L’Ascensione al cielo del Signore è un punto di snodo della storia della salvezza. Per parlarne parto proprio dall’Ascensione alvernina di Andrea della Robbia. È una delle tavole più grandi, composta da 680 pezzi. Era stata concepita per essere collocata sull’altar maggiore della chiesa grande, dove infatti rimase per oltre cento anni. Poi, nel 1601, essendo cambiati i gusti estetici, fu rimossa e spostata in una cappella laterale, dove perde non solo la visibilità ma anche parte del suo significato. Questa grande immagine doveva dare al pellegrino il senso della sua salita alla Verna; il movimento impresso dall’artista alla sua opera è come quello di un vortice che porta tutto verso l’alto, la natura, gli angeli, i volti dei discepoli.
Questa raffigurazione presenta infatti una particolarità. Normalmente, nella rappresentazione della scena dell’Ascensione del Signore, i discepoli sono volti verso di lui, ma gli angeli sono rivolti verso i discepoli (in atto di dir loro «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo»: Atti 1,11). Ma nella robbiana gli occhi di tutti sono volti al Signore che sale e le persone, anche gli angeli, sono protesi verso di lui. Con lui, tutto è portato verso l’alto insieme al Risorto.
Qual è, dunque, il significato di questo evento così importante nella narrazione della fede? Perché Gesù doveva ascendere al cielo? Non poteva rimanere con noi?
L’Ascensione del Signore: scelta non facile da capire
Quando ero piccola, erano due gli episodi biblici che mi sconcertavano sembrandomi illogici. Il primo era quello del peccato originale: aver perso il Paradiso PER UNA MELA! Ho dovuto studiare per comprendere che il peccato non era stato quello di aver mangiato un frutto (che comunque una mela non era); e soprattutto che quell’Adamo, quella Eva sono io, siamo tutti noi – cito a sostegno Sant’Agostino quando afferma «Omnis homo Adam» (ed anche: «in his qui crediderunt omnis homo Christus» – Enarr. in Ps. 70, d. 2,1). L’altro è l’episodio dell’Ascensione.
Pensavo: ma come, il Signore ha patito tanto, è risorto, è di nuovo con i suoi, con tutti gli uomini, e invece di rimanere con noi se ne va come se non ci fosse mai stato! Tornerà, sì, ma quando!
Anche in questo caso è stato lo studio a farmi comprendere il senso di un allontanamento che non è una separazione ma è invece una permanenza più profonda.
La corporeità della resurrezione
La resurrezione di Gesù è corporea anche se gloriosa, e in quanto tale, pur andando oltre i confini del tempo e dello spazio (passa a porte chiuse ma si fa toccare, appare all’improvviso ma mangia con i discepoli), mantiene alcuni limiti del corporeo; altrimenti si parlerebbe di puro spirito. Un limite è quello di essere in un solo luogo e non in tutti gli altri in un determinato momento del tempo storico. Con l’Ascensione Gesù esce da questo limite alla sua presenza e si rende presente nello Spirito, universalmente e simultaneamente, in ognuno di noi. Assicura S. Agostino: «Egli non abbandonò il cielo, discendendo fino a noi; e nemmeno si è allontanato da noi, quando di nuovo è salito al cielo».
Papa Francesco aveva detto in un’udienza del 2013:
«L’Ascensione non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi. Nella nostra vita non siamo mai soli: abbiamo questo avvocato che ci attende, che ci difende. Non siamo mai soli: il Signore crocifisso e risorto ci guida; con noi ci sono tanti fratelli e sorelle che nel silenzio e nel nascondimento, nella loro vita di famiglia e di lavoro, nei loro problemi e difficoltà, nelle loro gioie e speranze, vivono quotidianamente la fede e portano, insieme a noi, al mondo la signoria dell’amore di Dio, in Cristo Gesù risorto, asceso al Cielo, avvocato per noi (17 aprile 2013)».
L’Ascensione del Signore: non assenza ma presenza
Credo che questo esprima molto bene quello che intendo dire. Non assenza, se non agli occhi del corpo, ma presenza viva in ciascuno di noi. L’atteggiamento di Gesù che torna al Padre non è affatto del tipo «Io ho svolto la mia missione, adesso fate la vostra parte». È del tipo «La mia missione continua ed io sarò con tutti voi sempre, in ogni momento e in ogni luogo, anche se non mi vedrete». È la discesa dello Spirito a far sì che Gesù sia presente nella Chiesa e in tutti i suoi discepoli.
L’Ascensione del Signore nel vangelo di Matteo: il Dio-con-noi
Il vangelo di Matteo mette in risalto questo aspetto del rimanere di Gesù con i suoi: ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (una precisazione storica: la Galilea di cui parla Matteo non è il nord della Palestina, ma una collina di Gerusalemme così chiamata per la forma rotonda – galal significa rotolare – ovvero la sommità del Monte degli Ulivi). Matteo aveva iniziato il suo racconto narrando la nascita dell’Emmanuele, il Dio-con-noi (Mt 1,23); adesso ci dice che questo Dio-con-noi, anche se sembra allontanarsi, rimane con i suoi, con la Chiesa ogni giorno e per sempre; questo Dio-con-noi che è Padre, Figlio e Spirito Santo.
L’interpretazione di Franco Zeffirelli QUI.
L’Ascensione negli Atti degli Apostoli: la forza dello Spirito Santo
Gli Atti degli Apostoli, invece, testo dello stesso evangelista Luca, mettono in rilievo la forza dello Spirito Santo che renderà i discepoli testimoni intrepidi del Signore fino agli estremi confini della terra. L’Ascensione è proprio l’episodio che i due libri, come tomi di una stessa opera, hanno in comune; infatti i dettami letterari greci volevano che, se un’opera si fosse presentata divisa in due volumi, un brano-cerniera li collegasse fra di loro. L’Ascensione funge da cerniera, nell’opera lucana, tra il Vangelo di Gesù Cristo, che è il terzo dei vangeli canonici, e gli Atti degli Apostoli, che si presentano come il vangelo dello Spirito Santo: cioè di questo dinamismo dello Spirito che fa muovere nel mondo i passi della Chiesa. Lo Spirito che costituisce il nostro cammino sinodale. E guai a chi, nella Chiesa, si opponesse.