E la fede di Giacobbe? Il lettore potrebbe chiedersi che cosa ci sia di religioso nelle sue vicende, quale parte vi abbia la fede; certamente il testo risulta veridico, dato che inventare particolari simili sarebbe estremamente imbarazzante nei confronti del patriarca che ha dato il nome ad Israele. Ma quello che narra le sue avventure è anche un testo di fede? Ribadisco preliminarmente che la Bibbia non è una storia di santi; è la testimonianza di un’esperienza di fede vissuta nelle righe oscure e distorte della storia.
Nelle vicende avventurose di Giacobbe, infatti, si inseriscono due teofanie della massima importanza teologica: la visione di Betel all’inizio del cammino (Genesi 28) e la lotta con Dio a Fanuel (Genesi 33), a seguito della quale Giacobbe diverrà l’eroe eponimo della nazione, Israele.
Una scala fra terra e cielo
Il viaggio di Giacobbe che fugge dall’ira di Esaù inizia con una esperienza religiosa che è un sogno: una scala che congiunge cielo e terra, percorsa in ogni direzione da angeli. Il Signore rinnova a Giacobbe le promesse di Abramo ed Isacco:
«13Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco. A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale sei coricato. 14La tua discendenza sarà innumerevole come la polvere della terra; perciò ti espanderai a occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E si diranno benedette, in te e nella tua discendenza, tutte le famiglie della terra. 15Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questa terra, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che ti ho detto».
La scala rappresenta la storia umana, percorsa in ogni senso dagli angeli che sarebbero gli «angeli custodi» delle nazioni e quindi raffigurano i movimenti delle situazioni umane sotto la volontà di Dio. Su questa scala sta infatti Dio, il padrone della storia.
La storia umana non è abbandonata a se stessa, ci dice il sogno, ma resta sempre nelle mani del Signore. Ciò vale anche per la vita del singolo, che deve sapere che Dio sarà sempre con lui. Giacobbe, pur con tutta la sua umana circospezione, crederà sempre a questa promessa: «Ecco, Io sono con te!».
La preghiera
Le sue parole al risveglio esprimono profondamente il senso del divino:
16 Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo». 17 Ebbe timore e disse: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo».
Secondo il Midrash, il luogo in cui Giacobbe ha avuto la visione della scala che congiunge cielo e terra è lo stesso Monte Moria, su cui sorgerà il tempio di Gerusalemme. E questo giovane che si è imbattuto in Dio ed ha fatto uno dei sogni più famosi della storia dell’umanità, secondo l’interpretazione rabbinica, ha anche inventato la preghiera della sera. I rabbini lo ricavano dalla frase «Capitò così in un luogo, dove passò la notte» (v. 11). Questo perché il verbo paga‘, che significa «capitare», «incontrare», può anche voler dire «pregare», mentre la parola «bammaqòm» («nel luogo»), secondo i Saggi si riferisce a Dio (Hammaqòm, il «luogo» dell’universo): l’espressione allora significherebbe che Giacobbe implorò Dio.
Così Giacobbe, secondo i rabbini, completò il ciclo delle preghiere quotidiane: Abramo istituì la preghiera del mattino (Shachrìt), Isacco quella del pomeriggio (Minchà) e Giacobbe quella della sera (Arvìt). Ogni preghiera riflette il carattere del patriarca che l’ha istituita: Giacobbe rappresenta la sera, la notte. È l’uomo della paura e della lotta con Dio, con gli altri uomini e con se stesso. È l’uomo che esperimenta il buio del mondo.
Le Tre Preghiere
Diverse sono le esperienze e quindi le preghiere dei tre Patriarchi, spiegano i rabbini.
Abramo iniziò la ricerca di Dio intraprendendo un viaggio dello spirito verso una meta sconosciuta armato solo di fede; egli cercò Dio, se così si può dire, prima che Dio cercasse lui. La sua è la preghiera del mattino, del risveglio.
La preghiera di Isacco è preghiera di “sichà”, ossia “conversazione, dialogo” fra due interlocutori; la sua esperienza è il dialogo tra Dio e l’umanità. La preghiera di Giacobbe è completamente diversa: il giovane non aveva l’intenzione di fermarsi a pregare, è inquieto per la sua vita, ed è in questa sua mente turbata che irrompe, totalmente inaspettata, la visione della scala che collega terra e cielo, degli angeli e di Dio. Giacobbe non aveva fatto nulla per provocare o preparare questa visione: «si imbatté» in Dio, senza alcuna sua iniziativa. Questo è il motivo per cui la preghiera di Giacobbe, secondo i rabbini, non può essere la base di un obbligo. Giacobbe rappresenta l’incontro improvviso con Dio, l’esperienza che non possiamo prevedere ma che ci trasforma la vita facendoci riconoscere che Dio c’è; non perché noi la cerchiamo, ma perché “ci accade”. E questa esperienza avviene di notte, quando siamo più soli e vulnerabili. Giacobbe, in fuga, che si sente sull’orlo dell’abisso, si ritrova invece nelle braccia aperte di Dio che lo stavano aspettando, e capisce che non è mai stato solo.
La prima azione del giovane fuggiasco è quella di riunire le pietre su cui aveva posato il capo per dormire, ed erigere una stele. Non con oro o argento, ma con semplici pietre, perché Dio non pretende ricchezze umane, ma l’adorazione del cuore. Poi fa un voto.
Una richiesta misurata
20 «Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, 21 se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio. 22 Questa pietra, che io ho eretta come stele, sarà una casa di Dio; di quanto mi darai io ti offrirò la decima» (Gn 28).
Il voto di Giacobbe appare così condizionato a precise concessioni da sembrarci, a prima vista, parecchio venale. Giacobbe si mostra calcolatore, il che è perfettamente nel suo carattere. La fede di Giacobbe sembra interessata, legata ad un calcolo. Dopo un sogno sublime, con gli angeli che salgono e scendono da una scala e Dio che gli si rivela, ci si aspetta qualcosa di molto spirituale; ma pare che così non sia. La sua richiesta appare tutt’altro che spirituale, del pane e un vestito, e la sicurezza personale!
Basta un pezzo di pane
Se però osserviamo più da vicino questa richiesta, possiamo scoprirvi una dimensione a cui non siamo più assuefatti, quella di sapersi accontentare. Giacobbe forse ci insegna che un pezzo di pane ed un vestito bastano per vivere… e il restante del tempo possiamo dedicarlo a cose più elevate, rivolgersi alle vere priorità.