Si chiamino ciaramelle, pive o zampogne, che ricordi! Ricordi d’infanzia strettamente legati al Natale, anche se gli zampognari scendevano in città un bel po’ prima della festa. Facevano tanta strada… venivano, credo, dall’Abruzzo, probabilmente ripetendo ogni anno lo stesso itinerario. Arrivavano a Livorno quando ero bambina e si sentiva, da fuori, avvicinarsi pian piano l’inconfondibile suono dei loro strumenti. Un suono monotono che sapeva di Natale: erano loro ad annunciarlo ancor prima della Novena. Andavano in coppia: il più vecchio suonava la zampogna, il più giovane la ciaramella o il flauto. Tiravamo loro i soldi dalle finestre ed era un piacere. Uno si fermava un attimo per raccoglierli, ringraziavano e subito proseguivano, ché avevano tanta strada, ancora, da fare… Nel Presepe, non mancavamo mai di mettere anche lo zampognaro. Che cosa ci facesse, poi, nel Presepe, uno zampognaro in costume abruzzese, è da capire.
Gli zampognari e il Natale
Fu San Francesco Maria de’ Liguori a legare le zampogne al Natale quando creò il canto Tu scendi dalle stelle (1754: QUI) componendone la melodia sulla base di quelle udite dagli zampognari in Abruzzo: una musica tipicamente pastorale, soprattutto in tempo di transumanza.
Il nome zampogna ha un’origine nobile, derivando niente meno che dal greco symphonia. La zampogna è munita di due canne melodiche, a differenza della cornamusa che ne ha solo una. L’origine è ampiamente precristiana: la sampogna era uno zufolo di canne, attributo del dio Pan, divinizzazione della forza inarrestabile della natura. Ebbene, come molte altri simboli del paganesimo, anche la zampogna pagana è stata “battezzata” ed è divenuta simbolo privilegiato del Natale! Giovanni Pascoli ha immortalato, col nome di ciaramelle, il suono delle zampogne, capace di trasformare ogni paese in un piccoletto grande presepe: suono di chiesa, suono di mamma, suono di culla…
Le ciaramelle
Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.
Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne’ suoi tuguri
tutta la buona povera gente.
Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.
Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.
Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;
suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.
O ciaramelle degli anni primi,
d’avanti il giorno, d’avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;
che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s’accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.
Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;
sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!