
La comunità che celebra l’alleanza viene detta ‘Edah dal verbo J‘d = stare in un luogo convenuto, quindi la parola significa incontro, riunione, comunità (greco synagoghé); oppure viene detta Qahal dal verbo omonimo che significa convocare, chiamare, quindi “riunione su convocazione”, assemblea (greco ekklesia).
In questo popolo sacerdotale, solo alcuni esercitano le funqioni di culto nel luogo santo = separato, o recinto riservato, l’harem: Mosè e i suoi assistenti, il terzo giorno di preparazione. Ci sono infatti tre gradi di avvicinamento a Dio:
- Il popolo che resta ai piedi della montagna
- Gli assistenti di Mosè che resteranno lontano ma all’interno del recinto sacro, in preghiera
- Il mediatore supremo, in prossimità della divina presenza.
Queste diverse funzioni si troveranno sempre nel popolo di Dio e si individuano anche nei Vangeli (la folla, i discepoli, Gesù).
La teofania del Sinai (cap. 19)
La teofania del Sinai evoca un temporale impressionante, con lampi e tuoni. Scrive Dt 4,11s.: “E la montagna era incendiata dal fuoco fino al cuore dei cieli, tenebre, nube e oscurità. E il Signore vi parlò in mezzo al fuoco, il rumore delle sue parole voi lo sentivate, ma nessuna immagine avete visto, nient’altro che il rumore”.
Vi è una grande onestà negli scrittori biblici: il fenomeno naturale è segno di Dio, ma una sua apparizione non si manifesta. Dio si manifesta invece nel mistero, senza figura. “Voi non avete visto nessun aimmagine, il giorno in cui il Signore vi ha parlato all’Horeb in mezzo al fuoco” (Dt 4,15).
Ritroviamo, sul Sinai, il Dio imprevedibile del roveto ardente, il Dio che non è legato ad un luogo: non si fa fermare, racchiudere dall’uomo, ma si fa incontrare.
L’episodio di Elia all’Horeb, localizzato sempre su questa montagna santa, segna ancora un approfondimento: Dio non è nel turbine, non è nel terremoto, non è nel fuoco; è nelle piccole cose, nella brezza leggera appena percepita, nell’ascolto del cuore.
“Ed essi videro il Dio d’Israele” (Es 24,9) in realtà non si tratta della visione diretta materiale dell’Invisibile (anche Is 6,1-5 vede il Re Signore degli eserciti, ma in realtà vede solo i lembi della sua veste): si tratta di un’immagine che esprime alla meglio, con i poveri mezzi umani, il contatto con il trascendente, una presa di coscienza.