Il quarto discorso di Gesù in Matteo è definito “ecclesiale” perché orientato a definire il tipo di rapporto su cui si basa la comunità dei discepoli di Gesù: l’attenzione ai piccoli, la correzione e il perdono fraterno.
Indirizzato soprattutto ai pastori, vincola tutti i membri della comunità. Al centro dell’attenzione comunitaria devono stare i piccoli (mikròi), menzionati finora solo in Mt 10,42 dove vengono identificati con i discepoli sic et simpliciter: piccoli e deboli di fronte al mondo, preziosi agli occhi di Dio.
Il discorso, come quello della missione, si divide in due parti, ognuna delle quali conclusa da una parabola:
- La cura dei piccoli (18,1-14)
- La correzione fraterna e il perdono (18,15-35).
Parte prima: la cura dei piccoli (18,1-14)
Diventare come i bambini (18,1-5)
Nelle loro umanissime ambizioni, i discepoli vogliono sapere chi sia il più grande nel Regno dei cieli: non hanno ancora capito niente! La gara non dovrebbe essere a chi sia il più grande, ma a chi sia il più piccolo, anche se si tratta di grandezza spirituale. Ebbene, la maggiore grandezza spirituale è la minorità.
Gesù compie un gesto parabolico, profetico: fa mettere in mezzo ai discepoli un bambino piccolo (paidion); il più grande è chi si fa come lui. La sua è una grande provocazione, perché nella società civile il bambino è un minorenne, ma nella religione ebraica il bambino non ha un ruolo neppure nel culto, finché non compie 13 anni. I discepoli devono prenderlo a modello, cioè imparare a non contare niente.
Notare: non è detto che gli adulti debbano tornare bambini (sarebbe solo uno sciocco regresso cronologico, un rimbambimento), devono invece diventare bambini, in un modo in cui non sono mai stati, cioè non puerili o inesperti o ignoranti, ma umili, consapevoli di non doversi imporre né di gloriarsi di fronte agli altri. Chi accoglie un bambino nel nome di Gesù accoglie lui stesso: è con i piccoli di questo mondo che il Signore si identifica.
Lo scandalo e lo smarrimento dei piccoli (Mt 18,6-9)
Lo skandalon è la pietra d’inciampo, che rischia di far cadere. Non si parla qui, di per sé, di scandalo dei bambini, di pornografia o di pedofilia (anche se tutto ciò non è escluso), ma di tutto ciò che può far vacillare i più deboli nella loro fede. I piccoli sono i discepoli, e come tutti gli altri hanno i loro punti deboli. Il discorso volge su quanto riguarda la debolezza dei piccoli, cioè dei discepoli di Gesù.
La tragica possibilità del male
Il male è una tragica possibilità, anzi realtà, che non si può, concretamente, sempre evitare, ma ciò non ne annulla la responsabilità.
Il motivo dello scandalo o inciampo nella fede introduce ad un altro ambito, quello del rischio di auto-scandalizzarsi, essere indotti al peccato da qualcosa che fa parte di noi: meglio perdere l’integrità fisica in questa vita che la vita spirituale per sempre. Questa radicalità è espressa con un linguaggio che è chiaramente simbolico, ma molto duro.
La pecora smarrita (18,10-14)
I piccoli, i deboli, i peccatori, non vanno disprezzati: ognuno di loro è prezioso, tanto da essere affidato, ciascuno, ad un angelo del cielo. La comunità se ne deve fare carico, come il buon pastore che si prende cura di tutto il gregge, anche di quell’unica pecorella che malauguratamente si è smarrita, e non si dà pace finché, con grande gioia, non la ritrova.
La pecora smarrita rappresenta, nella parabola di Matteo, il fratello che si è perduto. Perché il Padre non vuole che nessuno si perda…