Briciole di storia alvernina (14). La tutela della foresta

Il bosco della Verna. Foto di A. Ferrini. Fonte immagine: https://www.ilbelcasentino.it/la_verna-seq.php?idimg=3957

Le costruzioni, dopo la ripresa del 1348, si sono al momento arrestate, e la vita alla Verna continua in tranquillità. Il vescovo di Arezzo si preoccupa della salvaguardia del bosco, assicurando la tutela della foresta con un decreto che commina la scomunica a chi la depredi.

Anno 1375

Guglielmo vescovo di Arezzo rinnova i divieti del predecessore Aldobrandino e impone sotto pena di scomunica «che alcuna persona non tagli alberi né porti via o faccia portare senza licenza del Guardiano» (Pulinari p. 163 n. 33).

La foresta della Verna

Il bosco della Verna è uno dei grandi patrimoni che lo spirito francescano ha saputo conservare e tramandare, alla luce della concezione secondo cui la terra è una madre che sostenta e governa l’uomo e non deve essere depredata o distrutta, ma utilizzata in una logica di rispetto. Il cammino interiore di Francesco, infatti, è una sorta di ritorno interiore alle origini, non solo alla vita evangelica, ma anche all’essenzialità della natura incontaminata, alla capacità di vedere nelle creature della foresta, alberi, uccelli, lupi o briganti, altrettanti segni dell’amore divino. È lo stesso Francesco che regolamenta ai suoi frati il rapporto con la natura:

«Quando i frati tagliano legna, proibisce loro di recidere del tutto l’albero perché possa gettare nuovi germogli… Raccoglie perfino dalla strada i piccoli vermi, perché non siano calpestati… Chiama col nome di fratello tutti gli animali, quantunque in ogni specie prediliga quelli mansueti» (Celano, Vita Seconda, 124).

Sorella e non fonte di reddito

L’esempio del Fondatore ha determinato nei secoli il rapporto dei frati con il bosco della Verna, dove l’etica francescana ha prodotto una prassi colturale di silvicoltura di autoconsumo, difendendo la foresta dai tagli ingiustificati e provvedendo sistematicamente al rimboschimento. La foresta è una sorella e non una fonte di reddito. La gestione della foresta è stata dunque nei secoli affrontata dai frati come un problema non economico ma religioso ed etico, nell’ottica di un grande rispetto del Creato: l’uomo non è conquistatore né nemico della natura, ma fratello e tutore; il bosco rappresenta il momento più intenso di questo rapporto, improntato ad un senso genuino di fraternità.

Si può quindi parlare, fin dal Duecento, di una silvicoltura ecologicamente ineccepibile e del tutto priva di finalità economiche, basata su interventi oculati e rispettosi, prelevando solo ciò che serviva e creando le condizioni per la rinnovazione del bosco: si praticava cioè il taglio saltuario, lo sfoltimento degli alberi troppo fitti e l’abbattimento solo delle piante secche e di alcune delle piante più grosse, e solo per il consumo del convento e l’elargizione di legname agli indigenti. In tutti gli altri casi gli alberi erano lasciati crescere indisturbati, tanto da permettere loro di raggiungere e superare anche i 400 anni di età.

Se foste saliti alla Verna…

Jacopo Ligozzi, Descrizione del Sacro Monte della Verna (1612). Foto di A. Ferrini. Fonte immagine: https://www.ilbelcasentino.it/guida-della-verna-seq.php?idcat=&pag=8&idimg=

Se foste saliti alla Verna nell’ultimo quarto del Trecento, avreste attraversato una foresta incontaminata da cui veniva prelevato solo ciò che serviva per le strette necessità del convento e dei poveri. Il silenzio della natura vi avrebbe avvolto finché non foste arrivati alla chiesetta di Santa Maria degli Angeli, dove avreste potuto trovare, specialmente in certe date, un affollamento di pellegrini. Il santuario era ancora tutto lì, fra la chiesetta (che è ancora, nei documenti, chiamata «la chiesa della Verna») e il polo di preghiera delle Stigmate, interdetto ai visitatori. Occorrerà aspettare il passaggio della Verna al movimento dell’Osservanza francescana perché inizi a divenire quel grande santuario che è oggi.