Lettura continua della Bibbia. L’asino di Mosè

L'asino di Mosè
Foto di falco da Pixabay

Nella sua autodifesa di fronte ai ribelli, Mosè specifica di non aver mai sottratto neppure un asino a nessuno (Numeri 16,15). Perché proprio un asino?

«Non ho mai preso un asino…» (Numeri 16,15)

Per spiegare questa precisazione di Mosè, Rashi dà il seguente suggerimento: 

«Non ho preso un asino da nessuno di loro, non ho preso un asino da nessuno di loro. Anche quando andai da Madian in Egitto, e feci cavalcare mia moglie e i miei figli su un asino, e avrei dovuto prendere quell’asino dalla loro proprietà, presi solo dalla mia proprietà» (Tanchuma Korach 7, Num. Rabbah 10) .

Persino l’asino con cui Mosè era tornato in Egitto era suo e di nessun altro. Tuttavia sembra del tutto inutile che Mosè rinfacci questo dettaglio proprio adesso.Una comprensione diversa del versetto è suggerita dalla traduzione greca detta dei Settanta, che recita «Non ho preso ciò che desideravo da uno di loro», leggendo hamud, «oggetto desiderabile», invece di chamor, «asino». Però non è questa la lettura corretta originale del testo.

L’asino di Samuele

Dobbiamo, invece, tener presente che c’è un chiaro parallelo in un’altra parte della Scrittura dove un altro capo, Samuele, sottolinea di non aver mai rubato l’asino di nessuno, (1 Sam 12,3):

«Eccomi qui! Attesta contro di me, davanti al Signore e davanti al suo unto: Di chi è il bue che ho preso, o di chi l’asino ho preso? Chi ho defraudato o chi ho derubato? Da chi ho preso una mazzetta per guardare dall’altra parte? Te lo restituirò».

Grazie a questo caso, sembra che affermare la propria innocenza riguardo ai furti, compresi e soprattutto di asini, sia un luogo comune letterario dei capi che si sentono accusati.

Lo stesso topos appare anche in altri testi del Vicino Oriente antico. Nelle lettere di El-Amarna (280, 21-24), ad esempio, Shuwardata, re di un regno nel sud della Palestina, forse Qiltu o Gath, invia la seguente lettera al Faraone:

«Al re, mio ​​signore, mio ​​sole, di’: messaggio da Shuwardata, il tuo servitore, la terra per i tuoi piedi. Ai piedi del re mio signore e mio sole, sette e sette volte mi getto. Il re mio signore ci ha permesso di fare guerra contro Qiltu, e io ho fatto guerra: mi è stata salvata, la mia città mi è stata restituita. Perché mai Abdi-Heba scrisse agli uomini di Qiltu: “Prendete l’argento e siate miei seguaci!”? Sappia il re mio signore che Abdi-Heba ha preso la mia città dalle mie mani. Inoltre, il re mio signore mi chiede se gli ho preso un uomo, una mucca  o un asino…».

A quanto pare, anche gli scrittori biblici si avvalgono di una pretesa di innocenza tipica della retorica dei ministri dell’antico Vicino Oriente che vogliono chiarire che hanno agito come governanti benevoli e in nessun modo si sono comportati da sfruttatori.

L’asino di Mosè, l’asino del Messia

Sarà una pura coincidenza, ma la menzione dell’asino da parte di Mosè potrebbe richiamare anche la valenza messianica dell’immagine dell’asino, associato frequentemente alla redenzione, alla Salvezza. L’asino del Redentore è un tema ricorrente nel midrash: è citato in Zc 9,9 («Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma») ma parte da lontano.

È con l’asino che Abramo si reca con Isacco, nel cap. 22 di Genesi, sul monte del sacrificio, ma dopo non si dice che sia tornato con Isacco e con l’asino. Da qui è nata la tradizione che questo asino sia rimasto nei dintorni del monte Moria aspettando la venuta del Messia.

A dire il vero, nel midrash questo asino ritorna nella storia della Salvezza: non è solo l’asino di Abramo ma è anche l’asino con cui Mosè (Es 4,20) torna in Egitto con moglie e figli per compiere la sua missione di salvatore. Il racconto dell’Esodo non dice “Salì su un asino”, ma dice “Salì sull’asino”. I rabbini si chiedono: «perché c’è l’articolo? Perché è l’asino determinato? Perché è lo stesso asino che sellò Abramo per andare a legare [in ebraico il sacrificio di Isacco si chiama legatura] Isacco ed è quello sul quale si rivelerà il Messia, com’è detto: Umile e seduto su un asino».

Insomma, sempre dello stesso asino si tratterebbe, dell’asinello che pazientemente aspetta, nella storia, la venuta del Messia…

Il vangelo di Marco sottolinea che sull’asino scelto da Gesù per entrare in Gerusalemme nessuno era mai salito, nel senso, forse, che nessuno lo poteva cavalcare se non il Re, il Messia. E finalmente l’ha trovato…