Lettura continua della Bibbia. La piccolezza del seme (Marco 4,26-32)

La parabola del granello di senape. Di Jan Luyken – Harry Kossuth photo. Electronic image created by Phillip Medhurst 10 August 2009., FAL, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7549966

Le tre parabole che leggiamo nel cap. 4 del Vangelo secondo Marco sono accomunate dal tema della piccolezza del seme: piccolo è il seme che il seminatore sparge in abbondanza (Mc 4,3-20: QUI), piccolo è il chicco che pure ha in sé la forza di germinare (Mc 4,26-29), più piccolo ancora è il granello di senape, paragonabile ad un granello di polvere (Mc 4,30-32). Perché questa insistenza?

Il fatto è che l’avvento del Regno era atteso come un evento straordinario e potente. Al contrario, queste parabole riguardano l’umiltà dei suoi inizi. Perché è così piccolo il seme di fronte ad un mondo tanto grande? Perché è così debole davanti a forze così schiaccianti? Non sarebbe stato meglio un inizio più promettente, partendo da una realtà più consistente e vistosa, che provocasse maggiori consensi?

È invece questo il tempo della pazienza di Dio, che chiede anche la pazienza degli uomini: il regno di Dio non si vede neppure ai suoi inizi, ma è una realtà dinamica che cresce continuamente.

Il Regno di Dio

La prima caratteristica del Regno di Dio, infatti, è che non appare, non sembra neppure che ci sia. Il Regno di Dio ha lo stesso stile di Gesù: non si mette in mostra, agisce umilmente, predilige il nascondimento.

La seconda caratteristica del Regno è che cresce da solo: non si può tirare in su il germoglio per farlo crescere, gli si strapperebbero le radici. Non si può pretendere niente: occorrono fiducia e pazienza, aspettare i tempi che non sono i nostri.

Una terza caratteristica è la piccolezza, quella del più piccolo dei semi che diventa un grande albero che accoglie tutti. Perché la piccolezza è privilegiata agli occhi di Dio, è l’unico luogo in cui tutti si possano riconoscere.

Il chicco automatico

Il chicco automatico: non uso arbitrariamente questo aggettivo, perché lo utilizza lo stesso greco del Vangelo: auvtoma,th, automáte, la terra è automatica se produce da sé erba, fiore, frutto… Il coltivatore non lo sa, ma la terra, il seme lo sanno e agiscono nascostamente.

La parabola del chicco che cresce da solo si trova soltanto nel Vangelo secondo Marco. Sembra persino contraddittoria con il resto del Vangelo: perché rinnovare gli inviti all’opera missionaria, quando il seme fa tutto da solo? Notte e giorno, qualunque cosa faccia il contadino, la pianta si sviluppa, ed egli neppure sa come. Dapprima germoglio verde, stelo, poi spiga, infine grano, grano maturo da mietere… E subito il chicco stesso – paradossalmente – manda la falce perché si mieta.

Ma contraddittorio non è. Il Regno di Dio cresce dall’interno, questo significa la parabola, e non si può accelerare la sua crescita solo perché noi vorremmo il tutto e subito. No, dice la parabola, niente indottrinamenti, niente forzature. Questa sarebbe la logica dittatoriale dell’idolo: costringere al culto, sia esso profano, sia esso religioso.

La consegna del chicco

E qui troviamo una parola straordinaria, che ha significato solo per chi conosce il lessico della Passione. Le traduzioni non permettono di coglierlo. Quando viene il momento della maturazione, cioè quando il frutto lo permette… Ma il verbo non dice questo. Il verbo di cui il chicco di grano è il soggetto è in greco paradídomi, cioè consegnare. Sì, proprio il verbo che ci dice che Gesù è consegnato, che Giuda lo consegna, che Gesù si consegna! Un povero verbo tartassato e mal tradotto, forse perché in italiano altri verbi suonano meglio di lui, facendoci perdere tanto significato.

Quando il frutto è pronto – leggo nelle varie traduzioni -, quando il frutto è maturo, quando il frutto lo permette… ma no! Quando il frutto si consegna, si dovrebbe tradurre, come quando Gesù si consegna alla Passione, o altri lo consegnano, Giuda ai capi del popolo, i capi a Pilato, Pilato ai crocifissori, e questo perché Il Figlio dell’uomo è consegnato nelle mani degli uomini (Mc 9,31), con quel passivo senza complemento di agente, chiamato «Passivo divino» perché esprime la volontà salvifica del Padre… E non dimentichiamo che nel IV Vangelo Gesù non emette lo spirito, non spira, ma consegna lo Spirito, perché è quella la prima consegna dello Spirito alla Chiesa!

E allora, di fronte a questa «consegna» continua, tutto è dono, ed a noi non resta che accoglierlo: la fatica la fa tutta lui, il Seme, anche se noi dobbiamo accompagnarlo facendo la nostra piccola parte per quel che ci è chiesto.

La piccolezza del seme: il granello di senape

Infatti, è proprio nel minuscolo seme che è racchiusa tutta la possanza dell’albero. Non ha importanza che il granello di senape non sia proprio il più piccolo di tutti i semi o che la sua pianta non sia il più grande degli arbusti. Il detto è solo proverbiale e la Bibbia non è un libro di scienze naturali, la sua verità non è quella scientifica ma di fede e di morale.

In ogni caso, avviene una crescita prodigiosa nel piccolissimo seme che si sviluppa nella grande pianta, e questa crescita è nascosta, misteriosa. Non proviene dalle capacità dell’uomo ma dalla forza di Madre natura. Il Regno di Dio agisce nel nascondimento e nella ordinarietà: nella storia dell’uomo sono nascosti il seme della Parola e il lievito di Cristo che crescono dentro di noi nella vita di ogni giorno. Solo se il seme viene nascosto sotto terra, allora diviene pianta capace di dare rifugio anche agli uccelli del cielo. Attraverso il seme che muore, attraverso il dono della vita, il Regno di Dio crescerà. Le tribolazioni che lo afferrano e lo gettano nella terra possono farlo sembrare perdente, ma non lo sconfiggeranno. La sua crescita si accompagna alla fecondità: gli uccelli del cielo non solo vi si rifugiano per avere riparo, ma anche per prolificare, quasi in una nuova creazione.

Ma tutto viene dalla Piccolezza, l’unica dimensione capace di raggiungere tutti. Scriveva C.S. Lewis, ne «Il Grande Divorzio», che solo gli esseri superiori possono abbassarsi al livello degli altri, il contrario invece non è possibile. Solo Uno può raggiungere tutti: solo il più Grande di tutti può farsi piccolo abbastanza per entrare persino negli Inferi. Montaigne si metteva a giocare con la sua gattina miagolando come se anche lui fosse un gatto, ma, dice Lewis, la sua gattina non si mise mai a parlare con lui di filosofia. Così pure, solo Uno è grande abbastanza per essere disceso all’Inferno, dove le anime sono così accartocciate in se stesse da divenire impercettibili. La vera Grandezza, ci avvertono le Parabole del seme, sta nell’Infinitamente piccolo…