L’oracolo contro Israele conclude a sorpresa la serie dei 7 oracoli aggiungendone uno del tutto inaspettato. Infatti, il numero sette poteva far pensare a qualcosa di compiuto; e invece viene ad occupare un ottavo posto, l’ultimo, ed è il più lungo di tutti, con accuse circostanziate. Israele non può pensare di nascondersi sotto la sua elezione di popolo di Dio. Le altre nazioni hanno commesso crimini orrendi contro l’umanità, ma non hanno avuto il privilegio dell’alleanza con il Signore. Pesante è l’accusa contro Israele che, per questo, è più colpevole di loro.
L’accusa contro Israele
Il povero viene sfruttato, il debole oppresso. Il giusto è venduto per denaro, il povero per un paio di sandali. Padre e figlio vanno dalla stessa schiava. Non si restituisce la sera al povero il mantello che ha consegnato in pegno (cfr. Es. 21-22).
Dio ha concesso i più grandi benefici a Israele, liberandolo dall’Egitto e donandogli la terra (2,9 s.). Ma Israele ha risposto pervertendo il dono di Dio, impedendo ai profeti di parlare e violando il voto di astinenza dei nazirei (2,11 s.). Le accuse contro Israele coinvolgono il campo sociale, perciò il castigo riguarda tutto il popolo. I più potenti cadranno, non si salverà né eroe, né corridore, né cavaliere (2,13 s.), i deboli non avranno sorte migliore.
Israele non deve porre la sua fiducia nel periodo di agiatezza e di forza politica che sta attraversando. Con il crollo dell’impero hittita, e la sopravvenuta debolezza dell’Egitto, Israele aveva potuto trovare forza e stabilità politica. Ma forza e stabilità in realtà non esistono fuori di Dio, sono effimere. Tramontata l’ora degli scontri con Damasco e con i piccoli popoli confinanti, si profila dal nord il colosso assiro. Sarà questo a por fine alle ingiustizie perpetrate in Israele.
L’accusa contro Israele: la struttura
L’oracolo contro Israele, alla fine dei 7 oracoli contro le nazioni, si presenta come qualcosa di imprevedibile.
Abbiamo un testo ben costruito, la cui divisione tripartita è marcata da:
- «così dice Jhwh» all’inizio (v. 6) = accusa (vv. 6-8);
- «ma io»al centro (v. 9) = retrospettiva storica (vv. 8-12);
- «ecco che io» alla fine (v, 13) = annuncio di giudizio (vv. 13-16).
Il contrasto fra la prima e la seconda parte evidenzia l’opposizione tra l’azione di Israele e quella di Dio. La retrospettiva storica non ha solo una funzione di memoria del passato, ma fa da contrasto con l’atteggiamento di Israele, espresso nei vv. 6-8.
La parte finale (annuncio di giudizio) si collega alla seconda parte per la ripetizione del soggetto «io». Quindi strutturalmente si stabilisce una stretta connessione fra seconda e terza parte, che vedremo confermata da altri fattori.
Nella struttura si rileva il parallelismo inclusivo:
v. 6b | (a) per denaro il povero (b’) (a: complemento indiretto – b: oggetto diretto) | (b) il giusto per un paio di sandali (a’) |
v. 7a | (a) hanno calpestato… iI cammino dei miseri (b’) (a: verbo – b: complemento) | (b) la testa dei poveri fanno deviare (a’) |
v. 12 | (a) avete fatto bere ai profeti (b’) (a: verbo – b: complemento) | (b) ai nazlrei… avete comandato (a’) |
I contenuti: l’accusa
6. ‘Così dice Jhwh: Per i tre misfatti di Israele
e per quattro non revocherò il mio decreto;
L’oracolo inizia, come quelli precedenti, con la formula del messaggero («così dice Jhwh»), seguita dall’accusa “per i tre misfatti di Israele e per quattro non revocherò il mio decreto”.
L’accusa è formulata come negli oracoli precedenti (Am 1,3—2,5), con la serie numerica 3-4, che si trova in molti testi veterotestamentari. Tre più quattro, infatti, fanno sette, numero di pienezza, di qualcosa che ha raggiunto il limite.
Tuttavia, mentre negli oracoli contro le nazioni si esplicita un solo crimine, nell’oracolo contro Israele i capi di accusa specificati sono più di uno, per la precisione sette. Di fronte all’enormità dei suoi crimini, la sentenza di Israele non sarà diversa da quella degli altri popoli. Israele non ha nessun privilegio rispetto agli altri.
L’ingiustizia sociale
6. perché hanno venduto per denaro il giusto,
il misero per un paio di sandali.
7. ‘Essi calpestano sulla polvere della terra
la testa degli indigenti.
e il cammino dei miseri fanno deviare.
La prima accusa consiste nella vendita del giusto e del misero «per» denaro e «per» un paio di sandali. «Giusto» (şaddiq) è colui che si trova in una condizione giuridica di innocenza di fronte alla legge, il «povero» (’ēviôn) o indigente versa in una situazione concreta di bisogno. Il binomio giusto / povero esprime la categoria di persone che non sono garantite dalla legge del più forte, ma sono tutelate dalla Legge di Dio.
Come appartenente a questa categoria, il giusto viene venduto «per» denaro e il misero «per» un paio di sandali, cioè per una cifra insignificante, oppure «a causa» di un debito irrisorio. Il povero viene mercificato in modo tale da perdere la sua dignità.
La situazione ai cui rimanda il profeta è probabilmente la procedura legale per cui un contadino indebitato poteva essere venduto al creditore per saldare il debito. Non viene messo in discussione l’istituto della schiavitù, ma si contesta ogni comportamento che calpesti il diritto del misero indifeso, cui viene schiacciata la testa sulla polvere e impedito di proseguire il retto cammino.
Violenza di genere?
7. Figlio e padre vanno dalla stessa schiava.
profanando il mio santo nome.
Il caso trattato nel v. 7b non è contemplato espressamente dalla legge, anche se ci sono casi simili: è vietato che un uomo abbia rapporti con una donna e sua figlia (Lv 18,17; 20,14), che un figlio li abbia con la moglie di suo padre (Lv 18,8; 20,11: Dt 23,1: 27,20), un padre con la moglie di suo figlio (Lv 18,15; 20,12). La terminologia usata da Amos però non è la stessa di questi testi.
La «ragazza» (na‘arah) potrebbe essere una giovane donna in età da marito (ad esempio, la fidanzata del figlio) ma anche una prostituta sacra o una schiava. Il contesto fa pensare che si tratti piuttosto di una giovane schiava che non si può ribellare, una persona quindi che rientra nella categoria dei poveri. Anche se non si tratta della prostituzione sacra esercitata nei templi, l’accusa di Amos è ugualmente forte e coerente con il suo messaggio sociale: nella violenza verso il povero si viola il rapporto con Dio. Il culto non può ammettersi separato dalla giustizia.
Culto e giustizia sociale
8. ‘Su vesti prese in prestito si stendono presso ogni altare,
e bevono il vino confiscato come ammenda
nella casa del loro Dio.
La menzione di «altare» e «casa del loro Dio» rimanda senza dubbio al santuario. In Ez 22.25-26 e Dt 24,12-13 si ingiunge la restituzione del mantello preso in prestito a un povero prima del tramonto «perché egli possa dormire con il mantello e benedirti» {Dt 24,13). Il vestito della vedova non si può neppure prendere in prestito (Dt 24,17). Le vesti legittimamente prese in prestito non vengono restituite prima del tramonto, ma usate per pernottare vicino al santuario; ma se sono vesti prese come pegno di un debito, significa che sono vesti di gente bisognosa.
Il «vino confiscato come ammenda» si riferisce probabilmente al risarcimento dovuto al tempio come «ammenda» per una colpa lieve. Così si deduce almeno dall’uso di ’ns in alcuni testi (cf Es 21,22: Dt 22,19; 2Cr 36,3), anche se in nessuno di questi casi si parla di vino.
Con questi abusi, invece di compiere un’azione cultuale, si commettono ingiustizia e sacrIlegio.