San Galgano e la spada nella roccia

San Galgano trasforma la spada in croce. Giovanni di Agostino (+ Siena 1348). Di Combusken – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17049564

Il 30 novembre ricorre la memoria liturgica di un santo che sarebbe oggi quasi sconosciuto, legato solo ad un culto locale, se non fosse per un particolare della sua storia: la spada conficcata nella roccia.

La breve vita di San Galgano (nato a Chiusdino fra il 1148 e il 1152, ed ivi morto il 30 novembre 1181) presenta dei tratti che lo avvicinano molto a qualcosa che conosciamo bene: da una parte precorre la vicenda di San Francesco (un cavaliere che abbandona le armi per dedicarsi a Cristo), dall’altra evoca la leggenda arturiana (la spada nella roccia). San Galgano, infatti (dal nome tanto simile a quello del cavaliere Gawain della Tavola Rotonda), tramuta la spada in croce configgendola in terra; e la sua spada si trova tuttora conservata nella roccia a Montesiepi (Siena), presso l’abbazia che di San Galgano porta il nome. Spada che lo rende noto in tutto il mondo.

Le fonti sulla vita

L’abbazia cistercense sorta presso il romitorio di San Galgano. Foto di Marco Novara

Le notizie riguardanti San Galgano, a differenza di quelle riguardanti tanti altri santi, sono in gran parte di prima mano, perché derivano dagli atti dell’inchiesta relativa alla sua canonizzazione, trascritta dall’erudito senese Sigismondo Ticci (Sigismundus Titius).

È questo, probabilmente, il più antico verbale di un processo di canonizzazione che sia giunto fino a noi. L’Inquisitio contiene venti deposizioni di testimoni che avevano conosciuto il cavaliere-eremita (fra questi, sua madre) o che sostenevano di aver ricevuto miracoli per sua intercessione. Da queste testimonianze coeve deriva una serie di agiografie: una Vita Sancti Galgani de Senis cistercense, una Vita beati Galgani agostiniana (entrambe della metà del XIII secolo), una Legenda sancti Galgani confexoris del XIV secolo, e la Legenda di santo Galgano del XV secolo.

La vita del santo

Il santo, conosciuto anche come Galgàno Guidotti,  nacque fra il 1148 e il 1152 nel piccolo castello di Chiusdino, in quella che ora è provincia di Siena. La famiglia apparteneva, verosimilmente, alla piccola nobiltà locale legata al vescovo di Volterra. Il nome della madre era certamente Dionigia, mentre quello del padre, Guido o Guidotto, non appare nelle fonti agiografiche prima del XIV secolo, ma dà luogo al suo patronimico. 

Secondo le fonti, Galgano fu un figlio a lungo atteso, poi destinato alla carriera delle armi. La sua gioventù viene descritta come dissipata, per enfatizzarne in seguito la conversione alla vita religiosa, secondo il cliché monastico dell’epoca.

A seguito della visione dell’arcangelo san Michele,San Galgano cambiò totalmente vita. In una prima visione l’arcangelo sembrava indicargli un destino di cavaliere, mentre nella seconda l’arcangelo lo invitava a seguirlo fino a Montesiepi, dove San Galgano poté incontrare Gesù, la Vergine Maria e gli apostoli, che lo esortarono a condurre una vita eremitica.

San Galgano mise tutto questo pienamente in pratica la vigilia di Natale del 1181, quando gli sarebbe apparso nuovamente l’arcangelo Michele che lo avrebbe condotto a Montesiepi, in cui il giovane riconobbe il luogo in cui in visione aveva incontrato gli apostoli.

Giunto a Montesiepi, San Galgano, non riuscendo a tagliare del legno con la spada per fare una croce, infisse la spada nel terreno: in terram pro crucem spatam fixit (Eugenio Susi, De vita et actibus Galgani, in Analecta Galganiana, 2021, 9-91, p. 82). Trasformata la spada in croce, e il mantello da cavaliere in saio, costruì un romitorio ed iniziò una vita da eremita, dedicandosi all’orazione e facendo aspre penitenze ma anche ricevendo i pellegrini che andavano da lui per chiedere preghiere e miracoli. Questo fino al giorno della morte avvenuta il 30 novembre 1181.

Il culto

La chiesa di Montesiepi, che custodisce la spada nella roccia. Foto di Marco Novara

Nel 1185, su istanza del vescovo di Volterra Ildebrando Pannocchieschi, una commissione pontificia condusse l’inchiesta relativa alla vita, alle virtù, ai miracoli e alla fama di santità dell’eremita. È probabile che sia stata la commissione stessa a procedere alla canonizzazione su mandato papale. In tale occasione, il vescovo di Volterra consacrò la chiesa di Montesiepi che aveva fatto costruire nel luogo della morte di san Galgano e che fu terminata intorno al 1185.

Il culto di san Galgano si diffuse rapidamente negli ambienti cavallereschi e nei due ordini cistercense e agostiniano che ne perpetuarono la memoria. Nell’Ordine agostiniano confluirono nella seconda metà del Duecento le diverse comunità eremitiche dedicate a San Galgano, sorte in vari luoghi della Toscana. L’ordine cistercense curò l’eredità spirituale e il culto di San Galgano nell’abbazia costruita presso Montesiepi e ne divulgò la fama.

Era un culto che parlava di cavalleria ed in cui accanto a Galgano era protagonista san Michele, l’angelo guerriero con la spada sguainata. Il culto di san Michele era diffusissimo in tutto il Medioevo; due particolari santuari a lui dedicati erano Monte Sant’Angelo sul Gargano (nome da cui deriva forse quello di San Galgano) e Mont Saint-Michel in Francia. 

La spada nella roccia

Montesiepi, la spada nella roccia. Foto di Marco Novara

La conversione di San Galgano sembra una anticipazione della conversione di San Francesco, egli pure aspirante cavaliere che rinuncia alle armi mondane per servire un Re più grande. San Francesco, tra l’altro, è nato lo stesso anno in cui San Galgano è morto (o l’anno successivo, 1182), quasi in una sorta di staffetta mistica. Galgano è il prototipo di cavaliere che abbandonava il suo mondo, disgustato dalle sue scelleratezze, per dedicarsi ad una vita di preghiera e penitenza. La spada nella roccia ne è il simbolo.

Fino al 1924 la spada era conficcata in una fessura della roccia e poteva essere estratta. In seguito, per evitare i vandalismi che già si erano presentati, il parroco la fece saldare alla spaccatura. Sulla spada è stata condotta nel 2001 una indagine metallografica, coordinata dal prof. Luigi Garlaschelli dell’università di Pavia, che ha certificato la sua autenticità quale arma del XII secolo.

Ma questa spada cavalleresca infissa nella roccia ci rimanda ad un’altra spada, che la leggenda dichiara più antica, la mitica spada nella roccia di re Artù: c’è qualche collegamento?

La spada di re Artù

È Geoffrey di Monmouth (1100-1155 circa), nella sua Storia dei Re della Bretagna (1138), a parlare per la prima volta di Excalibur come spada di Artù. Tuttavia, Excalibur non è la stessa spada conficcata nella roccia ed estratta da Artù che dimostrerà in tal modo di essere il vero re di Bretagna. La versione secondo cui Artù estrae la spada dalla roccia appare per la prima volta nel racconto francese  in versi Merlino di Robert de Boron (fine XII secolo – inizio XIII secolo), ma Thomas Malory, ne La morte di Artù (1485), preciserà che la spada estratta dalla roccia non è Excalibur, ma una prima spada della cui rottura parla anche la Suite du Merlin (Prosa di Merlino), del 1240 circa. Artù riceverà poi Excalibur dalla Dama del Lago come spada sostitutiva. Ma a questo punto forse in Bretagna era circolata, attraverso le abbazie cistercensi, la storia di San Galgano e della spada nella roccia. Anche uno dei cavalieri della Tavola Rotonda avrebbe preso il suo nome: Galway, in latino Galganus, in italiano Galgano o Galvano.

Artù e Galgano presentano affinità: entrambi sono cavalieri collegati ad una spada, che però Galgano pianta in terra, mentre Artù la estrae. Galgano per abbandonare l’arma mondana e dedicarsi alla vita eremitica, Artù per impugnarla e dedicarsi all’instaurazione di un regno di giustizia. E, guarda un po’, la chiesa edificata sul luogo del romitorio di Galgano è rotonda, proprio come la famosa Tavola arturiana…

Galgano è però una figura storica dai contorni molto netti, mentre Artù (forse un dux bellatorum del V – VI secolo) appartiene al mondo dell’epica, tra mito e realtà.

L’abbazia

Abbazia di San Galgano. Foto di Marco Novara

La costruzione dell’abbazia di San Galgano cominciò nel 1218 per iniziativa dei monaci cistercensi. Per volontà del vescovo di Volterra Ugo Saladini era già stata costruita nel luogo della morte di san Galgano una cappella che fu terminata intorno al 1185. Il vescovo successivo, Ildebrando Pannocchieschi, promosse l’edificazione di un vero e proprio monastero. Poiché negli ultimi anni di vita Galgano era entrato in contatto con i Cistercensi, furono questi ad essere chiamati a fondarlo. La prima comunità di monaci risulta già attiva nel 1201 presso la chiesa di Montesiepi, che risultava una filiazione dell’abbazia di Casamari. Alla metà del Duecento l’abbazia di San Galgano era già la più importante comunità cistercense in Toscana.

Il declino

Abbazia di San Galgano. Foto di Marco Novara

Tuttavia la sua prosperità durò poco. Prima la carestia del 1328, poi la peste nera del 1348 (quella del  Decameron) colpì duramente i monaci di San Galgano. Nella seconda metà del secolo, inoltre, l’abbazia venne ripetutamente saccheggiata dalle compagnie di ventura, tra cui (per ben due volte) quella di Giovanni Acuto. Iniziò così un irreversibile declino, tanto che nel 1474 i monaci decisero di trasferirsi in un palazzo di Siena. Alla fine del secolo la comunità si era ridotta a sole otto persone.

Nel Cinquecento la struttura venne privata del tetto in piombo, che fu venduto. Nel 1781 rovinò quanto rimaneva delle volte e nel 1786, colpito da un fulmine, crollò anche il campanile. La chiesa fu sconsacrata e trasformata in fattoria. Un grande intervento di ripristino avvenne solo nel 1926 con lo scopo di preservare almeno quanto rimaneva della struttura. Di essa restano solo la sala capitolare,  una parte del chiostro e lo scriptorium dei monaci. E tuttavia, nonostante le condizioni di rudere in cui si trova, le linee della chiesa, slanciate verso il cielo aperto, le donano un fascino particolare.