Chi è veramente l’Agnello pasquale?

La tradizione del consumo pasquale di carne di agnello non è giustificata teologicamente

L'Agnello pasquale. Agnus Dei di Benedetto Buglioni, basilica della Verna
Agnus Dei. Benedetto Buglioni, basilica della Verna

Chi è veramente l’agnello pasquale? Non è l’agnello a quattro zampe, figlio della pecora madre, o, almeno, non lo è più. Al contrario di quanto si pensa comunemente, il portare la carne di agnello sulla tavola pasquale, ormai, non ha niente di religioso.

Gli ebrei, da cui originariamente deriva la festa di Pasqua (Pesach), non mangiano più nella Cena pasquale l’agnello; poiché non esiste più, dal 70 d.C., il tempio in cui immolarlo, ne fanno solamente il ricordo.

Per i cristiani, poi, l’Agnello pasquale è Gesù Cristo. Il suo sacrificio, secondo il vangelo di Giovanni, è avvenuto nel momento in cui nel tempio si immolavano gli agnelli per la festa; ed ha preso il loro posto per sempre. Nella tradizione dei vangeli sinottici (Matteo, Marco, Luca), Gesù ha celebrato, la sera prima della sua Passione, la cena pasquale. Però si è dato ai suoi nel pane e nel vino, sacramenti del suo corpo e del suo sangue; ha così sostituito il rito dell’agnello assumendone il posto. Fra gli ingredienti della Cena pasquale di Gesù manca proprio l’agnello, su cui tutte le narrazioni tacciono: l’Agnello, infatti, è lui, per sempre.

Vediamolo meglio.

L’agnello nella Bibbia

L'agnello pasquale non è più l'animale a quattro zampe, figlio della pecora. È Gesù Cristo
Foto di Michael Grundmann da Pixabay 

La pecora è il più importante e il più diffuso animale domestico dell’antichità, e l’animale di gran lunga più nominato nella Bibbia: 533 volte per le varie denominazioni sotto cui compare e 198 volte sotto il termine collettivo di gregge. Sono menzionati distintamente la pecora (rachel, greco probaton); l’agnello (kebes, keseb, greco arnos, arnion e amnos; seh che indica anche il capretto); l’ariete (’ail, greco krios). A differenza dei bovini, le pecore si accontentavano di pascoli magri, quindi erano allevate anche nelle regioni semidesertiche. Ovviamente, erano allevate per la lana, ma anche per la carne.

L’agnello sacrificale

Nell’antichità biblica, Israele condivide con gli altri popoli la pratica del sacrificio cruento. Il tempio di Gerusalemme è colmo del fumo dei sacrifici che consumano le vittime animali.

Queste vittime, vitelli, agnelli, capretti, colombi, tortore, sostituiscono nel sacrificio gli esseri umani che le immolano, in atto di espiazione, riparazione, supplica, o celebrazione di lode. Non deve stupire la sussistenza dei sacrifici per tutto l’arco della storia veterotestamentaria, perché questa è la cultura dell’epoca. La Scrittura parla il linguaggio dell’uomo; ed è un linguaggio duro, «per la durezza del loro cuore», per l’incapacità degli uomini, a quell’epoca, di pensare più alto.

Col passare del tempo, si afferma una maggiore sensibilità di cui sono testimoni i libri più recenti. Ad esempio, l’autore dei libri delle Cronache esprime una spiritualità incentrata sul canto che loda Dio, il canto sacro, più che sul sacrificio animale. La letteratura profetica contesta alla radice la validità di offerte solo formali, chiedendo un autentico comportamento di giustizia e di misericordia verso i deboli e richiamando radicalmente alla giustizia sociale. La lotta combattuta dai profeti non è diretta contro il culto del tempio, ma contro un culto che, non sostanziato dalla giustizia, finisca per unire offerte e iniquità: «Misericordia voglio e non sacrificio, la conoscenza di Dio e non gli olocausti…» (Os 6,6).

Nel Nuovo Testamento

Il Buon Pastore. Foto di Stephen Muir da Pixabay 
Foto di Stephen Muir da Pixabay 

La rivelazione neotestamentaria poi libera il popolo di Dio dai sacrifici animali. Nel IV Vangelo, nelle parole del Battista, Gesù è il vero Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (Gv 1,29.36): così Giovanni Battista presenta Gesù quando questi compare sulla scena.

L’agnello pasquale era prefigurazione di lui, Gesù il Cristo: avverandosi la realtà simboleggiata, la prefigurazione non è più necessaria né opportuna. Il sacrificio di Cristo, vero Agnello donato da Dio, ha posto fine alle liturgie compensatorie. Recandosi al tempio, Gesù libera le vittime sacrificali (che Giovanni ha cura di specificare nelle tre categorie previste, bovini, ovini e colombe: Gv 2,14). Queste sono allontanate dal santuario, mentre è il Cristo colui che sarà divorato dalla morte e restituirà agli uomini la vita con la sua resurrezione (Gv 2,13-22). Il contesto è pasquale, quello di una festa di liberazione e di vita. Il sacrificio perfetto e definitivo sarà il suo.

Quale che fosse la validità dei sacrifici antichi, dal 70 d.C., in assenza del tempio, essi non esistono più; Gesù poi si è dato ai suoi nei segni conviviali del pane e del vino, elementi non cruenti sostitutivi del sacrificio animale. Le vittime animali, surrogatorie, nella loro innocenza, degli esseri umani colpevoli, prefiguravano il Cristo nell’offerta della sua vita in riscatto della moltitudine. L’agnello pasquale, non più consumato dai fedeli ebrei in quanto non più sacrificabile in assenza del tempio, non ha più senso che venga consumato dai cristiani perché sostituito una volta per tutte dal vero Agnello di Dio, il Cristo.

Il vero Agnello è Cristo

L’agnello pasquale della Cena ebraica, l’agnello immolato dell’Apocalisse, l’agnello del sacrificio quotidiano perpetuo prendono i lineamenti del Cristo (Gv 1,29) che si sostituisce alla vittima antica e ne abolisce i riti.

Sarà quindi tempo di cessare, per Pasqua, la strage degli agnelli, che continua con il pretesto di una motivazione religiosa: in realtà, gli ebrei non mangiano più l’agnello pasquale perché non esiste più da quasi duemila anni un tempio in cui sacrificarlo; i cristiani non hanno motivo di mangiarlo – non un motivo religioso, almeno – perché il vero Agnello che dà la vita è Gesù, che si consegna ai suoi non nella carne dell’agnello, ma nelle specie del pane e del vino eucaristici. Commenta P. Plata:

«È completamente inutile pertanto continuare a sacrificare agnelli credendo che servano a riconciliare l’uomo con Dio, perché è Gesù l’unico in grado di compiere la vera ed autentica espiazione. Questo si ripete ogni volta che si celebra la S. Messa ed è per tale motivo che, prima della comunione, vengono parafrasate le parole del vangelo di Giovanni: “Beati gli invitati alla cena del Signore. Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”. Non soltanto è inutile ogni mattanza di agnelli, giustificata dall’ipocrisia di voler celebrare la festa della Pasqua, ma addirittura è segno di mancanza di fede e di crassa ignoranza» (Fratello agnello sorella volpe, 17. Cfr. anche M. Bogazzi cur., Vegetarianesimo di ispirazione cristiana, 49).

Scriveva in occasione della Pasqua 2015 l’arcivescovo Michele Castoro, recentemente scomparso:

«La Pasqua cristiana non ha nulla a che fare con la strage di milioni di agnellini, in quanto Cristo, vero agnello pasquale, ha immolato se stesso per riscattarci dalla malvagità, dalla ingiustizia e da tanti altri mali che affliggono l’uomo e il creato.

Noi come Chiesa inoltre crediamo che l’uomo non sia il padrone del creato ma solo il custode, il quale è chiamato ad amare, a prendersi cura e a promuovere la bellezza e la vita del creato nelle sue diverse forme. Infatti, anche se l’uomo ha ricevuto da Dio il permesso di servirsi di esse, non per questo deve spadroneggiare, mai dimenticando che la terra appartiene a Dio. Posso garantire che quando si presenta l’occasione noi sacerdoti, ed io vescovo con loro, lo facciamo – sempre in dialogo con quanti hanno a cuore il bene del Creato – attraverso i nostri canali di formazione, perché questa mattanza abbia fine, non avendo nulla a che fare con la celebrazione della nostra Pasqua cristiana» (La Pasqua non c’entra nulla con la strage di agnelli, in«Famiglia Cristiana», 30 marzo 2015).

L’ira dell’Agnello

L'Agnello pasquale è anche il Leone della tribù di Giuda. Immagine di pubblico dominio

Ricordiamo, però, che l’Agnello immolato, il Risorto, è anche il Leone della tribù di Giuda (Ap 5,5). L’Agnello dell’Apocalisse è il vero protagonista della storia e ben se ne accorgeranno coloro che hanno commesso malvagità, quando saranno ridotti a dire alle montagne: «Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla presenza di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello, poiché è giunto il gran giorno della loro ira, e chi potrà resistere?» (Ap 6,15-17). La mitezza dell’Agnello sarà allora la pietra di paragone tra coloro che lo hanno seguito nell’amore e nella dolcezza e coloro che hanno fatto della violenza la loro arma (Cfr. S. Pinto, Guardate gli uccelli del cielo, 27-29).