Lettura continua della Bibbia. La preghiera dei Salmi

Salterio di San Luigi IX, 16 v. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7008936

Ancor più delle altre preghiere sparse nella Bibbia, la preghiera dei Salmi dimostra come la preghiera biblica non sia di tipo magico, meccanico, manipolatorio, ma personalistico, da persona a Persona: da parte di Dio c’è la Rivelazione come comunicazione di Sé, da parte del credente la preghiera, una preghiera che si tiene ugualmente lontana dallo scetticismo che rimuove Dio dalla propria vita come dal sentimentalismo o devozionalismo.

La preghiera biblica non serve né a manipolare Dio né a prenderne le distanze, come non serve ad affogare in un brodo di emozioni, ma neppure a dimenticare (quasi fosse un anestetico). La realtà, nei salmi, non è affatto dimenticata o superata, ma è deposta nelle mani di Dio, gli è ricordata così come è sentita, con franchezza, talvolta gli è anche “rimproverata” a mo’ di Giobbe.

Pregare con i salmi non è, quindi, tanto entrare in sé in modo introspettivo: è lasciarsi trasformare, al di là dei limiti cronologici, al punto da divenire “contemporanei” dell’evento salvifico del passato e al tempo stesso della redenzione che avverrà. Non è introspezione, ma rapporto con la Realtà, con Dio.

Salmi e vita

Salmi e vita. Un legame inscindibile. Anche i Salmi, come le altre preghiere, sono nati in una situazione concreta: sono la risposta di Israele alle azioni salvifiche di Dio, la risposta di Israele che non è un popolo muto ma esprime domande, lamenti, ringraziamenti, lodi.

Nonostante le varie ipotesi formulate in proposito, è molto difficile riconoscere in ogni salmo l’occasione per la quale è stato composto. Gli accenni del testo sono spesso tenui e incerti come accade nella poesia, e inoltre i sentimenti dell’animo umano che così gran parte hanno nel libro sono sostanzialmente sempre gli stessi, indipendentemente dalle circostanze o dal tempo in cui sono stati espressi.

Ben dimostrano i salmi come la preghiera non sia evasione dalla vita, e neppure sfogo autobiografico: l’orante non fugge dalla realtà né si rifugia in un solipsismo di persona che si autoesalti, ma interpone il Signore fra sé e la propria storia, fra sé e il proprio dolore, in una forte relazione interpersonale basata, come abbiamo visto (l’articolo QUI), sullo chesed di Dio. Ma quale è l’Io ideale del salmista?

L’Io fatto preghiera

Salmo 1. Salterio Gallicano. Augsburg, 1240-1260. Chester Beatty Library W 040, f.7r, dettaglio. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=109195361

Davide non ha potuto costruire il tempio, ma, scrive A. Mello, ha edificato la psiche d’Israele, ha edificato l’Io del salmi. Vi sono salmi cananei, come il 29, altri post-esilici; ma tutti i salmi sono di ispirazione davidica: l’Io dei salmi è originariamente quello del re davidico.

Gli autori dei salmi sono molti, ma il destinatario è uno solo: è il re, che è anche il povero di JHWH. È talmente povero davanti al Signore, talmente può contare solo su di Lui, che diviene egli stesso preghiera. La soprascritta di Sal 102, Tephillah le-‘ani, Preghiera di un povero, che può essere anche intesa come Preghiera per un povero, è eloquente.

L’Io fatto preghiera

Nel Sal. 69,14 si legge Wa-ani tephillati lekha JHWH: «E io sono la mia preghiera per te, Signore».

In Sal 109,4 Wa-ani tephillah: «E io sono preghiera», come dice il Celano di S. Francesco, non più un uomo che pregava, ma un «uomo fatto preghiera»(Celano II 61,95 = FF 682). L’Io fatto preghiera, per la tradizione salmica, è quello di Davide, ma anche quello del Re-Messia, vincitore nella prova, e vincitore grazie alla preghiera.

L’Io del re

Questo Io è una figura corporativa: è l’Io di Davide in quanto re, e in quanto re è anche figura del Messia; ma è anche l’Io di Davide in quanto comunità, popolo di Israele, resto fedele , poveri del Signore che confidano in Dio soltanto.

DAVIDE

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MESSIA

Questo Io, infatti, non è una monade. Fondamentalmente, la preghiera dei salmi si basa su una immagine del mondo, un modello teologico / antropologico / cosmologico in cui l’uomo si inserisce con i suoi bisogni, le sue aspettative, le sue angosce e le sue esultanze: un orizzonte di senso in cui prendono significato le esperienze, i sentimenti, i pensieri, le parole stesse dell’uomo.

Questo modello teo-antropo-cosmologico presenta in un ordine preciso la realtà, al cui centro sta la Presenza divina, la Roccia che dà stabilità all’uomo e al cosmo; tutto può vacillare e crollare, ma non Essa; è la Rocca di Davide, la cittadella di Sion, il monte del tempio; poi viene la città col suo popolo, la terra santa, il mondo degli uomini con la sua storia, il cosmo, infine l’universo, l’ambiente in cui si sviluppa il mondo degli uomini.

Questo ordine complesso di realtà però presenta due aspetti, quindi una duplice immagine del mondo:

  • l’armonia della storia e del cosmo conforme al disegno di Dio, alla sua Sapienza, quindi il mondo nella sua bontà e bellezza connaturale;
  • il caos che minaccia con le forze del male il re, il popolo e la città, la storia di Israele, la vita dell’uomo, il cosmo stesso.

La preghiera dei Salmi muove spesso dall’immagine spezzata di un mondo sfigurato dal peccato e sconvolto, ma per abbandonarsi alla fede nelle misteriose vie del Signore, Roccia incrollabile, finché lo shalom sia ricomposto.

La preghiera di un povero               

Davide in preghiera. Di Girolamo dai Libri (14741555) – CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=60903801

A questo punto si fa avanti, nella preghiera biblica, quella componente fondamentale che è la teologia dei poveri, la preghiera dei poveri di JHWH: anche se la ricchezza è considerata benedizione divina, il povero è colui che non ha altro difensore e rifugio che Dio e lo sa, per cui meglio di chiunque altro può contare su di Lui per far valere non i propri “diritti”, ma i propri bisogni, per ottenere giustizia e tornare alla prosperità. Anche il re non è altro che un povero di JHWH come l’ultimo dei suoi sudditi.

In epoca esilica si ha un cambiamento di prospettiva: se essere poveri significa avere accesso più facile al Signore, rimanere poveri significa accesso permanente a Lui. L’intimità con Dio appare così la vera ricchezza, la sola che non si possa perdere (Sal.16; 23; 51).