Oggi, lunedì 20 marzo, si celebra liturgicamente la solennità di San Giuseppe, perché essendo il 19 domenica, la domenica di Quaresima prevale sulla celebrazione di un Santo. Collego a questa solenne memoria, che la Chiesa fa di San Giuseppe, un aspetto mariano che gli è strettamente legato: la verginità perpetua di Maria, non solo quindi al momento del concepimento, ma anche nella successiva vita sponsale.
La verginità perpetua di Maria è stata creduta nella Chiesa come materia di fede sin dai primi tempi. La letteratura patristica la afferma fin dal secondo secolo (ad esempio, S. Ireneo di Lione), anche se alcuni antichi scrittori, come Tertulliano, la negano. Dal IV secolo la dottrina della verginità perpetua di Maria è ampiamente condivisa tra i Padri, e proclamata da molti Concili ecumenici. Fa parte del patrimonio di fede comune di cattolici, ortodossi e anglicani, ed anche di alcuni teologi luterani. Ma c’è qualcosa di biblico al riguardo? Per la Sacra Scrittura, Maria è sempre vergine oppure no? La Bibbia afferma o contraddice questa dottrina?
Matteo 1,18-25
Un primo problema viene a Giuseppe dalla sua constatazione della maternità di Maria, una maternità non dipesa da lui. Poiché la sua fidanzata è stata di un altro, egli non la può prendere con sé: questo perché è un uomo giusto, osservante della legge, e la legge mosaica vieta che un uomo riprenda con sé la sposa che è appartenuta ad un altro (Dt 24,4). Maria non potrà mai più essere sua. Occorre un sogno rivelatore perché Giuseppe si convinca che è volontà di Dio che egli la conduca nella sua casa:
«Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù» (Matteo 1,24-25).
Ci sono problemi nella comprensione di questo testo? Secondo questa traduzione, nessuno: Giuseppe prende con sé Maria sua sposa senza avere rapporti con lei; è per opera dello Spirito Santo che nasce il Bambino, Gesù. Peccato che il testo greco non dica solo questo. Alla lettera, recita:
«e non la conosceva (imperfetto, che indica una azione continuata) fino a che partorì (aoristo, azione puntuale) un figlio».
Allora l’ha «conosciuta» dopo la nascita di Gesù? Ha avuto dei figli suoi con Maria?
Una particolarità linguistica: il senso biblico di «finché»
Questo è quanto sostiene un certo tipo di esegesi, non cattolica e non ortodossa, giocando sul significato della congiunzione «finché» nelle lingue moderne: una situazione si mantiene in un certo modo finché non accade qualcosa, dopo di che si ribalta. Ma nel mondo biblico non è così.
Alcuni esempi veterotestamentari
Salmo 110,1 recita, letteralmente: «Oracolo di Jhwh al mio Signore, siedi alla mia destra, finché io porrò i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi». L’attenzione è tutta sulla intronizzazione alla destra di Dio, già prima che Egli sgomini i nemici del re e li assoggetti a lui: il finché non implica certamente che, dopo, i nemici potranno rialzarsi e liberarsi. La loro sottomissione continuerà.
Genesi 49,10: «Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il comando di tra i suoi piedi, finché verrà colui cui appartiene e sua sarà l’obbedienza dei popoli». Dopo il periodo di attesa di colui che deve venire, Giuda continuerà ad essere la tribù regale detenendo lo scettro.
Ancora più forte è l’espressione in 2Sm 6,23: «Mikal, figlia di Saul, non ebbe figli fino al giorno della sua morte». Evidentemente, la poveretta non ne ha avuti neppure dopo.
L’ebraico ‘ad, quindi, in greco heôs, non può essere valutato fuori del contesto perché non implica sempre e comunque un mutamento della situazione precedente.
Esempi neotestamentari
Questo vale anche per il Nuovo Testamento: ad esempio in Mt 14,22 Gesù ordina ai discepoli di salire sulla barca finché abbia congedato la folla, ma questo non significa che andandosene la folla i discepoli debbano scendere dalla barca, anzi continuano la traversata durante la quale Gesù nella notte li raggiungerà camminando sulle acque. La frase vuol dire solo che i discepoli devono andare sulla barca, mentre Gesù congeda la folla.
Stessa cosa nell’epistolario paolino. In 1 Cor 4,13, «come spazzatura del mondo siamo diventati, rifiuto di tutti, fino ad ora», la condizione di umiliazione si presume rimanga anche dopo che Paolo ha scritto. L’espressione ha il valore, dunque, di descrivere la situazione del momento, senza riferimenti diretti a quanto accade dopo.
Possiamo portare anche il caso di 1 Cor 15,6 in cui Paolo afferma che Gesù apparve a cinquecento fratelli, la maggior parte dei quali è in vita fino a quel momento. Heôs non presuppone certo la morte di queste persone subito dopo che Paolo ha terminato di scrivere la sua lettera, datata al 53-56 d.C., appena 20 anni dopo l’evento.
Alla congiunzione «finché» possiamo dunque dare, piuttosto, il valore di «intanto che» o «mentre»; con il senso di Intanto inizia a fare questa cosa, mentre io… In sostanza, sulla base del testo originario, possiamo dire che Mt 1,25 mette in luce il fatto che prima della nascita di Gesù Maria non ebbe alcun rapporto con lo sposo, il quale non ebbe parte alcuna nel suo concepimento. Nel periodo seguente la condizione rimane aperta: non si danno dirette indicazioni di quel che sia accaduto dopo la nascita di Gesù.
Rimane, però, la consapevolezza di Giuseppe: egli che non voleva prendere con sé la promessa sposa pensando che fosse stata di un altro uomo, credete che avrebbe potuto avere con lei rapporti maritali sapendo che ella apparteneva a Dio?
Luca 1,34
Le indicazioni più precise ci vengono da un altro testo, Lc 1,34, con quel «Non conosco uomo» in cui il «non conosco» è un presente di abitudine che implica una condizione permanente: come nelle nostre affermazioni «non bevo», «non fumo», «sono vegetariano», «mi piace nuotare», «l’acqua bolle a 100 gradi». Questa recisa affermazione manifesta chiaramente una volontà di serbare la propria verginità andando controcorrente in un mondo in cui sposarsi e procreare era non solo un dovere sociale, ma anche uno stretto obbligo religioso. Ritorneremo su questo.
Una difficoltà che non esiste: il «primogenito»
Intanto, notiamo che la fede della Chiesa nella verginità perpetua di Maria è affermata da Luca e non è smentita da Matteo. Sembrerebbe perciò contraddittoria l’affermazione di Lc 2,7 secondo cui Maria dette alla luce il suo «primogenito». Ma il «bekor» in ebraico è, come spiega lo stesso Luca in 2,23, «ogni maschio che apre la matrice» su cui deve essere eseguito il rito del riscatto indipendentemente da fatto che seguano o no altri figli (Es 13): il termine ha valore giuridico e non designa il figlio che precede altri fratelli, ma il figlio che non è preceduto da nessuno.
Questo già lo disse San Girolamo dimostrando che secondo l’uso biblico il primogenito «non è solo colui che ha successori, ma anche colui che non ha predecessori». Il termine «primogenito» è usato nella legge mosaica per designare il bambino che ha tutti i privilegi inerenti alla primogenitura e che impone ai suoi genitori tutti i doveri stabiliti dalla Legge, indipendentemente da altre eventuali nascite.
I Padri successivi ripetono questa spiegazione di San Girolamo. Così San Basilio spiega che quando l’evangelista chiama Gesù il primogenito figlio di Maria, «questo termine non implica una relazione con gli altri che sarebbero nati dopo di lui; ma è chiamato primogenito chi per primo apre il seno della madre». San Giovanni Damasceno: «Primogenito è colui che è nato per primo, sia che sia l’unico figlio o il maggiore degli altri fratelli». Tutti i teologi e i commentatori cattolici e ortodossi rimarranno fedeli a questa interpretazione.
Una testimonianza archeologica
Qui, l’archeologia viene a dare man forte non solo alla scienza biblica, ma anche alla linguistica, con la scoperta nel 1922 di una tomba ebraica in Egitto, a Tell El Yahoudieh, collegata all’antica Leontopolis.
La tomba, che presenta un’iscrizione in greco, è datata al 5 a.C. e fa parlare una defunta, Arsinoe:
«Ecco la tomba di Arsinoe, o passante. Piangi, considerando quanto sia stata infelice, sfortunata, sopraffatta dal destino. Ancora piccola, rimasi orfana di mia madre […] Mio padre Phabeiti mi ha dato un marito. Ma fra i dolori della nascita del mio primogenito, il destino mi ha condotto alla fine della vita».
Quindi, questo primogenito, la cui nascita è costata la vita di sua madre, è stato il primo ma anche l’unico figlio. Possiamo perciò tranquillamente rispondere alla domanda: il fatto che Gesù sia detto «primogenito» implica per forza l’esistenza di fratelli minori? Certamente no. Perché usarlo, allora? Perché, come sempre, i testi biblici si incarnano nell’uso linguistico del tempo, in questo caso non dimostrando, ma neppure smentendo la fede della Chiesa.
Non mi soffermo sull’ovvio significato dell’espressione “fratelli del Signore” come parenti, cugini di un qualche grado: in quel tipo di cultura, in cui i vincoli di sangue sono fortissimi, i parenti sono tutti considerati fratelli.
I dati biblici
A questo punto, noi abbiamo a favore della verginità perpetua di Maria una dichiarazione di intenti molto forte, Non conosco uomo, non smentita da alcun altro passo evangelico. Se anche vogliamo ipotizzare, come sostengono alcuni, che queste parole siano state attribuite a Maria a posteriori dalla comunità cristiana, significa che la Chiesa primitiva credeva già nella condizione verginale di Maria mantenuta anche dopo la nascita di Gesù. Come poteva saperlo? Maria era ben conosciuta, viveva in mezzo a loro. Niente di strano che questo aspetto della sua persona fosse noto a tutti.
Ma che senso ha questa verginità controcorrente che contraddice la mentalità veterotestamentaria? Indubbiamente, il valore non è quello, negativo, dell’astinenza. In tutto l’Antico Testamento c’è un solo celibe adulto, ed è il profeta Geremia, cui Dio impone il celibato come segno di morte. Il valore è invece quello, positivo, della consacrazione totale a Dio, della dedicazione a Lui solo di ogni più piccola fibra del proprio essere. La verginità diviene un valore nel cristianesimo, se è per il regno dei cieli (Mt 19): è nel Cristo, ed in sua Madre, che si realizza per primo questo innovativo progetto di fecondità solo spirituale che caratterizza i consacrati. C’è una profonda coerenza interna in questo tema ripreso anche da Paolo, e la coerenza interna è uno dei criteri di autenticità storica avallati dai critici moderni nell’analizzare il materiale evangelico.
Precedenti storici
Se poi vogliamo ricorrere anche ad un criterio di plausibilità storica, basti pensare che al tempo di Gesù la corrente degli esseni, in parte praticava il celibato. Non per ragioni spirituali, ma per ragioni rituali: aspettando da un momento all’altro l’avvento del Messia, gli esseni intendevano trovarsi continuamente in stato di purità rituale, che comportava l’astinenza di tre giorni da rapporti coniugali; e poiché il Messia non veniva mai… l’astinenza si prolungava a tutta la vita. Esistevano dunque, al tempo di Gesù, comunità che praticavano un’ascesi anche da questo punto di vista, e probabilmente il Battista proveniva da una di esse.
Ma anche in testi recenti dell’Antico Testamento possiamo trovare un superamento del concetto biologico di fecondità per passare ad uno spirituale. Ci sono testi, nella terza parte del libro di Isaia e nel libro della Sapienza, che proclamano santa la sterilità delle persone che cercano la Giustizia; ad esempio:
Isaia 56
Non dica l’eunuco:
«Ecco, io sono un albero secco!».
4Poiché così dice il Signore:
«Agli eunuchi, che osservano i miei sabati,
preferiscono le cose di mio gradimento
e restan fermi nella mia alleanza,
5io concederò nella mia casa
e dentro le mie mura un posto e un nome
migliore che ai figli e alle figlie;
darò loro un nome eterno
che non sarà mai cancellato».
Sapienza 3
13Beata la sterile non contaminata,
la quale non ha conosciuto un letto peccaminoso;
avrà il suo frutto alla rassegna delle anime.
14Anche l’eunuco, la cui mano non ha commesso iniquità
e che non ha pensato cose malvage contro il Signore,
riceverà una grazia speciale per la sua fedeltà,
una parte più desiderabile nel tempio del Signore;
15poiché il frutto delle opere buone è glorioso
e imperitura la radice della saggezza.
4
1Meglio essere senza figli e avere la virtù,
poiché nel ricordo di questa c’è immortalità,
per il fatto che è riconosciuta da Dio e dagli uomini.
2Presente è imitata; assente è desiderata;
nell’eternità trionfa, cinta di corona,
per aver vinto nella gara di combattimenti senza macchia.
La fede della Chiesa: «Sposa non sposata»
A Dio piacciono molto i paradossi: gli umili innalzati, gli orgogliosi abbassati, i ricchi depauperati, gli affamati saziati, i piccoli esaltati, le sterili rese madri feconde… Ecco, la sterilità della donna è la condizione privilegiata dal Signore per mettere al mondo i suoi inviati. È indubbiamente il paradosso dei paradossi che una vergine (la sterile per eccellenza) concepisca e partorisca, ma il Figlio di Dio non poteva accontentarsi di qualcosa di meno. E la verginità di Maria, secondo la fede della Chiesa, è perpetua. Il titolo che la designa, «aeiparthenos», «sempre vergine», risale probabilmente al IV secolo ma fu formalmente definito dalla Chiesa nel II Concilio di Costantinopoli del 553, secondo il quale Maria è rimasta vergine prima, durante e dopo la nascita di Gesù.
La Chiesa orientale onora questa condizione paradossale di Maria con l’inno Akathistos collegato alle icone dello sposalizio di Maria e Giuseppe. Il saluto alla Vergine «Sposa non sposata» è una frase paradossale ripetuta più e più volte nell’Akathistos, per esprimere la venerazione per Maria, madre di Cristo, come persona che ha sperimentato pienamente una relazione sponsale con Dio.
L’inno rappresenta una serie di saluti a Maria:
«Rallegrati, per Te la gioia risplende;
Rallegrati, per Te il dolore s’estingue.
Rallegrati, salvezza di Adamo caduto;
Rallegrati, riscatto del pianto di Eva.
Rallegrati, o grembo del Dio che s’incarna.
Rallegrati, per Te si rinnova il creato;
Rallegrati, per Te il Creatore è bambino.
Rallegrati, Sposa non sposata!».
Ogni sezione termina con l’invito «Rallegrati, sposa non sposata» («Chaire, nymphe anymphete») che racchiude in modo assai espressivo il paradosso biblico della maternità della Vergine e della verginità della Madre.