
Ha pesato molto, nei secoli passati, l’idea di Cartesio (1596-1650) che gli animali fossero semplici automi, incapaci di coscienza e quindi di provare sentimenti e sofferenza e di essere soggetti di considerazione morale. I loro lamenti non sarebbero altro che una risonanza meccanica, come quando il tamburo, percosso, fa rumore. In contrasto con la teoria di Cartesio, la Bibbia si preoccupa della sofferenza degli animali. Un chiaro esempio ne è il rimprovero dell’asina a Balaam: «Che cosa ti ho fatto perché mi hai colpito così tre volte?» (Num 22,28). La voce dell’asina è eloquente.
La voce dell’asina di Balaam
Balaam non vede sulla sua strada l’angelo mandato da Dio con la spada sguainata per bloccare il suo cammino, ma la sua asina sì, e comprendendo il pericolo per il suo padrone devia dal sentiero e alla fine si arresta per salvarlo. Balaam, i cui occhi sono ciechi alla rivelazione divina, colpisce l’asina ogni volta. La terza volta, l’asina parla per rimproverare il suo padrone: «Che cosa ti ho fatto, che mi hai colpito così tre volte?».
Quando poi Balaam risponde, all’asina che lo ha salvato tre volte dalla spada dell’angelo, che se avesse una spada la ucciderebbe (22,29), l’animale risponde saggiamente: «Non sono io la tua asina, sul quale hai cavalcato tutta la tua vita fino ad oggi? Sono mai stato abituata a farti così?”. E l’angelo si schiera con l’asina:
«Perché hai percosso il tuo asino queste tre volte?… Quando l’asina mi vide, per tre volte si allontanò a causa mia. Se lei non si fosse allontanata da me, saresti tu quello che avrei dovuto uccidere, risparmiandola».
La sofferenza degli animali nella Bibbia
Nella Bibbia è chiaro che gli animali hanno sentimenti e spetta agli esseri umani tenerne conto. Da questo riconoscimento conseguono molte leggi. Ecco alcuni esempi:
«Quando vedi l’asino del tuo nemico accasciato sotto il suo peso e vorresti astenerti dall’aiutarlo, devi tuttavia aiutarlo insieme a lui» (Esodo 23,5).
Dare riposo agli animali (Esodo 23,12):
«Per sei giorni farai il tuo lavoro, ma il settimo giorno cesserai dal lavoro, affinché il tuo bue e il tuo asino possano riposarsi e il tuo schiavo e il forestiero possano riposarsi».
Lasciare libera la madre della nidiata (Dt 22,6-7):
«Se lungo la strada ti imbatti in un nido di uccelli, su qualche albero o per terra, con piccoli o uova e la madre seduta sopra i piccoli o sulle uova, non prendere la madre insieme ai suoi piccoli. Lascia andare la madre e prendi solo i piccoli, affinché tu possa vivere bene e avere una lunga vita».
Questo comandamento, che impone il rispetto della maternità animale, è l’unico, su 613, ad essere legato ad una promessa di ricompensa, insieme al comandamento che recita: «Onora tuo padre e tua madre, affinché si prolunghino i tuoi giorni nella terra che il Signore tuo Dio ti darà».
Lasciare che l’animale si nutra mentre lavora (Deut 25,4):
«Non metterai la museruola al bue mentre trebbia».
Negli scritti rabbinici
I rabbini emanarono anche leggi aggiuntive che proteggevano gli animali, come il divieto di prelevare parti da un animale vivo, e l’obbligo di nutrire i propri animali prima di mangiare (b. Berakhot 40a). Evitare la sofferenza animale viene considerato da alcuni un principio della Torah (b. Shabbat 28b, b. Baba Metziah 32b). Il Talmud racconta che R. Yehudah HaNasi [il Principe] fu punito con la malattia perché non ebbe compassione di un vitello, e successivamente la malattia scomparve quando ebbe pietà di una cucciolata di donnole che la domestica voleva spazzare via. «Le disse: “Lasciali, perché dice la Scrittura (Sal 145,9): ‘La sua misericordia è su tutte le creature’”. Gli [angeli celesti] dissero: “Poiché è misericordioso, abbiamo pietà di lui”» (b. Bava Metzia 85a).
Nella sua Guida dei perplessi, Mosè Maimonide (1135-1204) afferma:
«Per quanto riguarda il loro detto: “[Evitare di causare] sofferenza agli animali è [un’ingiunzione che si trova] nella Torah” – che apprendono dal versetto (Num 22,32) “Perché hai colpito il tuo asino” – è stabilito con lo scopo di perfezionarci affinché non acquisiamo abitudini morali di crudeltà e non tributiamo dolore gratuitamente senza alcuna utilità, ma intendiamo essere gentili e misericordiosi anche con un individuo animale casuale tranne che in caso di necessità».
Maimonide approfondisce questo punto nella sezione della Guida dedicata a spiegare il senso dei comandamenti (3,48):
«Infatti in questi casi gli animali provano un dolore molto grande, non essendovi alcuna differenza in questo dolore tra l’uomo e gli altri animali. Perché l’amore e la tenerezza di una madre per il suo bambino non derivano dalla ragione, ma dall’attività della facoltà immaginativa, che si trova nella maggior parte degli animali proprio come si trova nell’uomo…».
«È un peccato causare dolore agli animali» (Sefer Chasidim)
Nella sua opera Sefer Chasidim, Rabbi Yehudah he-Chasid, capo dei chassidim tedeschi e contemporaneo di Maimonide, tocca in modo commovente il problema della crudeltà verso gli animali, comprese le crudeltà quotidiane come spronare il proprio cavallo per farlo correre più veloce (Sefer Chasidim, 44):
«È un peccato causare dolore agli animali. Pertanto, non caricare un animale troppo pesante, non picchiarlo spietatamente e non tirare le orecchie al gatto per farlo urlare. Secondo i Saggi, questo pensiero è implicito nel versetto: “In quel giorno – dichiara Dio – colpirò di panico ogni cavallo e il suo cavaliere di follia” (Zaccaria 12,4). Secondo loro questo significa che in futuro Dio punirà i cavalieri per aver pungolato i loro cavalli con gli speroni».
«Gli animali, come l’uomo, hanno sensazioni» (Samson Raphael Hirsch)
Nell’Ottocento, il rabbino Samson Raphael Hirsch scrisse in modo acuto e commovente sulla tendenza degli esseri umani a ignorare la somiglianza tra loro e gli animali:
«Probabilmente non esistono creature che necessitano più della parola divina protettiva contro la presunzione dell’uomo degli animali, i quali come l’uomo hanno sensazioni e istinti, ma il cui corpo e le cui forze sono tuttavia sottomessi all’uomo. Di fronte ad essi l’uomo dimentica così facilmente che i muscoli animali feriti si contraggono proprio come i muscoli umani, che i nervi maltrattati di un animale si ammalano come i nervi umani, che l’essere animale è sensibile quanto l’uomo ai tagli, ai colpi e alle percosse.
Così l’uomo diventa il torturatore dell’anima animale, che gli è stata sottomessa solo per la realizzazione di scopi umani e saggi, ora per interesse personale, altre volte per soddisfare un capriccio, talvolta per sconsideratezza, sì, anche per la soddisfazione del crudo desiderio satanico» (Samson Raphael Hirsch, Horeb: una filosofia della legge e delle osservanze ebraiche, Londra1962, capitolo 60, §415, 2:292).
La voce dell’asina
Solo all’asina di Balaam è stato consentito, nella Bibbia, di elevare una protesta contro l’uomo perché sottoposta ad abusi. È giusto che la voce dell’asina si innalzi a nome di tutte le creature. Le creature spesso non hanno voce per farsi sentire: è l’uomo la voce cosciente del creato, spetta all’uomo alzare la voce per denunciare tutto quanto sia indegno della nobiltà di una natura creata da Dio. Come scrive un altro studioso ebreo contemporaneo, Abramo Heschel, del canto di lode che si leva a Dio,
«la nostra lode… è significativa solo in quanto con essa ci uniamo al canto infinito: noi cantiamo insieme con i sassolini sulla strada, che sono come meraviglia pietrificata, insieme con tutti i fiori e gli alberi, che appaiono come ipnotizzati in uno stato di devozione silenziosa» (A.J. Heschel, L’uomo non è solo, Ghibli 2016, p. 82).
Nelle bestie la voce del Creato si fa canora, ma solo nell’uomo si fa consapevole. Tanto consapevole da doversi fare carico della Casa comune e di quanti la popolano; e allora, la voce dell’asina non sarà più la sola.