
A differenza di Giovanni, che presenta un prologo teologico (1,1-18), e di Matteo e Luca, che hanno un prologo narrativo (Vangelo dell’Infanzia, Mt 1-2 e Lc 1-2), Marco entra subito in argomento mostrando la preparazione al ministero pubblico di Gesù.
In realtà, anche Marco ha un piccolo prologo, costituito dal primo versetto del Vangelo, che non è il titolo del libro, l’inizio di uno scritto, come ci potrebbe sembrare, ma il solenne enunciato di quanto il libro dirà: «Principio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio».
Il Vangelo secondo Marco inizia infatti con la proclamazione di quel che è il principio, il vangelo del Figlio di Dio. È un principio, un’arché, non solo temporale: la buona notizia che Gesù porta agli uomini e che Gesù è il Messia annunciato dai profeti, il Figlio di Dio che dà salvezza.
Con questo primo versetto dunque non si dice semplicemente che inizia un libro, ma che il principio di vita per chi ascolta e per chi legge la Parola è il Vangelo del Figlio di Dio. In Marco, fino al momento della morte in croce, nessun uomo potrà proclamare che Gesù è il Figlio di Dio: solo la voce celeste del Padre e le voci soprannaturali dei demoni lo riveleranno.
Dal v. 2, lo schema del Vangelo di Marco sarà seguito sostanzialmente anche da Matteo e Luca: il prologo della vita pubblica del Signore è rappresentato dal trittico
Ministero del Battista
Battesimo di Gesù
Tentazioni nel deserto.
La preparazione al ministero pubblico: Il ministero del Battista (1,2-8)
La figura di Giovanni viene presentata mediante le parole del profeta (Is 40,3): è di Giovanni, infatti, a livello di compimento delle antiche Scritture, la voce che nel deserto grida di preparare le vie al Signore.
L’abito di Giovanni descritto da Marco è quello tipico dei profeti (veste di pelo di cammello e cintura di cuoio, cfr. 2Re 1,8 per Elia). Il profeta, però, non è lui l’Atteso: l’Atteso è il più forte, di dignità così grande che il precursore non è degno di compiere verso di lui neppure il più umile dei gesti. Giovanni, già in Marco, indirizza a Gesù, anche se non in modo così esplicito come nel vangelo di Giovanni («Ecco l’Agnello di Dio»). Questo è il senso del ruolo dei Santi: non fermare i credenti ad un devozionismo miracolistico, ma condurre a Cristo attraverso la testimonianza della propria vita. San Giovanni Battista, inoltre, è un Santo che non ha mai fatto miracoli… è un testimone e un martire della Verità.
Il battesimo di Gesù (1,9-11)
Il battesimo di Giovanni non è il sacramento che realizza efficacemente quello che il segno rappresenta, la liberazione dal peccato, la nascita a figli di Dio e l’appartenenza al suo popolo, ma è solo un gesto che simboleggia il pentimento e la volontà di conversione.
Gesù non ha certo bisogno di pentimento e di conversione, ma si mette in fila con i peccatori, solidale con loro, scendendo nelle acque nel punto più basso della terra (la depressione del Giordano raggiunge i 400 m sotto il livello del mare) come a prendere su di sé le profondità del peccato e i loro effetti distruttivi: Gesù è senza peccato, ma, scrive arditamente S. Paolo, «Colui che non conobbe peccato, egli [Dio] lo fece peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui» (2Cor 5,21). Essere “battezzato”, alla lettera, significa essere “sprofondato”. È proprio perché il nuovo Adamo, Gesù, tocca il fondo dell’umanità, che può risalire portandola con sé nella vita divina.
All’atto del battesimo si manifesta la Trinità: immerso nelle acque il Figlio amato, dal cielo il Padre che lo proclama tale, lo Spirito divino che scende su di lui. Solo la voce del Padre professa che Gesù è il Figlio di Dio, ancora nessun uomo, tranne lui, può comprendere la sua identità divina.
Le tentazioni (1,12-13)
L’episodio delle tentazioni non ha in Marco l’ampiezza che acquista in Matteo e Luca, ma ne presenta il nucleo essenziale. Il passare dalle acque del battesimo al deserto evocava già l’esodo, e infatti, come Israele, Gesù passa una “quarantena” (di giorni, non di anni) nel deserto, sottoposto a tentazioni come l’antico popolo di Dio: la fame, il bisogno di prove, il potere.
Marco non specifica queste prove, che non tentano Gesù al peccato – sarebbe impossibile – ma ad intraprendere una via messianica trionfalistica, esibizionistica. È però lo Spirito di Dio che lo conduce nel deserto, ove ritroviamo gli stessi personaggi dell’Eden: il tentatore, gli angeli, le fiere selvatiche. Gesù nuovo Adamo è colui che sconfiggendo la tentazione ricongiunge cielo e terra nella pace universale: gli animali, fratelli minori dell’Uomo, tornano con lui alla mansuetudine edenica, e gli angeli, suoi fratelli maggiori, lo servono come immagine del Dio vivo. Il Satana, l’antico avversario, non ha più scampo.