A Gerusalemme, la contestazione nei confronti di Gesù (20,1-21,4) viene dai gruppi di spicco nella nazione: i sommi sacerdoti, gestori del potere religioso e politico in connivenza con i romani; i dottori della legge, detentori del potere culturale; gli anziani, amministratori del potere economico. Gesù con la sua parola, la sua povertà, i suoi gesti di salvezza, scalza tutto questo. Ha sostituito nel tempio il mercato con la sua Parola: in nome di quale autorità può legittimare tutto ciò? L’autorità di Gesù da dove viene? (20,1-8).
L’autorità di Gesù
Gesù non risponde ma interroga: che cosa pensano i suoi interlocutori del battesimo di penitenza di Giovanni? Insinceramente, i capi si astengono dalla risposta, per non compromettersi. Se non riconoscono, allora, la potestà del Battista, che riassumeva nel suo appello alla conversione l’intero Antico Testamento, mostrando pervicacemente di non volere la propria conversione, a maggior ragione non potranno accogliere l’autorità nuova con cui Gesù si presenta.
L’autorità di Gesù e i vignaioli omicidi
In contrasto con questi oppositori, Gesù narra la parabola dei vignaioli che dopo aver malmenato e cacciato dalla vigna i servi del padrone giungono a cacciare ed uccidere persino il figlio del Signore (20,9-19); caduti in rovina, dovranno cedere la vigna ad altri.
Questa parabola, detta al popolo per aprirgli gli occhi sulla condotta dei capi, sintetizza la storia della salvezza: la vigna prediletta di Dio, Israele, è affidata alla responsabilità delle guide religiose, le quali però continuamente ricusano di dare frutti di conversione, si beffano gli inviati di Dio e li maltrattano in un crescendo di orrore, fino ad uccidere il figlio diletto del Padre, quale pietra preziosa che i costruttori rigettano ma che diverrà struttura portante dell’intero edificio. Quei capi perderanno il proprio potere; ma faranno di tutto per mantenerlo, eliminando la pietra che per loro è d’inciampo, Gesù.