Viaggio nella Bibbia. Il problema della sofferenza: una prima ricapitolazione

Caino uccide Abele. Cattedrale di Monreale. Di © José Luiz Bernardes Ribeiro, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=38413727

Quello che stiamo percorrendo insieme è un viaggio biblico nel problema della sofferenza alle origini. Cerchiamo di fare il punto, prima di ripartire per nuove tappe.

Il libro della Genesi

Abbiamo visto come male e dolore, dolore innocente, si intreccino strettamente con la storia degli uomini.

Ci siamo incontrati con il dilagare della sofferenza nel mondo degli uomini a causa del loro peccato. Si pensi a Caino e alla sua stirpe, si pensi alla catastrofe del diluvio.

I patriarchi. La sofferenza come prova: Abramo

Abbiamo visto come Abramo, al culmine della sua vita, sia stato capace di accettare la prova che Dio gli pone davanti facendo un salto nel buio. La sua è una sofferenza, accettata, che raffina la sua fede, purificandola dagli attaccamenti all’attesa del futuro. È la categoria della prova, la prima interpretazione della sofferenza del giusto che regga ad un esame severo come quello richiesto dalla realtà dei fatti.

I patriarchi. La sofferenza come strumento di salvezza: Giuseppe

Ci siamo confrontati, all’altro capo della saga dei patriarchi, con la sofferenza di Giuseppe. Abbiamo potuto scoprire che la sofferenza di uno è funzionale alla salvezza dei molti. Noi parleremmo di Provvidenza: Dio si serve invisibilmente e tacitamente dei tristi eventi della vita di Giuseppe e della stessa volontà criminosa dei fratelli maggiori per far andare la storia nella direzione della salvezza. È il Dio dietro le quinte, e la sofferenza diviene un suo strumento di salvezza.

È straordinario come già nel primo libro della Bibbia si possano riscontrare due teorie così avanzate della sofferenza del giusto, applicabile a taluni casi. La sofferenza è un male, ma Dio la piega al bene.

L’epopea dell’Esodo

Edward Poynter, Israele in Egitto (1867), collezione privata

Altra sfaccettatura: è la sofferenza di Mosè nel vedere i suoi sogni infranti e la sua identità distrutta a renderlo capace di udire la voce di Dio. Spezzando gli schemi umani, Dio lo raggiunge e lo chiama a sé.

Così pure, anche le cosiddette piaghe d’Egitto dovrebbero avere avuto un valore pedagogico. Avrebbero dovuto predisporre il faraone e il suo popolo ad aprirsi alla volontà di Dio; ma questo non accadrà. Tuttavia, qui subentra una difficoltà: tutti gli egiziani erano gravemente colpevoli, da dover essere alla fine puniti? Anche i bambini?

Possiamo rispondere a questa obiezione. A livello storico Dio non interviene con miracoli che stravolgono il corso della natura, ma si serve degli eventi naturali provvidenzialmente, per dare salvezza al suo popolo.

La risposta però regge fino ad un certo punto: rimane il fatto che la salvezza degli uni costa la sofferenza degli altri, anche degli innocenti. Comprendere la mentalità corporativa degli antichi ci aiuta, ma non del tutto. Dio non preserva gli innocenti dalla sofferenza.

La sofferenza per un bene superiore

Nel cammino del deserto sembra che la situazione si ribalti: non è Dio che mette alla prova Israele (se lo mette alla prova, è un fallimento continuo) ma è Israele che mette alla prova Dio lamentandosi e mormorando ad ogni passo. Dio risponde col suo aiuto, ma anche con il suo castigo. Il suo scopo è sempre un bene superiore e non l’annientamento. In ogni caso, Dio è presente, anche se dietro le quinte, nella vita dell’uomo e dei popoli. Vede e in qualche modo risponde.

Giosuè e Giudici: la sofferenza inflitta

James Tissot, Giaele mostra Sisara a Baraq

Con Giosuè, la violenza subita diviene violenza inflitta: Israele combatte gli altri popoli. Pur considerando il valore anche simbolico delle leggi di guerra e della legge dello sterminio, resta il fatto che Israele si può vantare di aver combattuto per assicurarsi la terra promessa distruggendo i nemici.

Con il libro dei Giudici, poi, arriviamo a casi di sofferenza autoprodotta. Autoprodotta non per masochismo e neppure per scelta di offerta per gli altri, tutt’altro; dico autoprodotta perché conseguenza di proprie azioni sconsiderate. Con Deborah, Baraq e Gedeone siamo davanti a normali azioni di guerra, ma con Giaele, responsabile di una atrocità a danno di una persona accolta come ospite, e con Abimelek che uccide i fratellastri onde non esserne impedito nell’uso del potere, siamo totalmente fuori del seminato anche in tempo di guerra. Nel caso di Abimelek, la cosa si ritorce contro di lui. Ma il peggio deve ancora venire.

Sembra di stare assistendo ad una discesa agli inferi, sempre più in basso, fino a toccare il fondo: attraverso le vicende di Iefte e di Sansone, il fondo si tocca con la storia della donna di Betlemme, concubina di un levita, il cui corpo smembrato sta forse a significare che niente di umano è più rimasto nella storia. E Dio non interviene…

La sofferenza che dilaga in una famiglia e in una società che permettono questi crimini si può ben dire causata da se stessi. Siamo perciò discesi, da una concezione almeno in parte funzionale della sofferenza che Dio permette (quella di Abramo, che vale alla sua crescita nella fede; quella di Giuseppe, che serve alla salvezza dell’intera famiglia), ad un tipo di sofferenza causata dalla sconsideratezza o dal peccato degli uomini. Sembra che ci sia stato, nel corso della storia di Israele, un processo di degenerazione, come vi è stato nella storia delle origini. Bisognerà pure che qualcuno ne tiri fuori il popolo di Dio. Questo qualcuno sarà il re Davide? O dovremo aspettare molto di più per vedere segnali di pentimento e di rinascita?