La sofferenza degli animali. Perché parlarne in questo momento? C.S. Lewis, nel suo saggio Il problema della sofferenza, si è addentrato nella discussione di questo difficile argomento, conducendoci per molti meandri della sofferenza umana. Un capitolo del suo libro è dedicato però al problema della sofferenza degli animali. Cerchiamo di seguire lo sviluppo del suo pensiero.
Uno sguardo di sintesi sulla sofferenza umana
La sofferenza viene da Dio? Il più delle volte sono gli uomini che se la infliggono. Gli uomini, e non Dio, hanno inventato strumenti di tortura, fruste, prigioni, la schiavitù, fucili, baionette, bombe; è per l’avarizia o la stupidità umana, non per la villania della natura, che abbiamo la povertà e il superlavoro. Ma ciononostante rimane molta sofferenza che non può essere ricollegata in questo modo a noi stessi. Anche se tutte le sofferenze fossero causate dall’uomo, perché Dio permette ai peggiori fra gli uomini di torturare i loro fratelli?
Dunque, perché Dio Onnipotente non ferma il male? Perché ci ha donato, e ci mantiene, la libertà.
Se Dio è buono, come può permettere il dolore? Perché il suo amore non deve essere scambiato con il buonismo; è un amore ardente che vuole il nostro vero bene, non quello che a noi pare ci renda contenti.
Allora la sofferenza è uno strumento? Afferma Lewis: Dio sussurra nei nostri piaceri, parla nelle nostre coscienze ma grida nelle nostre sofferenze; il dolore è il Suo megafono per svegliare un mondo sordo… Il dolore infrange l’illusione dell’autonomia, cioè che possiamo procurarci da soli quanto ci serve per noi stessi.
Quindi la sofferenza è positiva? Non lo è di per sé, ma lo può divenire se si accetta in obbedienza a Dio.
L’esistenza dell’inferno contraddice la Misericordia di Dio? No, perché da parte di Dio significa il rispetto della libera scelta di una persona che preferisce chiudersi in se stessa.
La sofferenza degli animali
A questo punto, Lewis rivolge la sua attenzione a un altro aspetto del problema del dolore, quello del dolore animale. La spiegazione cristiana del dolore umano qui non funziona, perché per quanto possiamo vedere gli animali sono incapaci di peccato o di virtù; quindi non meritano di soffrire né possono esserne migliorati. Il loro è un dolore innocente. In questo senso, la domanda sulla sofferenza degli animali non è irrilevante; poiché anch’essa sembra un motivo plausibile per mettere in discussione la bontà di Dio.
Le cause
Lewis ammette che la caduta dell’uomo avrebbe potuto causare la sofferenza degli animali; ma anche che la natura animale potrebbe essere stata corrotta, prima dell’esistenza dell’umanità, da Satana. «Il male intrinseco del mondo animale risiede nel fatto che alcuni animali vivono distruggendosi a vicenda». Con una interessante lettura dei racconti di Genesi 1-2, Lewis si chiede se l’uomo non potrebbe essere stato già in origine incaricato di svolgere una funzione di redenzione ristabilendo la pace nel mondo animale, e se non avesse fallito.
Trovo interessante questa ipotesi perché sembra avere un qualche riscontro nel midrash, l’antica interpretazione rabbinica delle Scritture. Si legge infatti nel midrash:
«”Poiché ogni essere aveva corrotto la sua vita” (Gn 6, 12). Disse Rabbi Azaria in nome di Rabbi Iehuda ben Simon: tutti guastarono la loro condotta nella generazione del diluvio: cane si univa al lupo, il gallo al pavone. Rabbi Lulian bar Tivrim diceva: persino la terra tralignò: gli uomini, infatti, seminavano grano e terra produceva ortiche (Ber. R. 28)».
Secondo Sahnedrin 108a-108b (uno dei trattati della Mishnah e del Talmud babilonese), sull’arca salirono gli animali che avevano rispettato pienamente la legge naturale, senza aver corrotto la loro condotta. Questi racconti, pur essendo portatori di un significato, non devono essere presi alla lettera. Tuttavia, non c’è motivo di ammettere una colpevolezza degli animali in relazione al problema della loro sofferenza.
C’è speranza ultraterrena per gli animali?
Lewis affronta poi la questione della giustizia per quanto riguarda la sofferenza degli animali. Se per l’uomo c’è la speranza della resurrezione, che cosa si deve dire degli animali? La loro sofferenza può essere redenta nell’immortalità? Con tono leggero, lo scrittore inizia così:
«Sono stato ammonito a non sollevar il problema dell’immortalità degli animali se non voglio fare dei discorsi da “vecchia zitella”. Non ho niente contro le vecchie zitelle: non credo che né la verginità né l’età siano da disprezzare, e alcune delle menti più acute che abbia mai incontrate avevano il corpo delle vecchie zitelle. Né mi impressionano molto le domande scherzose; “E dove metterai le zanzare?” – una domanda a cui si dovrebbe rispondere sullo stesso livello facendo presente che, se succedesse il peggio, un cielo per le zanzare e un inferno per gli uomini si potrebbero combinare insieme in maniera molto soddisfacente.
Il silenzio della Scrittura
«Ma il completo silenzio da parte della Scrittura e della tradizione cristiana sull’immortalità animale è un problema più serio; sarebbe però fatale solo se la rivelazione cristiana desse segno di essere stata concepita come un “sistema della natura” che potesse rispondere a tutte le domande possibili. Ma non è niente del genere; la cortina è stata strappata a un certo punto, e a uno soltanto, per rivelare le nostre necessità pratiche immediate e non per soddisfare la nostra curiosità intellettuale. Se gli animali fossero davvero immortali, è improbabile, da quello che posso capire del metodo di Dio nella rivelazione, che Egli avrebbe rivelato questa particolare verità. Perfino la dottrina della nostra immortalità appare tardi nella storia dei giudaismo. L’argomentazione tratta dal silenzio è dunque molto debole».
Posso aggiungere che quando la Scrittura parla della mortalità dell’anima degli animali, dice la stessa cosa anche dell’anima dell’uomo.
Gli animali e l’uomo
Supponendo invece negli animali superiori l’esistenza di un vero «io» (anche se rudimentale rispetto all’uomo), la loro sorte richiede una considerazione; con un’avvertenza preliminare.
«L’errore che dobbiamo evitare è quello di considerarli in se stessi; se infatti l’uomo si deve capire solo nel suo rapporto con Dio, le bestie si devono capire solo nel loro rapporto con l’uomo e, attraverso l’uomo, con Dio».
A tale riguardo, Lewis cerca di correggere l’idea puramente biologica, che molte persone hanno, che l’animale vero sia quello selvaggio mentre l’animale addomesticato sia innaturale. Secondo Lewis, i cristiani devono credere che, dal momento che è stato loro dato il dominio sulle bestie, tutto ciò che fanno nei loro confronti è un esercizio legittimo o un abuso sacrilego. Perciò l’animale addomesticato – quello che ha un rapporto con l’uomo – è l’unico autentico, l’unico che occupa il posto che gli compete, e qualsiasi sé abbia è quasi interamente dovuto al suo padrone.
L’uomo in Cristo, l’animale nella famiglia umana
Ecco il fulcro dell’argomentazione di Lewis: «come l’uomo esiste in Cristo, l’animale esiste nella famiglia umana. Tutto questo contesto si potrebbe considerare come il “corpo” nel senso datogli dall’apostolo Paolo (o in un senso molti vicino a quello paolino)… E in questo modo mi sembra possibile che certi animali possano avere un’immortalità, non in loro stessi, ma nell’immortalità dei loro padroni. E la difficoltà di un’identità personale in una creatura che personale lo è a mala pena sparisce quando la creatura è tenuta così nel suo contesto giusto. Se, parlando di un animale che è stato elevato in questo modo a membro dell’intero Corpo della famiglia, chiedete dove risieda la sua identità, risponderei: “Dove è sempre stata anche nella vita terrena: nel suo rapporto col Corpo e, particolarmente, col padrone che è il capo di quel Corpo”».
Perciò, per Lewis, se l’animale ha l’immortalità è attraverso il suo padrone; e l’immortalità non sarebbe solo un risarcimento per le sofferenze inflittegli in vita. Sarebbe «una parte essenziale del nuovo cielo e della nuova terra organicamente collegati all’intero doloroso processo della caduta e della redenzione dell’uomo». Anche nel caso degli animali selvatici, l’immortalità sarebbe legata all’uomo, non a padroni singoli, ma all’intera umanità.
La vita immortale
«Se non riusciamo a immaginare neanche la nostra vita eterna, possiamo immaginare ancor meno la vita che potranno avere le bestie come “membri” del nostro Corpo. Se il leone terreno potesse leggere la profezia di quel giorno in cui mangerà fieno come un bue, non la considererebbe come una descrizione del paradiso ma dell’inferno… Dio, se vuole, può dargli un “corpo” – un corpo che non vive più uccidendo agnelli, eppure rimane riccamente leonino nel senso che anch’esso esprime tutta l’energia, lo splendore e la forza esuberante che risiedevano all’interno del leone visibile su questa terra… Io credo che il leone, quando cesserà di essere pericoloso, sarà ancora tremendo; anzi, che solo allora vedremo per la prima volta quello di cui le zanne e gli artigli attuali sono un’imitazione grossolana e satanicamente pervertito. Ci sarà ancora qualcosa di simile allo scrollarsi di quella criniera dorata, e spesso il buon Duca dirà: “Bel ruggito, Leone” [W. Shakespeare, Sogno di una notte d’estate, atto V, scena I]».
Così, senza accorgersene (ma ce ne accorgiamo noi), C.S. Lewis sta scivolando con la fantasia verso il regno di Aslan…