Viaggio nella Bibbia. La tunica di Giuseppe

La tunica di Giuseppe
La tunica di Giuseppe. By Ford Madox Brown (1821-1893) – Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=18427073

Il particolare della bella tunica donata da Giacobbe al figlio prediletto Giuseppe attira la nostra attenzione sul significato degli abiti nella Bibbia.

Il racconto di Genesi 34, e di tutta la saga di Giuseppe, si apre infatti con questo atto infausto di favoritismo di Giacobbe per il figlio nato da Rachele, la moglie preferita: 

«Ora Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio della sua vecchiaia; e gli fece una tunica adorna. E quando i suoi fratelli videro che il loro padre lo amava più di tutti i suoi fratelli, lo odiarono così tanto che non potevano parlargli in modo pacifico [shalom]» (Genesi 37,3-4).

Si dice che l’abito non fa il monaco, ma… è del tutto vero? Scrisse Virginia Woolf:

«Quindi, ci sono molti elementi a sostegno della tesi che sono i vestiti a indossare noi e non noi a indossare loro; possiamo fargli assumere la forma del braccio o del petto, ma sono loro a plasmare i nostri cuori, i nostri cervelli, le nostre lingue a loro piacimento» (Virginia Woolf, Orlando).

L’abito, in qualche modo, fa emergere le profondità della persona, e biblicamente rappresenta la persona stessa, la sua identità. E la tunica di Giuseppe si identifica con la predilezione con cui il padre lo favorisce e ne orienta il futuro.

La tunica di Giuseppe

All’inizio, la tunica provoca la gelosia dei fratelli, esacerbata dai suoi sogni di grandezza. Giuseppe viene poi mandato da suo padre «a cercare la pace / il benessere [shalom] dei suoi fratelli» mentre pascolano i loro greggi a Sichem (Gen 37,12-14). I fratelli lo vedono da lontano – la tunica è il punto focale della loro vista – e complottano per ucciderlo, con l’intenzione di dire al padre che è stato divorato da una bestia selvaggia. Quando arriva e lo assalgono, per prima cosa se la prendono con la tunica:

«Spogliarono Giuseppe della sua tunica, quella tunica lunga che egli indossava» (Genesi 37,23).

Si può notare la ripetizione che esprime il loro accanimento su Giuseppe e sulla sua tunica: ‘et Yosef, ‘et kutanto, ‘et ketonot ha-passim. Strappandogli la tunica, i fratelli si immedesimano nella «bestia selvaggia» (v. 20) a cui daranno la colpa di aver sbranato il fratello (v. 33).

Ritroviamo qualche elemento simile nella storia di Tamar, la figlia del re Davide, che è distinta come principessa perché indossa una “tunica ornata” (פסים כתנת: Sam 13,18). Anche qui la bella tunica di Tamar viene strappata nella sua disperazione dopo che Amnon, il suo fratellastro, la violenta (v. 19). L’abito segno di predilezione diviene un abito segno di disgrazia e di vergogna.

In definitiva i fratelli non uccidono Giuseppe, ma «lo gettarono nella cisterna [ha-borah]; la cisterna [ha-bor] era vuota; non c’era acqua dentro». Alla fine, il ragazzo viene venduto come schiavo per venti pezzi d’argento. Questa cisterna prefigura già una seconda cisterna [bor], la prigione in cui sarà gettato Giuseppe a seguito delle calunnie della moglie di Potifar. Anche in questa seconda cisterna sarà gettato facendo leva su di un indumento usato dalla donna fedifraga come prova del suo tentato adulterio. Tradito per due volte dall’abbigliamento…

L’abbigliamento: distinzione e disgrazia

L’abbigliamento dunque è un motivo centrale nella storia di Giuseppe, sia come segno di distinzione che come fonte di rovina. Conferisce onore e privilegio al figlio prediletto di Giacobbe ma, quando questi  viene spogliato dell’indumento, funge anche da fulcro per supportare l’inganno: la veste macchiata di sangue serve da falso alibi (cap. 37). La tunica insanguinata spiega l’assenza di Giuseppe e la sua presunta morte, distogliendo il padre addolorato dall’approfondire la verità sul destino dell’amato figlio.

Un indumento apparirà di nuovo, anche se diverso, nella casa di Potifar, dove Giuseppe ne verrà spogliato e incastrato per stupro dalla lussuriosa moglie di Potifar (cap. 39).

«Ella tenne la sua veste [biggdo] accanto a sé, finché il suo padrone non tornò a casa. Allora gli raccontò la stessa storia, dicendo: “Lo schiavo ebreo che hai portato in casa nostra è venuto da me per giocare con me; ma quando ho gridato con quanta voce avevo, lui mi ha lasciato la sua veste [biggdo] ed è fuggito fuori”» (Genesi 39,16-18).

Il termine ebraico che si riferisce alla veste di Giuseppe, begged, è termine generico per vestiario, anche se potrebbe essere un gioco di parole con il verbo bagad (che significa “tradire”). L’abbigliamento (begged) nella saga di Giuseppe induce tradimento (begidah) e falsa testimonianza. La tunica e la veste di Giuseppe sono pretesto per atti atroci: la vendita di Giuseppe come schiavo e il tentativo della donna di sedurre lo schiavo ebreo e di incastrarlo per stupro.

Sì, gli abiti di Giuseppe non sono solo un optional decorativo. Hanno a che fare con la sua identità e con la sua sorte.