
Rimane infine, per i discepoli di Giovanni, nella comunità cristiana di fine secolo, un problema: e il Discepolo Amato? Sembrava che non dovesse mai morire, e ci si era basati su una parola del Signore per sostenerlo. Poi alla fine è morto, e si è cercato di giustificare la sua scomparsa ormai inaspettata chiarendo meglio che cosa Gesù avesse detto: qual è la sorte del Discepolo Amato?
Fake news
Anche nei Vangeli ci sono fake news, anzi sono forse le prime ad essere documentate nella storia (un’analisi QUI).
Una è la diceria che il corpo di Gesù fosse stato rubato dai discepoli, diffusa dalle guardie del sepolcro onde evitare grane a loro ed ai capi (Matteo 28,11-15). Un’altra è la favola che il Discepolo Amato non sarebbe mai morto, ma avrebbe atteso da vivo il ritorno glorioso del Cristo. Questa diceria era, ovviamente, dovuta alla lunghissima vita del Discepolo, plausibilmente l’apostolo Giovanni figlio di Zebedeo. Alla diceria era stata trovata una base storica in alcune parole che il Risorto avrebbe detto a Pietro a proposito della sorte del Discepolo, intese come «Voglio che rimanga finché io venga», mentre nella realtà dei fatti il tono era suonato tutt’altro che asseverativo.
Il testo: Giovanni 21,20-25
20 Pietro, voltatosi, vide venirgli dietro il discepolo che Gesù amava; quello stesso che durante la cena stava inclinato sul petto di Gesù e aveva detto: «Signore, chi è che ti tradisce?» 21 Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: «Signore, e lui?» 22 Gesù gli rispose: «Se voglio che rimanga finché io venga, che t’importa? Tu, seguimi». 23 Per questo motivo si sparse tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto; Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che rimanga finché io venga, che t’importa?».
24 Questo è il discepolo che rende testimonianza di queste cose, e che ha scritto queste cose; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera.
25 Ora vi sono ancora molte altre cose che Gesù ha fatte; se si scrivessero a una a una, penso che il mondo stesso non potrebbe contenere i libri che se ne scriverebbero.
L’importanza del contesto
Questo è il pericolo rappresentato dall’estrapolazione di una frase dal contesto: una frase isolata, e talvolta nemmeno completa, rischia di portare completamente fuori strada, o essere presa come base per giustificare un travisamento. Questo vale non solo in questo caso specifico, ma sempre, nella Bibbia come in ogni altro scritto o racconto. Ritagliando le parole, e ricucendole in altro contesto, si ottiene quel che si vuole, magari a sostegno delle nostre idee pregiudiziali. È quel che fanno le sètte, che non si avvalgono di una ermeneutica fondata e coerente per interpretare i testi, ma tagliano e cuciono per supportare le proprie convinzioni preconcette. In questo modo si fa dire di tutto alla Bibbia, anche le bestemmie, se vogliamo.
A livello di testo, in questo brano non c’è altro: si tratta della semplice correzione di una falsa voce che si era sparsa nella Chiesa a proposito della presunta immortalità di Giovanni. Da notare, comunque, il sapore di autenticità e storicità della circostanza riportata: la fama di immortalità che si era diffusa su un uomo estremamente vecchio, che invece poi – a questo punto inaspettatamente – muore. Fama che sembrava basata su una profezia di Gesù, e che invece viene smentita dai fatti. Tutto questo è saldamente radicato nella storia e non inventabile: detto per chi cerca indizi di veridicità storica dei Vangeli.
Un’interpretazione allegorica

Sant’Agostino, però, ha dato una sua interpretazione allegorica delle due diverse condizioni di vita dei due apostoli, dove Pietro rappresenta la vita mortale, e Giovanni, invece, la vita eterna.
La sua è un’interpretazione allegorica che va ben oltre il significato del testo biblico, e che non può valere come esegesi, ma è utile per una riflessione di carattere spirituale. Del resto, bene scrisse Agostino di Dacia quando definì in un distico latino i possibili sensi della Scrittura:
«Littera gesta docet, quid credas allegoria,
moralis quid agas, quo tendas anagogia».
Ovvero:
«Il senso letterale insegna i fatti, l’allegoria che cosa credere,
il senso morale che cosa si debba fare, l’escatologico a che cosa si debba tendere».
Quindi: la Scrittura non insegna solo le cose che sono accadute e le parole che sono state dette, ma anche i contenuti della fede, i retti comportamenti che si devono tenere, il significato eterno di quanto stiamo vivendo. Accanto alla più rigorosa esegesi del testo, sono possibili letture di carattere più spirituale, purché se ne riconosca la natura allegorica. Ed ecco il testo di Sant’Agostino.
Dai «Trattati su Giovanni» di sant’Agostino, vescovo
(Tratt. 124, 5,7)
La Chiesa conosce due vite che le sono state divinamente predicate ed affidate: una è nella fede, l’altra nella visione; una nel tempo del pellegrinaggio, l’altra nell’eternità della dimora; una nella fatica, l’altra nel riposo; una lungo la via, l’altra nella patria; una nell’attività, l’altra nel premio della contemplazione.
Le due vite
La prima vita è stata rappresentata dall’apostolo Pietro, la seconda da Giovanni. La vita terrena si svolge sino alla fine di questo mondo e trova la sua conclusione nell’aldilà; la vita celeste, nella sua fase perfetta, verrà dopo la fine di questo mondo, ma nell’eternità non avrà termine. Perciò il Signore dice a Pietro: «Seguimi» (Gv 21, 19); mentre di Giovanni dice: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi» (Gv 21, 22).
Il significato della risposta di Gesù è il seguente: Tu seguimi nel tollerare i mali temporali. Lui rimanga in attesa fino a quando non ritornerò per concedere i beni eterni. O più chiaramente: Mi segua l’opera che, sul modello della mia passione, è già terminata. Rimanga in attesa, fino a quando non verrò a renderla totale, la contemplazione appena iniziata. Effettivamente chi accetta tutto santamente perseverando fino alla morte, segue Cristo. Invece la conoscenza di Cristo, prima di arrivare al suo culmine, deve attendere la sua venuta. Si tratta di due aspetti connessi con le due fasi dell’esistenza terrena e celeste del cristiano. Nella prima si sopportano i mali di questo mondo propri della terra dei morenti, nella seconda si vedranno i beni del Signore caratteristici della terra dei viventi.
Pietro e Giovanni sempre insieme
Ciò che il Signore dice: «Voglio che rimanga finché io venga» (Gv 21, 23), non significa fermarsi, arrestarsi, ma rimanere in attesa, perché la condizione significata da Giovanni non raggiungerà la sua pienezza adesso, bensì alla venuta di Cristo. Quello poi che è significato da Pietro, che ha ricevuto l’invito: «Tu seguimi» (Gv 21, 22), è qualcosa che va compiuto ora, altrimenti non si arriverà a ciò che si attende. Tuttavia nessuno osi dissociare questi due grandi apostoli. Tutti e due facevano ciò che significava Pietro. Tutti e due avrebbero conseguito quanto significava Giovanni. Sul piano del simbolo, Pietro seguiva, Giovanni restava in attesa. Sul piano della fede vissuta, tutti e due sopportavano le sofferenze presenti di questo misero mondo, tutti e due attendevano i beni futuri della beatitudine eterna.
Tutta la Chiesa
E questo atteggiamento lo riproducono non solo essi, ma tutta la Chiesa, Sposa di Cristo, tutta tesa da una parte a superare le prove di questo mondo e dall’altra a possedere la felicità della vita futura. Due vite dunque simboleggiate dai due apostoli Pietro e Giovanni, ognuno dei quali significa un tipo solo di vita, anche se tutti e due vissero la vita temporale nella fede e tutti e due avrebbero goduto l’altra vita nella visione.
Pietro, primo degli apostoli, ha ricevuto le chiavi del Regno dei cieli. Con esse lega e scioglie i peccati di tutti i santi, congiunti inseparabilmente al corpo di Cristo (cfr. Mt 16, 19), ed indica ai fedeli la giusta rotta da seguire in questa vita agitata da tutte le tempeste. Invece Giovanni, l’evangelista, posò il capo sul petto di Cristo. Il gesto fa pensare al riposo dei santi, al riposo, che troveranno in quel seno pienamente riparato dai flutti e segreto, che è la vita beata.
Tutti noi
Però non solo Pietro lega e scioglie i peccati, ma tutta la Chiesa. Non solo Giovanni ha attinto dalla sorgente che era Cristo. Non solo lui gode del Verbo – che era in principio, Dio presso Dio – e di tutte le prerogative divine del Cristo. Lui non è il solo a contemplare tutte quelle realtà sublimi che si riferiscono alla Trinità divina e all’unità delle tre divine Persone. Non è solo lui il privilegiato che si sazia di quelle cose che si contemplano faccia a faccia nel regno celeste, dopo essere state viste come in uno specchio e in maniera confusa in questa terra (cfr. 1 Cor 13, 12). Non è solo lui che attinge tutti questi tesori dal petto di Cristo, ma a tutti è aperta dal Signore stesso la fonte del Vangelo, perché tutti in tutta la terra bevano, ognuno secondo la propria capacità.