Castità, minorità, povertà sono tre dimensioni che contraddistinguono la vita del discepolo. Questa pagina di Marco ne traccia le linee maestre, a partire dalla fedeltà coniugale.
La vita del discepolo e la fedeltà coniugale: il testo
10 1Partito di là, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare. 2Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. 3Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». 4Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». 5Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. 6Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; 7per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie 8e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. 9Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 10A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. 11E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; 12e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
La fedeltà coniugale: le ragioni
La fedeltà coniugale, per Gesù, non conosce eccezioni. La concessione del divorzio a Israele era stata una misura pedagogica, dovuta all’incapacità umana di comprendere fino in fondo l’elevatezza della vocazione matrimoniale. Gesù da parte sua richiama duramente gli ascoltatori al piano originario di Dio. Mosè ha permesso, non comandato, il ripudio. Invece Gesù va oltre la sclerocardia, l’incapacità di comprendere le esigenze originarie del rapporto sponsale, e riconduce tutto al principio. Finito il tempo del cuore di pietra, è iniziato il tempo del cuore nuovo, un cuore di carne, aperto alla volontà di Dio, anche se faticosa da accettare per l’uomo.
Nel passo parallelo di Mt 19,3 la domanda suona un po’ diversa: non se è lecito ripudiare la moglie, ma per quale motivo si possa ripudiare, dando per scontato, secondo la dottrina rabbinica, che in alcuni casi il ripudio sia lecito o addirittura doveroso, come previsto da Dt 24,1 ss.
Marco non si chiede in quali casi sia lecito il ripudio, ma se in assoluto sia lecito: perché nel mondo pagano, romano in particolare, il divorzio era pratica diffusa ed abusata, e il cristiano deve sapere che anche in questo devo andare controcorrente.
Anzi, Marco contempla anche, per proibirlo, il caso in cui sia la moglie a ripudiare il marito. Questa possibilità, frequente nell’alta società romana, era invece impensabile nella società giudaica del tempo. È,perciò, una conferma interna della destinazione romana del Secondo Vangelo. Gesù si pone in contro tendenza rispetto al contesto storico in cui il Vangelo viene annunciato.
La vita del discepolo: Farsi come bambini (Mc 10,13-16)
Come Gesù, anche il discepolo deve essere in controtendenza rispetto allo stile di vita imposto dal pensiero unico dell’epoca. Come quando, invece di allontanare da sé i bambini, li accoglie come i privilegiati cui appartiene il regno di Dio, invitando i discepoli stessi a farsi come bambini.
Il testo: farsi come bambini
10 13Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. 14Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. 15In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». 16E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.
Perché i discepoli vogliono allontanare i bambini?
Gesù va contro corrente quando i discepoli, bene intenzionate ma inopportune guardie del corpo, vogliono allontanare da lui i bambini (10,13-16). Perché allontanarli?
I maschi in Israele a partire dai 13 anni avevano lo stretto obbligo di studiare la Torah. Un maestro della legge doveva dedicare il suo tempo ad istruire gli uomini adulti, non poteva quindi permettersi di sprecarlo con le donne e con i bambini, che non avevano lo stesso obbligo.
In che senso Gesù invita a farsi come bambini?
Gesù rovescia la prospettiva: è proprio il bambino, cioè il piccolo che si fida dei grandi, ad essere il modello esemplare del discepolo che si fida del Padre. Di più: chi non si fa simile ad un bambino non avrà parte al Regno di Dio.
Farsi come bambini non vuol dire essere ingenui o ignoranti (non è una virtù), puri da ogni malizia (i bambini non lo sono), obbedienti (i bambini tendono alla disobbedienza). Ma c’è una virtù che i bambini possiedono istintivamente: si fidano, si affidano.
Marco sottolinea, rispetto a Matteo e Luca, le emozioni di Gesù nel proclamare questa verità: si sdegna vedendo che i discepoli vogliono allontanare i bambini, che invece egli abbraccia. Per essere fra le braccia del Signore bisogna essere come bambini, allora ci si può permettere di riposare in lui con fiducia assoluta, e non importa più che cosa ci minaccia, fuori del cerchio rassicurante e confortante di queste braccia…
La vita del discepolo: La povertà evangelica (Mc 10,17-31)
Gesù ancor più rovescia la mentalità comune quando invita un tale, che poi scopriamo essere molto ricco, a spogliarsi dei suoi molti beni per darli ai poveri (10,17-30). È la povertà evangelica.
La povertà evangelica: il testo
10 17Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». 18Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 19Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». 20Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». 21Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». 22Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Il rischio della ricchezza
23Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». 24I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! 25È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». 26Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». 27Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
La ricompensa
28Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». 29Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, 30che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. 31Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi».
La povertà evangelica
Questo invito a spossessarsi volontariamente dei beni per servire Dio è inaudito nell’Antico Testamento, dove la povertà è una disgrazia da sopportare e non da desiderare, anche se può risultare condizione privilegiata per attirare su di sé la misericordia divina.
Questo ricco, che Matteo dice giovane, e che in Marco sembra dimostrarlo col suo impeto e con la sua spontaneità, è un uomo sincero che osserva la legge, e Gesù lo guarda con amore. I beni tuttavia lo appesantiscono, perché costituiscono per lui un valore cui egli non è disposto a rinunciare.
L’idolatria dei valori
Gesù lo rimprovera, in effetti, di idolatrare valori. Può sembrare molto strano, ma chiamare «buono» Gesù come rabbi, quasi fosse come rabbi un gradino prima di Dio, significa idolatrarlo. Può essere idolatria o almeno superstizione avere in Gesù una fede magica, a maggior ragione è idolatria mettere i beni materiali al posto di Dio. Gesù infatti corregge questa ottica, perché il suo «essere buono» non si ferma a lui come maestro, ma rinvia a Dio stesso. La spoliazione di Gesù è totale e non si riferisce solo ai beni materiali, ma anche ai beni interiori, cui egli abdica per riferire tutto al Padre.
Il cammello e la cruna dell’ago
La ricchezza, contrariamente a quello che è nel pensiero del mondo, è un grande pericolo per i discepoli: sarebbe più facile far passare un enorme cammello da una minuscola cruna che far entrare un ricco nel regno di Dio…
Ci sono stati esegeti che, per rendere meno paradossale questa similitudine, hanno sminuito la forza dell’immagine spiegando «cammello» con «corda» (la parola, kàmilos, è simile in greco a kàmelos), oppure identificando la «cruna dell’ago» come una piccola porta di Gerusalemme. In questo modo, non necessario, si toglie all’immagine la sua efficacia, in quanto è una iperbole che vuol proprio dare l’idea dell’impossibilità assoluta. Impossibilità per l’uomo, s’intende: perché tutto è possibile a Dio. Nel Vangelo di Luca, Zaccheo sarà proprio il cammello che per la cruna dell’ago ci è passato…
La vita del discepolo e la ricompensa: la gioia di una nuova fraternità
Ma chi, come gli apostoli, ha accolto la vocazione alla radicalità di lasciare tutto per Gesù e per il suo Vangelo, in cambio ritroverà tutto, e moltiplicato per giunta, fin d’ora, prima ancora che nella vita eterna (10,28-30). La gioia del Vangelo è già ricompensa di per sé, e porta con sé la gioia di una nuova fraternità: fratelli, sorelle, madri e figli di Cristo e quindi dei discepoli (padri no, perché unico è il Padre di tutti, che è nei cieli).
Ma la perfetta letizia del Vangelo porta con sé anche persecuzioni, come ben sapeva la comunità romana, che era passata dalla persecuzione di Nerone, sul modello più antico della primissima persecuzione a Gerusalemme, quando gli apostoli «se ne andarono lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù» (At 5,41).
E non è detto che quelli che poi risultano i più forti siano proprio i primi chiamati… i primi devono, anzi, imparare ad essere gli ultimi, se vogliono aver parte a questa promessa del Signore.