter Hooper.
La nordicità
Dopo l’amore del piccolo C.S. Lewis per le fiabe di animali parlanti, che diede origine al mondo fantastico di Boxen, un altro ingrediente per la costruzione di Narnia fu l’amore dello scrittore per le saghe nordiche. Lo scoprì molto presto, verso i 13 anni, al college, nello stesso periodo in cui si verificò il suo allontanamento dalla fede cristiana. Non che in precedenza avesse profondamente creduto; la sua educazione religiosa era stata solo formale, fatta di abitudini e di proibizioni, e non avendo radici la fede se ne andò facilmente.
La scoperta della mitologia norrena, attraverso Wagner, lo conquistò. Lo rese adorante verso un mondo mitico di falsi dèi che però – di questo si accorse solo in seguito – in qualche modo lo predisponevano all’accettazione del vero Dio, quando questa fosse venuta. Paradossalmente, il sentimento di adorazione, che non aveva mai provato verso il Dio cui aveva creduto, Lewis si trovò a nutrirlo verso dèi in cui non credeva. Paradossalmente, e forse anche provvidenzialmente. «A volte mi capita quasi di pensare di essere stato spinto verso quei falsi dèi per acquisire la capacità di adorare il giorno in cui il vero Dio mi avrebbe richiamato a Sé»: così scriverà molti anni dopo.
Il giardino giocattolo e il battesimo della fantasia
Il ragazzo si trovava intanto a completare così, da sé, la propria educazione per quanto riguardava un aspetto del tutto carente in famiglia, l’educazione estetica; nessuno gli aveva mai detto, di qualunque cosa, «Questo è bello». Lo scoprì da solo quando il fratello gli portò un giardino giocattolo che aveva confezionato egli stesso nel coperchio di una scatola di biscotti con muschio, fronde e fiori del giardino di casa. Quella visione lo deliziò e fece quel che il giardino vero non aveva potuto fare, suscitò la sua gioia. «Al momento non ci feci caso – scriverà in seguito -, ma l’effetto che ne ebbi doveva rimanere nella mia memoria. Finché vivrò la mia immagine di Paradiso conterrà qualcosa del giardino giocattolo di mio fratello».
A 16 anni, Lewis trova un amico che condivide la sua stessa passione per il mito nordico: Arthur Greeves, un giovane vicino di casa. La sua passione si consolida, ma il giovane ha del tutto perso la fede. Poi, attraverso i libri e gli amici studiosi, gli accadono strane cose. Nel 1916 – ha 18 anni – acquista per caso in una stazione ferroviaria un libro di George MacDonald, Phantastes, a Faerie Romance. L’autore, ministro di culto scozzese, scrittore di fiabe e romanzi fantasy, trasfondeva nelle sue opere, attraverso il linguaggio fantastico, i valori cristiani. Lewis ne fu tanto attratto che riconobbe poi che la sua immaginazione uscì come battezzata da quella lettura, attraverso la «bellezza della santità».
Dal mito alla storia: gli amici di Oxford
Nel 1920 Lewis consegue ad Oxford l’equivalente della nostra laurea in lettere classiche, nel 1922 quella in filosofia e storia antica, nel 1923 quella in lingua e letteratura inglese. È un mostro di cultura, ma ha anche un punto debole. Per essere ammesso ad Oxford con una borsa di studio aveva dovuto superare un esame che era andato bene in tutto tranne che in una materia, la matematica elementare. In essa viene bocciato due volte. Ricorderà in seguito: «Studiai l’algebra (che il diavolo se la porti!)» ma senza successo. Potrà entrare ad Oxford nel 1918 solo come reduce della Grande Guerra (aveva fatto la guerra di trincea presso Arras ed era stato anche ferito), quindi esentato dall’esame, altrimenti avrebbe dovuto rinunciarvi. Ciò non gli impedì di divenire uno dei più grandi intellettuali del Novecento.
La docenza e l’amicizia
Già nel 1924 ottiene una supplenza nella celebre università: vi rimarrà, come docente, per 30 anni, per poi passare a Cambridge. È ad Oxford che conosce un gruppo di colleghi appassionati di saghe nordiche: tra questi, nel 1926, Lewis diviene amico di Tolkien, professore di filologia, di 6 anni più anziano di lui. Tolkien era un fervente cattolico e la sua amicizia vinse la diffidenza che Lewis, proveniente dall’Irlanda del Nord, nutriva per i «papisti».
Fu proprio attraverso il mito che Tolkien ricondusse l’amico alla fede, una fede questa volta matura e consapevole; Tolkien, e la lettura di libri che – inspiegabilmente per Lewis – iniziavano a colpirlo. I suoi autori preferiti «avevano tutti il pallino del cristianesimo»: MacDonald, Chesterton, Spencer, Milton… Come idee si sentiva affine piuttosto a Voltaire e G.B. Shaw, ma li trovava tutt’al più divertenti, non avevano profondità. «Tutti i libri», scrive in quel periodo, «cominciavano a rivoltarmisi contro».
Il chicco di grano
Addirittura, agli inizi del 1926, un collega accanitamente e irriducibilmente ateo gli confessa che le prove della storicità dei vangeli gli sembravano straordinariamente buone. «Strano tutto ciò che Frazer afferma a proposito del Dio Mortale. Strano. Si direbbe che sia realmente accaduto». Il riferimento è a Il Ramo d’oro di J.G. Frazer, nel quale l’autore evidenziava che in molte religioni esiste la figura del dio che come il chicco di grano muore per poi riacquistare la vita: Osiride, Dioniso, Attis, Adone, ecc. Sembrava che quello che nelle altre religioni era solo un mito, la morte e la resurrezione del Dio del grano, in Gesù fosse realmente accaduto.
Dapprima, nel 1929, lo scrittore si arrese a Dio, come se avesse sentito Qualcuno bussare alla sua porta. Ma non era ancora il Dio dei cristiani: era un principio di vita, non era Persona. La conversione al cristianesimo venne proprio a seguito di una conversazione notturna con Tolkien, il quale gli mostrò, insieme all’amico Dyson, che il mito è come un «barlume, non messo a fuoco, di una verità caduta sull’immaginazione umana», come un buon sogno che precede la realtà. Gli dimostrò che l’Incarnazione è l’evento per cui il mito diviene storia, il sogno diviene realtà, il Verbo diviene carne, Dio diviene Uomo.
A proposito del Cristo, in questo passaggio dal mito alla storia, un lettore e ammiratore di C.S. Lewis, J. Ratzinger – Benedetto XVI, nel suo Gesù di Nazareth, citando esplicitamente lo scrittore afferma: «Il mistero della passione del pane l’ha, per così dire, aspettato, si è proteso verso di Lui, e i miti hanno aspettato Lui, in cui il desiderio è diventato realtà» (2007, pp. 315 ss.).
Lo scrittore cristiano
Dopo il suo clamoroso ritorno al cristianesimo, ma con una fede incomparabilmente più matura di quella che per venti anni egli aveva respinto, C.S. Lewis compì la scelta di fare della letteratura uno strumento di evangelizzazione. Lo fece con i suoi celebri saggi apologetici, ma lo fece anche con i romanzi, spaziando nella letteratura dell’immaginario in tutte le sue gamme: dall’allegoria all’epistolario fantastico, dalla fantascienza al fantasy alla rivisitazione del mito. L’universo di Narnia, con i suoi animali parlanti, le sue creature mitologiche, e soprattutto il grande leone Aslan, stava per nascere.
L’uomo immaginativo
In uno sguardo retrospettivo sulla sua vita, Lewis osservò: «In me l’uomo immaginativo è più vecchio e opera con più continuità, e in questo senso è più basilare sia rispetto allo scrittore religioso, sia al critico […]. È stato lui che, dopo la mia conversione, mi ha spinto a dar corpo alla mia fede in forme simboliche o mitopoietiche, spaziando da Screwtape a un tipo di fantascienza teologicizzata. E, naturalmente, è stato lui che mi ha portato, in questi ultimi anni, a scrivere la serie delle storie di Narnia per bambini» (Collected Letters III, lettera del 1954 alla Milton Society of America, pp. 516 s.).
Lewis sperimentò successivamente l’uso dell’allegoria, della fantascienza, dell’immaginario infernale di Berlicche e della visione onirica del Grande Divorzio. Con la fantapolitica di Questa Orribile Forza Lewis già era sembrato ritornare agli antichi amori, le leggende cavalleresche, i miti di re Artù e del mago Merlino; ma andò oltre. Nella primavera del 1949 Lewis iniziò a leggere a Tolkien le prime pagine di un nuovo libro, la storia di quattro bambini evacuati da Londra a motivo dei bombardamenti. Era un primo abbozzo di Il leone, la strega e l’armadio: Narnia stava per nascere. Anche se Lewis Tolkien glielo aveva immediatamente stroncato, il suo progetto di scrittura andò avanti, e il grande studioso di Oxford divenne scrittore per l’infanzia.
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