Una seconda parola chiave che ci aiuta ad interpretare il rapporto con gli animali è la responsabilità dell’uomo verso le altre creature. Fra la creazione degli animali e quella dell’umanità c’è infatti uno stacco, segnalato da un progetto speciale di Dio. Questo progetto è tanto solenne che si esprime col plurale deliberativo («Facciamo un adam a nostra immagine e a nostra somiglianza, e domini…»). C’è uno stacco, una gerarchia relazionale. Una relazione asimmetrica che si raccomanda per la responsabilità dell’uomo nei confronti degli animali.
La responsabilità dell’uomo
Tuttavia, dominare non vuol dire tiranneggiare. Indica invece un rapporto di responsabilità e di cura come di un buon padre di famiglia verso i propri cari, familiari, domestici, animali. Il compimento della creazione degli animali – iniziata il quinto giorno – e la creazione dell’uomo hanno luogo il sesto giorno, formando una comunità di creature che avranno un cammino per molti aspetti comune.
Il senso della presenza dell’immagine di Dio in ogni essere umano consiste proprio nel rispecchiare la regalità e la cura di Dio verso il creato. Dio esercita la cura verso il creato, attraverso l’umanità come un re che ponga una sua immagine nel regno perché ogni suddito, guardandola, si ricordi del suo rapporto con lui. Un’immagine che però deve essere somigliante e non deforme, una brutta copia che distorca l’originale.
Ognuno di noi ha la responsabilità di servire Dio riconoscendolo nell’altro uomo (Avevo fame…: nel povero Dio è affamato, è straniero, è carcerato, è infermo), ma anche di essere per ogni altro una immagine fedele di Dio in ogni campo. Una duplice responsabilità, ed enorme, per di più. Ad ogni passo, noi dovremmo chiederci: come possiamo «copiare» il suo comportamento? Come si comporterebbe il Signore in questo caso?
L’adam e gli animali
Ciò vale anche per il rapporto con gli animali, con i quali formiamo la comunità del Sesto giorno. Il secondo racconto biblico di creazione, Gn 2,4b e seguenti, ci dice che siamo impastati della stessa terra, ’adamah: tutt’al più, l’adam è impastato con la polvere – ‘aphar – più fine. Animali dei quali abbiamo la responsabilità. Compagni di creazione, gli animali sono anche compagni di vita: perché la co*nnaturalità non si ferma all’atto della creazione, ma prosegue nella storia del mondo.
Ma allora, se siamo connaturali e c’è solo un rapporto gerarchico, dove sta la differenza? La differenza c’è ed è vistosa. L’animale appartiene alla sfera della natura, segue le proprie leggi che però non sono di carattere etico. Sono, quelle che riguardano gli animali, leggi naturali. Esse implicano non solo istinti ma anche, negli animali superiori, capacità di intelligenza, di affetto e di sofferenza. Non implicano però la capacità di scelta morale – gli animali non hanno malizia, la loro eventuale violenza e la loro stessa bontà sono frutto di natura («ché di natura è frutto ogni vostra vaghezza…», cantava Giacomo Leopardi).
L’umanità non è confusa con il resto del creato, ma occupa un posto, una dignità e una responsabilità sua propria nel disegno creazionale di Dio.
L’uomo creatura del dialogo
C’è un particolare, nel testo ebraico, che fa riflettere su questa differenza. All’atto della creazione della vita animale, Dio pronuncia delle parole, ma lo fa in questi termini:
«E Dio li benedisse dicendo: “Crescete e moltiplicatevi…”».
Il verbo lemor è all’infinito, un modo indefinito, impersonale, generico (come il nostro gerundio). All’atto della creazione dell’umanità, il testo ebraico usa la stessa formula ma afferma:
«E Dio li benedisse e disse loro…».
Qui il verbo ha assunto un modo finito, wayyomer lachem, che esprime la persona a cui si rivolge.
C’è quindi un dialogo da persona a persona: l’adam è l’essere della Parola, è la voce di un cosmo muto che loda Dio con la sua bellezza e con la sua maestà senza parole, e che non ha voce per esprimere la propria sofferenza, sta all’uomo comprenderla. L’uomo ha la parola e può lodare Dio / verbalmente e coscientemente, l’animale lo loda con la sua sola esistenza, per natura.
In quanto animale, l’uomo appartiene all’ordine della natura e ne condivide le leggi, ma appartiene anche alla storia (gli animali invece vivono nel tempo stagionale, il chronos, ma non nella storia). L’uomo ha una capacità etica di scelta fra bene e male che gli permette (è un onore, ma anche un onere) di costruire la propria vita e la vita dei popoli.
Ma è possibile appartenere a più dimensioni senza che l’una cancelli l’altra? Ce lo dice un aneddoto riguardante il sovrano illuminato, Federico II di Prussia, della seconda metà Settecento. Federico II era stato un promotore dell’istruzione del suo popolo attraverso la fondazione di scuole, scuole che poi andava a visitare personalmente.
Una volta, in una di queste scuole, volle interrogare gli alunni in scienze naturali. Davanti alla lavagna di classe, chiese: «La pietra di cui è fatta questa lavagna, a quale regno appartiene?». Un bambino, molto vispo, alzò la mano e rispose: «Al regno minerale, Maestà». «Bene! E l’albero che si vede dalla finestra, a quale regno appartiene?». «Al regno vegetale, Maestà». «Molto bene! E l’uccellino che sta sul ramo, a quale regno appartiene?». «Al regno animale, Maestà». «Benissimo, proprio bravo! E io, a quale regno appartengo?». Il sovrano voleva divertirsi a mettere in imbarazzo il bambino costringendolo a dire che anche il re, in fondo, apparteneva al regno animale. Ma il bambino sorrise e rispose: «Al regno di Dio!».
Ecco come l’uomo appartiene pienamente al regno animale, è un animale come gli altri, ma ha una marcia in più: appartiene anche al regno dello spirito. Una responsabilità enorme.