La continua presenza dei Cananei nella terra promessa, anche secoli dopo la presunta conquista di Giosuè, ha indotto gli autori biblici a rivedere le modalità della concessione della terra a Israele da parte del Signore. La maggior parte delle rivalutazioni è fatta in chiave deuteronomistica, perché è questa la tradizione che ha costruito una visione completa della conquista. Questo diviene chiaro nell’introduzione al libro dei Giudici.
La presenza dei Cananei è castigo
Secondo l’introduzione al libro dei Giudici, il continuo ritorno di Israele al peccato dopo che il Signore lo ha salvato provoca un cambiamento nel piano divino:
«…Poiché quella nazione ha trasgredito il patto che io avevo imposto ai loro padri e non mi ha ubbidito, io da parte mia non scaccerò più davanti a loro alcuna delle nazioni che Giosuè lasciò quando morì» (Giudici 2,20-21).
Il testo prosegue spiegando la logica alla base di questo cambiamento:
«Poiché era per mettere alla prova Israele per mezzo loro, per vedere se avrebbero camminato fedelmente nelle vie del Signore, come avevano fatto i loro padri. Il Signore aveva lasciato quelle nazioni, invece di scacciarle subito, e non le aveva date nelle mani di Giosuè» (Giud 2,22-23)
Qui non è più l’età avanzata di Giosuè a spiegare la continua presenza dei Cananei nella Terra; piuttosto, in questa rilettura, i Cananei sono visti come attori di un piano divino mirato a mettere alla prova la fedeltà di Israele. Per attuare questo piano, a Giosuè non viene concessa la vittoria completa. E, come preannunciato, gli Israeliti dimostrano di essere peccatori induriti, che invece di respingerlo imitano il comportamento dei Cananei rimasti, fino alla loro rovina. Con la sua infedeltà, Israele attira su di sé la punizione e il continuo ritardo nell’appropriarsi di tutta la terra. Naturalmente, il castigo è finalizzato alla conversione, cioè a richiamare il popolo peccatore a Dio.