
Tutto il cap. 16 del Vangelo secondo Luca è imperniato sul problema dell’uso delle ricchezze, di cui la parabola dell’amministratore disonesto (16,1-9) è una sconcertante espressione: sembra che Gesù lodi la disonestà.
L’amministratore disonesto: una parabola provocatoria
In realtà il genere letterario della parabola esula dalla mentalità occidentale, di tipo allegorico, in cui ogni dettaglio deve avere un valore simbolico. Nella parabola un solo particolare è rilevante, il resto serve per lo più a vivacizzare e rendere attraente il racconto.
In questo caso, il dettaglio fondamentale è l’accortezza che l’economo dimostra nell’amministrare le ricchezze a proprio vantaggio – in questo caso, disonestamente: ha imbrogliato il padrone mentre era al suo servizio, lo imbroglia anche mentre si appresta ad essere licenziato. Niente deve essere imitato di quest’uomo, non la cattiva gestione, non la pigrizia, non la slealtà né la menzogna o la frode, ma solo l’abilità nel maneggiare il denaro per i propri fini.
Agendo in modo truffaldino, quest’uomo accorto sa farsi degli amici che lo potranno accogliere nelle loro case quando la dimora del padrone gli sarà preclusa. Non è una lezione morale quella che dobbiamo ricavare dal suo comportamento, tutt’altro! Si tratta, invece, di una provocazione: l’appello a farci furbi anche noi imparando a usare utilmente le ricchezze per assicurarci la vita eterna. Come l’amministratore nella sua disonestà utilizza i beni non suoi per farsi degli amici e assicurarsi il futuro, il cristiano che possiede dei beni (anche se questi in fondo non sono suoi, perché ne è solo il curatore) dovrà utilizzarli condividendoli con i poveri perché sono amici che contano in cielo, affinché intercedano per lui ed egli sia accolto nella dimora eterna. Nella casa del Padre si entra attraverso il Figlio suo e, ci dice continuamente papa Francesco, la carne di Cristo sono i poveri…
L’amministratore disonesto e la vera saggezza
Ecco la vera saggezza: una sapiente amministrazione, in questa vita, della cosa di minor conto che sono i beni terreni, condividendoli con i poveri, ci renderà attendibili per ricevere i beni eterni. La ricchezza di per sé è un valore effimero, è il modo di utilizzarla che si rivela indice di affidabilità o meno per poter ricevere le ricchezze eterne. Non a caso usiamo il termine “affidabilità”: la parola ebraica che indica la ricchezza, “Mammona”, sembra derivare dal verbo ’aman (stessa radice di ’amen / è vero: essere stabili, porre la propria fiducia, credere). Nella letteratura rabbinica indica il denaro, che viene comunemente ritenuto la certezza che assicura la vita.
Ecco l’errore: riporre la propria fiducia in ciò che stabile davvero non è, cercare sicurezze infide promesse dalle risorse umane ma proditorie e deludenti. Non si possono tenere i piedi in due staffe: chi ama il denaro nega il Signore (16,10-15). Le ricchezze non sono che un’ombra dei beni futuri, ma sono strumenti utili se usate per i poveri: saranno loro che ci apriranno le porte eterne.
La nuova legge è la misericordia, compimento dell’antica che ne era la promessa. Fino al Battista durò l’antica legge, dopo di lui inizia il Vangelo che forza dolcemente tutti ad avere parte nel Regno. L’amore dà la forza di compiere fino in fondo la legge, anzi di riportare l’uomo al piano originario di Dio (16,16-18). Adesso si può fare ciò che prima era impossibile.