L’arca che uccide
Predisposta la città, David vuole trasferire l’arca dell’alleanza a Gerusalemme (6,2). La città deve diventare il luogo del culto al Signore: è importante che la città sia ben difesa e funzionante, ma senza il culto a Dio non è la città di Dio. Per questo David vuole trasportare l’arca, dal luogo decentrato e lontano in cui si trovava, nel cuore della città.
Però, un certo Uzza vede che l’arca sta per cadere dal carro e stende la mano per fermarla, perciò viene colpito dalla morte (6,7). Il testo collega la sua morte improvvisa con il gesto improvvido di toccare l’arca. Questo è uno degli episodi biblici su cui mi interrogavo da bambina: non mi tornava assolutamente, mi sembrava profondamente ingiusto. Le intenzioni di Uzza erano buone: non voleva che l’arca del Signore cadesse. Perché Dio doveva farlo morire?
Possibili spiegazioni
- La morale delle azioni. Il fatto è che nella società antica non contano le intenzioni, conta la materialità dell’atto. Un gesto illecito non si trasforma in lecito per il fatto che sia compiuto inconsapevolmente o per fare del bene. Resta sempre illecito e porta con sé la propria punizione.
- Inoltre, nel corteo liturgico evidentemente c’era stato un certo raffazzonamento, una improvvisazione: ne fa le spese il povero Uzza. Come avevano fatto i filistei per restituire l’arca ad Israele (1 Sm 6,7-12), l’arca viene traslocata su di un carro trainato da buoi, invece di essere portata sulle spalle; in questo modo viene esposta ad essere toccata, mentre tutti sanno che nessun uomo può toccarla ed i sacerdoti stessi devono usare delle stanghe per trasportarla. Il modello filisteo non è certo una buona moda per Israele, né tanto meno per il nuovo re.
- Lo sconfinamento dell’iniziativa umana nel mondo del sacro. Il nome Uzza in ebraico significa “forza” ed è in questo caso emblematico del carattere di chi lo porta: un uomo forte che pensa di poter fare affidamento sulla propria forza a costo di trasgredire la legge del Signore. Lo sfortunato paga il prezzo di un errore compiuto dall’intero popolo e dallo stesso re: le modalità con cui l’Arca dell’alleanza viene trasportata verso Gerusalemme non rispettano le norme stabilite dalla Torah. Anzi, il primo libro delle Cronache (15,13-15) riporta esplicitamente che i Leviti non erano presenti durante il trasporto dell’Arca, e che da tale trasgressione derivò una sventura per il popolo.
- Il grande commentatore medievale Rashi vede questo atto come un atto di sfida nei confronti di Dio. Secondo Rashi, l’arca è così sacra che viene trasportata solo da Dio. Gli esseri umani non sono necessari al suo trasporto. In questo caso, il peccato di Uzza fu la mancanza di fiducia nel fatto che Dio stesso avrebbe protetto l’arca. Un uomo che vuole sostituirsi a Dio…
Serietà della liturgia
Come vedete, Uzza diviene una sorta di figura simbolica che porta su di sé l’errore comunitario di valicare arrogantemente il confine con il sacro. Il culto non è cosa da improvvisare in modo superficiale, e questo ci può anche interrogare su certi modi troppo disinvolti di celebrare le nostre liturgie; certo, non è che chi sgarra venga fulminato, altrimenti…
A questo proposito, mi viene in mente una frase di C.S. Lewis in un suo libro sulla preghiera: «Vorrei che si ricordasse che il mandato conferito a Pietro era: “Pascola il mio gregge”, non: “Compi esperimenti sulle mie cavie” o: “Insegna nuovi trucchi al mio cane ammaestrato”» (Lettere a Malcom, Neri Pozza,Vicenza 1997, p. 7).
Ma torniamo al nostro Uzza, vittima non so quanto innocente di tutta una situazione. Forse ebbe semplicemente un infarto; ma la sua fine assurse a simbolo di ciò che accade (o può accadere) quando non si ha il debito rispetto per il sacro; timor di Dio, si chiama nella Bibbia. Anche in questo caso, come per Saul, il comportamento sbagliato porta con sé la propria punizione. Una sofferenza auto inflitta.